L’ultimo Caravaggio (1609-1610). Il “Cristo mostrato al popolo”, una questione ancora aperta

di Francesco CARACCIOLO

Ricostruire l’iter storico-critico di un dipinto così complicato quale è il Cristo mostrato al popolo di Caravaggio, di cui esistono almeno quattro versioni documentate [1], è un’impresa alquanto ardua; tuttavia in questa sede propongo un’analisi mirata dell’opera basandomi soprattutto sui dati stilistici e su confronti molto stringenti con altre opere del maestro lombardo, allargando il campo altresì al discorso in merito alla diffusione e alla fortuna del soggetto nella coeva pittura di area meridionale durante i primi anni del Seicento.

Questo dipinto, tratto dalle storie della Passione di Gesù, è stato oggetto di indagini accurate da parte di alcuni insigni studiosi, tra cui Mina Gregori, Maurizio Marini, Gianni Papi e Fabio Scaletti. A parere di chi scrive, dell’opera originariamente concepita da Caravaggio sussistono solamente delle copie, tutte più o meno di buona qualità, mentre sarebbe da rintracciare il dipinto autografo del maestro, dato che una tra le ipotesi più accreditata fino a questo momento è che l’originale sia andato perduto irrimediabilmente. Ma una cosa è certa: l’iconografia dell’episodio evangelico in oggetto ha dato esito positivo nell’ambito della pittura napoletana degli inizi del ‘600, trovando largo consenso presso gli artisti che gravitavano attorno al Caravaggio nel corso dei suoi due soggiorni napoletani (1607 e 1609-1610).

Innanzitutto, partiamo dall’identificazione del soggetto che “sembra combinare il tema dell’Ecce Homo con quello del Cristo deriso” (Maurizio Marini). L’immagine che è stata scelta come esemplificativa per la disanima che mi accingo a svolgere è la versione del Cristo mostrato al popolo in collezione Cortez di New York (cm 78 x 102).

1)  Cristo mostrato al popolo, 1609 circa, New York, già Collezione Cortez

Sulla scena compaiono quattro personaggi che si dispongono secondo un andamento ellittico, a semicerchio, in cui emergono particolarmente Pilato, a sinistra, dall’aspetto dubbioso e meditativo il quale indossa un abito violaceo sul quale è appena appoggiata la clamide rosso-porpora (fig.1), e, a destra, il Cristo, remissivo e raffigurato come “vittima pasquale”, con le braccia incrociate e reggente con la mano destra lo scettro fatto di canna. In una delle quattro versioni conosciute dell’opera, oggi a Torino (fig. 2), si nota maggiormente il tono violaceo dell’abito, meno evidente nella versione Cortez.

2) Cristo mostrato al popolo, 1609 circa, Torino, collezione privata

Tornando alla descrizione del quadro, osserviamo ora gli altri due personaggi che presenziano allo svolgersi dell’evento evangelico: accanto a Pilato, un manigoldo dalla barba folta – il quale protende il suo braccio sinistro con l’indice puntato sul Cristo (l’ombra della sua mano si proietta sul braccio destro di Gesù) – che “ha un’espressione quasi commiserativa” (M. Marini); ma l’altro personaggio, che protende Cristo alla folla sbeffeggiandolo, ha un viso al limite del grottesco con la bocca semiaperta, gli occhi torvi e la fronte corrugata.

Maurizio Marini osservava giustamente come i personaggi appena descritti mostrino alcune similitudini, dal punto di vista fisiognomico, con le figure in posa per la Natività di Messina (fig. 3), che sappiamo, dalle ultime scoperte documentarie, essere stata eseguita a Napoli ( https://www.aboutartonline.com/la-scoperta-di-tre-documenti-inediti-sulla-adorazione-dei-pastori-di-messina-di-caravaggio-1609/) intorno al 1609 e poi spedita a Messina nello stesso anno:

3) Caravaggio, Adorazione dei pastori (Natività), 1609, MU.ME., Messina

riconosco in entrambi i dipinti  i due personaggi vestiti da popolani che avranno certamente posato per l’artista a Napoli nel 1609-1610, ovvero il manigoldo con la barba fluente e l’uomo calvo e corrucciato che mostra Cristo al popolo. A proposito dell’ultima figura appena descritta – l’uomo calvo dai lineamenti al limite del grottesco – è un topos che ritorna frequentemente, anche se con alcune varianti, negli ultimissimi dipinti del Caravaggio, ma anche dei suoi allievi.

Tra i dipinti dove è più stringente tale confronto è il Cavadenti (fig. 4) di Palazzo Pitti a Firenze, opera ancora molto dibattuta nonostante le citazioni documentarie (Mina Gregori: https://artepiu.info/caravaggio-cavadenti-pitti/ ), sia per la presenza di un uomo dalla calvizie molto accentuata (anche se la figura può sembrare ridipinta) che per la stessa disposizione a semicerchio dei personaggi a sinistra che viene reiterata nel Cristo mostrato al popolo.

