Luigi Gentile “Virtuoso del Pantheon” e “Principe di san Luca”; novità e inediti di un grande artista europeo in un saggio di Massimo Pulini

di Massimo PULINI

Cambi di nome e nuove identità

Dalle tracce incerte di Giovan Battista Speranza  alla riscoperta di Luigi Gentile 

dedicato a Fiorella Frisoni e Vera Fortunati

Louis Cousin, Luis Cosyn, Aloygio Gousin, Luigi Gentillo, Lodewyk Gentile, Lowis Gentil, Lewis Gentel, Ludowicus Gentili, Lucilio Gentiloni, Luigi Gentile, Luigi Primo, Aluvisium Gientilem, Primo Gentiel, Gentile da Bruxelles.

Queste sono le labirintiche varianti di nome attraverso le quali viene citato nelle fonti antiche un artista fiammingo che riscosse in vita un considerevole successo, sia nella prima patria che in quella d’adozione: l’Italia. Lavorò per regnanti di mezza Europa e per papi, spaziando dalla ritrattistica all’ideazione di arazzi, così come dallo stile caravaggesco al classicismo purista, dimostrando una duttilità di pennello che andava dalla miniatura alla pala d’altare, dalla pittura parietale a quella su rame.

Gli stessi suoi colleghi gli riconobbero grandi meriti accogliendolo tra i Virtuosi del Pantheon ed eleggendolo per due mandati, tra il 1651 e il 1653, a Principe dell’Accademia di San Luca[1]. Fu sodale dei massimi artisti italiani dell’epoca e ritornando nelle Fiandre strinse amicizia fraterna con Johannes Vermeer, portando in quelle terre le ultime novità artistiche da Roma e dal regno delle due Sicilie.

Eppure la notorietà e il grande rispetto che gli vennero tributati sul campo non sono stati sufficienti a mantenere vivo il ricordo di un pittore raffinato nella maniera, almeno quanto doveva esserlo nella persona fisica. Furono infatti i modi dolci e la fisionomia delicata che gli valsero il soprannome di Gentile, entro e fuori la confraternita dei pittori fiamminghi dell’Urbe, caratteri e stile che si sono sfumati al punto da risultare oramai quasi del tutto dimenticati.

Anche la moltiplicazione dei nomi ha forse finito per porre un ulteriore ostacolo al ricordo e può tornare utile ora una semplificazione che metta a fuoco l’artista, nello stesso momento in cui se ne tenta una migliore percezione storica.

Nella vasta rassegna su La Pittura in Italia. Il Seicento del 1988[2], ritroviamo una scheda bio-bibliografica sotto la voce Gentile elevata a cognome e associata al nome italianizzato di Luigi, già anche il Passeri (1772) usava questa dicitura nella sua biografia è dunque col binomio di Luigi Gentile che chiamerò l’artista.

Raccontare come io sia arrivato ad occuparmi di Luigi Gentile (Ninove, Bruxelles 1606 – Bruxelles 1667) dovrebbe risultare di poco interesse, ma in questo caso il tragitto contiene materia di romanzo ed è nel raggio delle affinità stilistiche che il tempo annida gli equivoci, così certe ricerche nate in dedica a un artista talvolta finiscono per approdare in altri canti.

Diversi anni fa ho iniziato a condurre un’ampia indagine intorno ad alcune figure che formatesi negli anni Trenta del Seicento, in un contesto classicista di ascendenza bolognese e sulla scia di Reni e Domenichino, sposarono una ‘linea morbida’ che li portò nelle terre più estreme del purismo.

Mi riferisco in primis al Sassoferrato[3], a Giandomenico Cerrini e a una schiera di figure meno note come Mattia da Farnese, la bolognese Ginevra Cantofoli[4], il romano di origini germaniche Lorenzo Greuter[5], ma anche i francesi Raynaud Levieux6] e Pierre Mignard.

Studiando quell’ampio contesto idealizzante mi ero imbattuto in opere che rivelavano anche una eco caravaggesca o quantomeno naturalista, retaggio forse di precedenti rapporti o segno della contiguità che certi attori tenevano con compagnie solitamente ‘rivali’. Posso ricordare un bellissimo dipinto raffigurante Lot e le figlie, conservato nella raccolta romana dei Pallavicini (Foto 1) e tradizionalmente riferito a Giovan Battista Speranza [7] (Roma 1600-1640).

1) Luigi Gentile (qui attribuito), Lot e le figlie, Roma, Galleria Pallavicini

Un’opera che dimostra la vicinanza col più intenerito e sentimentale tra i caravaggeschi -lo Spadarino– assieme a interessi per il classicismo e per la coeva pittura napoletana.

A quel primo testo associai, per unità di stile, una grande tela con l’Incredulità di San Tommaso della National Gallery di Dublino[8] (Foto 2),

2) Luigi Gentile (qui attribuito), Incredulità di San Tommaso, Dublino, National Gallery

ritenuta del genovese Orazio de Ferrari, ma che ai miei occhi dimostrava la medesima mano creativa.

I pochi dipinti che le fonti riferivano al pittore romano andavano, per la verità, in altra direzione (Tavola A),

Tavola A. Giovanni Battista Speranza, Adorazione dei pastori, Roma, Santa Maria Sopra Minerva

aderendo a un barocco reso più corsivo dalla tecnica ad affresco, ma bastò quel duetto a distanza tra i due dipinti notturni e naturalistici per farmi appassionare al nome di Giovanni Battista Speranza e a mettermi alla ricerca di altri loro fratelli di sangue.

Il primo gruppo che raccolsi comprendeva un Martirio di Sant’Andrea [9] (Foto 3), un Ercole e Acheloo [10 (Foto 4), una Madonna col Bambino Santa Elisabetta e San Giovannino [11] (Foto 5)

5) Luigi Gentile (qui attribuito), Madonna col Bambino, Sant’Elisabetta e San Giovannino, già Sotheby Monaco 9 giugno 2009

e due piccole tele con un Profilo muliebre (Foto 6) e un Abbraccio tra la Pace e la Giustizia [12] (Foto 7).

Ma un cambio di passo estetico nella cernita che stava crescendo avvenne quando trovai affinità stringenti con due opere possedute dal Museo Pushkin di Mosca e giudicate fino ad allora di un anonimo artista bolognese[13]. Due vaste tele che pur mantenendo certi caratteri del gruppo, aprivano ad una classicità più spinta e complessa. Anche questi dipinti evocano convitti mitologici, uno racconta un’Allegoria Fluviale con Nettuno e il ciclo dell’acqua (Foto 8) mentre l’altro è strettamente legato all’episodio di Ercole e Onfale (Foto 9) pur avendo anch’esso singolari richiami allegorici.

8) Luigi Gentile (qui attribuito), Allegoria dei fiumi con Nettuno e il ciclo dell’acqua, Mosca, Puskin
9) Luigi Gentile (qui attribuito), Ercole e Onfale, Mosca, Puskin

Quest’ultimo, in particolare, col suo festoso corredo di amorini e col ricorrere di fisionomie dolci, segnate da fronti larghe, ai limiti della macrocefalia, mi permise di codificare una ricorrenza di caratteri che sarebbero tornati utili a irrobustire il corpus del ritrovato artista.

Le vicende di Giovan Battista Speranza, vissuto nella prima metà del Seicento, mi parvero da subito strettamente intrecciate al significato simbolico del suo stesso nome, ma anche all’amore per una donna, nonché alla pratica quotidiana e ossessiva della pittura.

Sono legate in almeno due sensi a una breve vita, sia perché quel mezzo secolo non venne nemmeno colmato dagli anni di Giovan Battista, sia per le severe righe che gli dedicò il suo biografo Giovanni Baglione [14]. Suscita comunque stupore il fatto che un artista oggi così poco frequentato dagli studi, da non riuscire a mettere insieme che una manciata scarsa di opere, meritasse allora, agli occhi di un attento osservatore delle vicende pittoriche, il doppio preciso dello spazio concesso per le vite di Giovanni Serodine, di Tommaso Salini, ma pure di Palma il Giovane, Bartolomeo Manfredi e perfino del grande Federico Barocci.