4) Caravaggio ( ? ), il Cavadenti, Firenze, Galleria Palatina

Persino in un dipinto di Cecco del Caravaggio (fig. 5) ricompare uno sgherro completamente calvo e dai lineamenti grotteschi e caricati (si guardi al dipinto raffigurante il Martirio di San Sebastiano di Varsavia).

5) Cecco del Caravaggio, Martirio di S. Sebastiano, Varsavia, Museo Nazionale

Nella pittura napoletana l’opera in oggetto ha sortito una fortuna davvero senza precedenti. Prendiamo ad esempio il bel dipinto di Carlo Sellitto (1581- 1614) che nella sua Salomè con la testa del Battista (fig. 6) inserisce una figura barbuta e riccamente abbigliata di Erode, che appare in controparte rispetto al Pilato nel Cristo mostrato al popolo di Caravaggio.

6) Carlo Sellitto, Salomè ed Erode, Coll. privata

Sellitto è stato tra i primissimi seguaci del Caravaggio a Napoli, ma la sua morte precoce ha fermato per sempre lo sviluppo della sua pittura in chiave naturalistica. Altri riflessi si colgono nei quadri di Battistello Caracciolo (1578-1635), quali ad esempio nell’Ecce Homo dell’Ermitage di San Pietroburgo (fig. 7).

7) Battistello Caracciolo, Ecce Homo, San Pietroburgo, Museo dell’Ermitage

Colpisce lo stesso modo di disporre la figura di Cristo piegata in avanti e con le mani l’una sopra l’altra; persino la sfilacciatura nel panno bianco che cinge i fianchi di Cristo è molto simile in entrambi i dipinti.

In un’altra opera, conservata presso il santuario di San Francesco, fondatore dell’Ordine dei Minimi, a Paola in Calabria (fig. 8) sopravvive l’influsso di questa scomparsa opera caravaggesca: il dipinto, attribuito erroneamente a Battistello, è una ripresa puntuale del Cristo mostrato al popolo di Caravaggio anche se con qualche variante.

8) Anonimo caravaggesco di area meridionale, Ecce homo, Paola, Santuario

Credo fortemente che Caravaggio abbia concepito quest’opera di soggetto evangelico a Napoli nel 1609-1610 in quanto i riflessi sulla contemporanea, ma anche di poco successiva, pittura napoletana appaiono molto evidenti. Mina Gregori ha sostenuto che il soggetto derivasse da una commissione siciliana relativa alle quattro Scene della Passione richieste dal nobile messinese Niccolò di Giacomo nel 1609; nel 2004 la studiosa avrebbe rintracciato l’originale, ora in collezione privata a Torino, esposto pubblicamente alla mostra L’ultimo Caravaggio.

Marini aveva autenticato la versione Cortez, mentre ne esiste un’ulteriore redazione, conservata presso il Santuario del Bambin Gesù di Praga ad Arenzano, autenticata da Gianni Papi nel 1990. Il sottoscritto ritiene che l’originale vada ancora ritrovato ma è chiaro come questo soggetto fosse stato emulato e copiato da altri pittori meridionali della cerchia del Caravaggio in quanto godette di una certa fortuna tra la fine del primo decennio del Seicento e gli inizi di quello successivo soprattutto a Napoli.

Francesco CARACCIOLO  Vicenza 6 Aprile 2025

Fonti bibliografiche 

  1. Scaletti, Caravaggio, catalogo ragionato delle opere autografe, attribuite e controverse, Ed. Paparo, 2017
  2. Marini, Caravaggio, Michelangelo Merisi da Caravaggio pictor praestantissimus, Newton Compton Ed., stampato a Vicenza nel 1987
   3. L’ultimo Caravaggio, Electa Banca Intesa, Milano, 2004
  4. Davanti al naturale, raccolta di saggi, G. Papi, Novità per Carlo Sellitto, Officina Libraria, Milano, 2017
 5. Cecco del Caravaggio, Art Dossier a cura di Gianni Papi, Giunti, 2023
6. Zuffi, Episodi e personaggi del Vangelo, Electa, Milano, 2002
NOTA
[1] Le quattro redazioni del quadro in oggetto si trovano in diversi contesti e furono studiate da specialisti del Caravaggio con esiti molto diversi: la prima versione, ora a New York in collezione Cortez, è stata autenticata da Maurizio Marini; una seconda versione torinese è stata oggetto di studi da parte di Mina Gregori nel 2004; la terza versione è quella studiata da Gianni Papi nel 1990 con un articolo sulla rivista Paragone; infine, la quarta versione è copia mediocre conservata in Spagna.