Poche o molte che siano, le due pagine dedicate a Speranza sembrano servire al cronista per lanciare un monito rivolto ai giovani artisti, perché le virtù della loro alta professione non venissero intaccate e corrose dal vizio dell’amore.

Entro un giro di parole retoriche e di sottintesi si racconta di come Giovan Battista si fosse innamorato di una femmina perduta e, perduto lui stesso al seguito di lei, avesse smarrito la via del giusto stile, la strada di una pittura che, seppure ancora giovane, lo aveva visto compiere cose eccellenti e lo avrebbe di certo portato alla fama e alla stima pubblica. Così non fu e il giovane, a quanto quella ‘vita’ ci riporta, iniziò a dipingere senza regola per assecondare le continue brame dell’amata, “con strapazzo faceva i lavori, e con la mira attendeva solamente al guadagno”. Il biografo conclude ad estremo memento che Speranza

in casa di quella Donna si ammalò, e di dolore di stomaco in ventiquattro hore miseramente se ne morì; vogliono, che in quell’atto la sposasse, e avanti di lasciar la vita, la prendesse per sua moglie[15].

Alla prima lettura di questo testo sorge il sospetto di trovarsi di fronte ad una formula stereotipata, ad un topos biografico e letterario di ottocentesca memoria, secondo il quale la vita bohemien dell’artista si svolgeva tra atelier gelidi e letti ospitali, tra stenti economici, precarietà fisiche e dissoluzioni delle virtù nell’acido del peccato.

Ma una ricercatrice d’archivio, Francesca Falinetti[16], ha fortunatamente ritrovato sia i documenti relativi al matrimonio, che l’atto di morte di Giovan Battista, effettivamente coincidenti nel medesimo giorno di fine giugno del 1640.

Se dall’informato ma ottuso Baglione tutto questo venne interpretato quale irretimento di una malafemmina, ai miei occhi va letto come un ultimo gesto d’amore, che andava a sancire in extremis un legame sentimentale, nel dichiarato intento di lasciare all’amata i propri beni materiali, di certo le pitture, le cose guadagnate in anni di lavoro.

Quando poi ritrovai due quadri che rappresentano una Allegoria della Speranza che allatta Amore[17] (Foto 10 e 11) consolidai la convinzione che fossero espressione di un Autoritratto allegorico, dunque una firma implicita di tutto il nucleo che si era aggregato soprattutto per via di parentele stilistiche e sull’appoggio di un’unica attribuzione tradizionale, quella della collezione Pallavicini.

Solo la Speranza nutre l’Amore e non vi è Amore senza un minimo di Speranza.

Immaginare un artista che rappresentava sé stesso nella parafrasi di un concetto erotico già in uso nell’antichità, apriva ai mei occhi uno squarcio biografico di grande suggestione.

Ma proprio nel momento in cui pensavo di aver trovato la più affascinante prova intorno al nome di Speranza, che permetteva anche un corredo romantico alla storia narrata dal Baglione, dovetti ricredermi e riflettere sulle ingegnose ironie del destino nel creare malintesi e depistaggi.

Nel catalogo di una mostra newyorkese dedicata a Vermeer and the Delft school [18], veniva pubblicato un dipinto di grande bellezza, con un Lamento di Venere sul corpo morto di Adone del Kunsthistorisches Museum di Vienna (Foto 12), opera certa e documentata di Luigi Gentile, databile tra il 1655 e il 1657 ed eseguita per il granduca Leopoldo I.

12) Luigi Gentile, Lamento di Venere su Adone morente, Vienna, Kunstistorisches Museum
13) Luigi Gentile, La Madonna porge il Bambino a Sant’Antonio da Padova alla presenza di San Giovanni Battista, Roma, San Marco

Bastarono poche verifiche per ritrovare altre opere sicure di Gentile, che andavano a confermare lo stile e l’articolato percorso espressivo del pittore fiammingo che era divenuto romano per vocazione. Uno stile che coincideva con le opere che avevo raccolto intorno al nome di Speranza.

Tante furono le commissioni pubbliche nell’Urbe lungo i trent’anni nei quali Luigi Gentile rimase in Italia. La Madonna che porge il Bambino a Sant’Antonio da Padova della chiesa di San Marco (Foto 13) di cui ho trovato una prima idea in piccolo formato[19] (Foto 14) e il Martirio di Santa Caterina di Santa Maria Maggiore (Foto 15) riuscirebbero da sole a fornire i nessi necessari per cucire i due gruppi di opere, andando a formare un insieme di eccezionale qualità e valore.

 

14) Luigi Gentile (qui attribuito), La Madonna porge il Bambino a Sant’Antonio da Padova alla presenza di San Giovanni Battista, già Bologna, aste Gregory, 28 novembre 2018

Seguire poi i tracciati che spinsero il fiammingo verso commissioni marchigiane   (Foto 16, 17, 18 e 19) [20]

19) Luigi Gentile, Natività, Pesaro, Cappuccini

mi ha permesso di ritrovare ulteriori inediti (Foto 20, 21 e 22) 

20) Luigi Gentile (qui attribuito), Natività, già Roma, Antichità Di Castro

che declinano anche la trasformazione estetica dell’artista, oltre alla sua capacità di adattarsi a diverse esigenze professionali.

23) Luigi Gentile (qui attribuito), Ritratto di François Duquesnoy, Roma, Accademia di San Luca

Sappiamo dalla biografia scritta dal Passeri che anche il Gentile ebbe trasporti amorosi che gli condizionarono la vita e il cronista motiva i suoi viaggi italiani con la necessità di sfuggire ai problemi connessi alle avventure erotiche del pittore.

Sempre il Passeri ci informa che a Roma Gentile fu un protetto dello scultore François Duquesnoy che nell’Urbe godeva di grande stima: “gli procurava dell’occasioni per portarlo avanti[21] e trovare riscontro stilistico in un Ritratto di Francesco Fiammingo (Duquesnoy) (Foto 23), aiuta a confermare le ricerche sul nuovo artista, sul nuovo nome di Luigi Gentile.

Di certo è nel radicamento romano e negli anni in cui fu al vertice dell’Accademia di San Luca, la più alta congregazione artistica, quasi un sindacato ante litteram, che Luigi riuscì a instaurare relazioni con le più importanti famiglie.

24) Luigi Gentile (qui attribuito), San Luca ritrae la Vergine, Roma, Galleria Pallavicini

Credo appartenga a quel preciso periodo (tra il 1651 e il 1653) anche un dipinto che qui gli attribuisco e che sembra costituire un ideale manifesto dell’Accademia romana.

La tela illustra il momento in cui La Vergine posa davanti a San Luca che la ritrae (Foto 24) [22], la scena si svolge nell’atelier del pittore evangelista, un vero e proprio laboratorio con tanto di calchi in gesso, opere abbozzate e la dotazione esibita di ogni strumento, segno di un protagonismo tematico del mestiere.

Il quadro è anch’esso conservato nella raccolta Pallavicini [23] come la prima opera di tutto il gruppo e si può dedurre quanto fosse consolidato il rapporto del fiammingo con quel nobile e cardinalizio casato, potendo aggiungere al nucleo di Gentile altre tre tele che si trovano nella medesima collezione: una Samaritana al pozzo (Foto 25),

25) Luigi Gentile (qui attribuito), Samaritana al pozzo, Roma, Galleria Pallavicini

una Venere con Amore giocoso (Foto 26) e un ovale con Giove nutrito dalla capra Amaltea (Foto 27).

Cinque pitture diverse, ma tutte riconducibili alla mano del fiammingo, fanno ritenere prolungato e di qualche costanza il rapporto di Gentile coi Pallavicini al punto da lasciar sperare in un riscontro inventariale che merita di essere verificato.

Altre due grandi opere inedite di evidente bellezza e di piena cultura romana sono un Apollo e Dafne (Foto 28) del Castello Sforzesco di Milano[24]

28) Luigi Gentile (qui attribuito), Apollo e Dafne, Milano, Castello Sforzesco

e una Scena di stregoneria alla presenza di Bacco (Foto 29 e 29a) di collezione privata, già attribuito a Andrea Camassei [25]. Di analoga tematica dionisiaca, forse un’Iniziazione è un quadretto conservato nel museo Magnin di Dijon (Foto 30) che in passato era ritenuto opera di Guido Cagnacci [26].

30) Luigi Gentile (qui attribuito), Scena di iniziazione alla presenza di Bacco, Dijon, Museo Magnin

Il Passeri ricorda il particolare successo riscosso da Gentile grazie a dipinti di piccolo formato:

In figure piccole era d’assai valore, perché oltre il finirle con diligenza grande le faceva d’assai buongusto, e vaghe, e nel fare i ritratti prevaleva al pari e forse più d’ogn’altro, perché si vedeva in quelle una certa esattezza di disegno et di componimento poco praticato da quelli che sogliono dipingere in piccolo [27]

A proposito di dimensioni ridotte posso qui presentare diversi dipinti e attraverso questi credo si manifesti la relativa facilità nel riconoscerli [28]  (Foto 31, 31a, 31b, 32, 33, 34, 35, 36, 37, 38, 39)

32) Luigi Gentile (qui attribuito), Galatea, già Parigi, Galerie Tarantino

36) Luigi Gentile (qui attribuito), Mosé salvato dalle acque, già New York, Christie 12 gennaio 1996
37) Luigi Gentile (qui attribuito), Ritrovamento di Mosé, già Milano, Masterart

e per alcuni è accertata la collaborazione con scultori di fama come l’Algardi o con grandi orefici come il Perone[29] (Foto 40).

40) Luigi Gentile (con cornice di Francesco Perone), Presentazione al Tempio, Alba de Tormes, Monasterio de la Anunciaciòn

Questi minuti racconti, siano mitologici, allegorici o evangelici, vengono interpretati da identiche figure, che hanno corpo affusolato e volti tondeggianti, nei quali ricorre sempre l’ampia fronte già incontrata in tante opere.

Ma non è puramente un dettaglio fisico ad unire questi inconfondibili rappresentazioni del paesaggio arcadico. Le unisce un esplicito richiamo alla sobria pittura filosofica di Andrea Sacchi e a un classicismo che miscela la grazia festosa di Albani alle eleganze composte di Jeacques Stella.

Opere che immaginano toni sfumati e luce cristallina per descrivere le muse e gli amori degli Dei, nello stesso momento in cui allestiscono la scena di un dramma derivante dai poemi cavallereschi.

Alcune interpretazioni dell’Antico Testamento, trattate con tono aulico e talvolta con trasporto epico, sembrano anticipare lo storicismo di Charles Le Brun, facendo comprendere quanto scambio di partita doppia l’artista avesse instaurato coi cugini francesi.

La vasta serie già nota delle opere eseguite per i Moncada [30], che dovettero comportare un soggiorno siciliano, ci mostra il pittore alle prese con impegni di chiara funzione encomiastica; sono modelletti pittorici miniaturizzati e dipinti su rame (Foto 41, 42, 43) che anticipano il risultato finale di una traduzione tessile.

41) Luigi Gentile e Jan Van Kessel, Guglielmo Moncada e il re d’Aragona, Londra, J. Van Haeften

In questo caso dovette giocare a favore la sua origine di Bruxelles, patria indiscussa dell’arazzeria e va registrata la collaborazione con maestranze di questo specifico settore, oltre che con specialisti in festoni fioriti come Jan Van Kessel. Nel Seicento l’interesse e il rispetto per questa nobile applicazione artistica erano tali che chiunque lavorasse nella filiera creativa acquisiva una dispensa totale dalle tassazioni, così accadde anche per Gentile [31].

Impressiona comunque la versatile applicazione di un ingegno multiforme, disposto a spaziare di genere così come di stile, fino a ridurre a minime dimensioni la ritrattistica (Foto 44, 45, 46, 47, 48). Aggiungo alcuni inediti a questa medesima serie presentata da Lina Scalisi.

48) Luigi Gentile (qui attribuito), Ritratti ideali di Don Gaston de Moncada e sua moglie, (miniatura), Collezione privata

Ancora da ricostruire a pieno è la produzione ritrattistica di grande formato nella quale eccelle sia nel ricordo documentale che nelle poche prove fino ad ora riemerse. Si pensi al Ritratto di gentiluomo e di gentildonna anconetani del Waters Museum di Baltimora [32] (Foto 49 e 50) che hanno arricchito con livelli apicali il periodo marchigiano dell’artista.

Si può tranquillamente dire che non trovino eguali in tutto il Seicento europeo e implicano una sapienza scenica assoluta nella scelta di stagliare le figure in abito nero su splendidi scorci della città portuale, toccati da una luce cinerina e brillante.

51) Luigi Gentile (qui attribuito), Miracolo di San Bartolomeo che risana uno storpio, Bergamo, Diocesi

Un carteggio sopravvissuto ci restituisce una istantanea che coglie l’artista in Lombardia mentre risponde ai suoi committenti di Pesaro, promettendo un prossimo arrivo e un pronto esaudimento delle richieste giuntegli.

Probabilmente Luigi si trovava in terre padane per compiere altri incarichi, percorrendo gli stessi itinerari dei tanti artisti vaganti per la penisola, come Gregorio Preti, Giacinto Brandi o Lorenzo Greuter e chissà che una pala d’altare inedita con un Miracolo di San Bartolomeo che risana uno storpio (Foto 51), ingiustamente ritenuta del luganese Discepoli, non si dimostri il vero motivo di quella trasferta [33].

Lo stile tornito, il chiaroscuro caldo e polveroso del dipinto lombardo si avvicinano ai modi di un‘Allegoria di eccezionale bellezza che qualche tempo fa transitò a Venezia come opera di anonimo napoletano[34] (Foto 52)

52) Luigi Gentile (qui attribuito), Allegoria, già Venezia, Semenzato ottobre 1988

Non presenterò tutta la cernita che ho messo insieme intorno al nome di Luigi Gentile, ripromettendomi di tornare sull’argomento, a mio avviso ricco ancora di scoperte e sorprese. Anche fermandoci a questi numeri si può ampiamente affermare che le elogiative note riferite dai contemporanei circa le qualità e i successi dell’artista fiammingo fossero veritiere e meritate.

Termino con due opere che di recente mi sono state presentate da collezionisti italiani accompagnate da un’attribuzione a Ginevra Cantofoli e che invece documentano un ulteriore capitolo particolarmente aggraziato di Luigi. Parlo di una Samaritana al pozzo [35] (Foto 53) 

53) Luigi Gentile (qui attribuito), Samaritana al pozzo, collezione privata

e una Allegoria della Pittura [36] (Foto 54)

54) Luigi Gentile (qui attribuito), Allegoria della Pittura, collezione privata

che in effetti hanno tangenze con i primi numeri dai quali partì la mia ricerca sulla pittrice bolognese: l’Allegoria della Pittura di Brera (Tavola B)

Tavola B. Ginevra Cantofoli (o Luigi Gentile?), Allegoria della Pittura, Milano, Brera

e la Sibilla di Palazzo Barberini (Tavola C), già considerata erroneamente un Ritratto di Beatrice Cenci.

Tavola C. Ginevra Cantofoli (o Luigi Gentile?), Sibilla (già ritenuto ritratto di Beatrice Cenci), Roma, Galleria Nazionale di Palazzo Barberini

Nonostante le attribuzioni a Ginevra Cantofoli fossero state avanzate da altri (agli inizi del Novecento per l’Allegoria di Brera e negli anni Sessanta il primo fu Renzo Grandi ad accostarvi la famosissima tela romana) avevo accettato quei riferimenti ormai storicizzati come pietre miliari alla rinascita della pittrice bolognese.

Alla luce del vasto materiale che presento ora sotto il nome di Luigi Gentile, come fosse un diamante grezzo ancora da rifinire, qualche nuovo dubbio lo aggiungo a quelli che già nutrivo e esplicitavo durante la scrittura del mio libro su Ginevra.

Non nego inoltre che la conferma di una amicizia profonda tra Gentile e Vermeer porterebbe acqua alla convinzione che in quel periodo di studi si era già definita, vale a dire che il grande olandese, pur non essendo mai venuto in Italia, avesse potuto conoscere una delle numerose varianti della Sibilla-Cenci.

Tavola D. Johannes Vermeer, Ragazza con orecchino di perla, Den Haag, Mauritshuis Museum

Il confronto tra la malinconica icona romana e l’altrettanto mitizzata Ragazza con l’orecchino di perla (Tavola D), di Johannes Vermeer è illuminante ed è credibile possa essere stato lo stesso Gentile a far giungere nelle Fiandre quelle novità sentimentali di ascendenza bolognese [37].

Non è un caso che la Sibilla romana, così mesta da essere identificata con una parricida-martire in attesa del patibolo, sia stata considerata opera di Guido Reni. L’equivoco si è protratto oltremodo nel tempo e anche in recenti occasioni l’abitudine è stata rinnovata.

La materia è troppo rilevante per sciogliere la riserva attributiva della Sibilla Barberini sul photofinish di un saggio. Se fosse stato Gentile a dipingerla verrebbe di certo ridimensionato il corpus di Ginevra Cantofoli che avevo io stesso ricostruito soprattutto su base stilistica. Dato lo scottante argomento torna utile questa rivista di studi per sollecitare pareri di altri ricercatori, mi riprometto di tornare a breve e più estesamente sul tema, per il momento mi basta avanzare l’ipotesi che un dipinto simile alla Sibilla-Pseudo Cenci, sia stato ammirato da Vermeer e da questi utilizzato come modello ispiratore.

Massimo PULINI  Rimini 23 luglio 2020

NOTE
[1] Nel 1650 è ricordato tra i Virtuosi del Pantheon e tra il 1651 e il 1653 venne eletto Principe dell’Accademia di San Luca, istituzione di grande prestigio che lui stesso contribuì a divenire maggiormente selettiva. Joachim von Sandrart, Teutsche Academie der Bau Bild und Mahlerey Kunste, Norimberga 1675, parla dei vari riconoscimenti ricevuti in vita dal Gentile. Giovanni Battista Passeri, Vite de’ Pittori, scultori ed architetti che hanno lavorato in Roma, morti dal 1641 fino al 1673, Vienna, (a cura di J. Hess, 1934, pp. 241-244, realizza una biografia che ci restituisce la grande considerazione che l’artista ricevette dai contemporanei.
[2] Pubblicazione curata da Mina Gregori ed Erich Schleier, edita da Electa nel 1988, sub vocem.
[3] Massimo Pulini, Il Sassoferrato, un preraffaellita tra i puristi del Seicento, Cesena, 2009.
[4] Massimo Pulini, Ginevra Cantofoli. La nuova nascita di una pittrice nella Bologna del Seicento, Bologna 2006.
[5] Vedi Massimo Pulini, Il Tempo di Lorenzo Greuter dopo il Maestro delle Vanitas e lo Pseudo Cerrini, in “About Art On Line”, dicembre 2017.
[6] Vedi Massimo Pulini, Le due Veneri di Reynaud Levieux, artista prossimo a Desubleo, in Storia dell’Arte 132, aprile-agosto 2012.
[7] Luigi Gentile (qui attribuito), Lot e le figlie, Roma, Galleria Pallavicini, olio su tela, cm. 97,8 x 135, come Giovanni Battista Speranza, vedi Zeri F., La Galleria Pallavicini in Roma. Catalogo dei dipinti, 1959, pp. 250-251.
[8]Luigi Gentile (qui attribuito), Incredulità di San Tommaso, (Foto 2) Dublino, National Gallery come opera di Orazio De Ferrari. Nel 2006 pubblicai il dipinto proponendone una attribuzione a Giovanni Battista Speranza, entro il citato libro dedicato a Ginevra Cantofoli, 2006, p. 38, vedi nota n. 4.
[9] Luigi Gentile (qui attribuito), Martirio di Sant’Andrea, (Foto 3) Londra, Christie 23 luglio 1982 come anonimo napoletano, nell’Archivio Federico Zeri, scheda n.105287 è registrato come opera di Andrea Sacchi, olio su tela, cm. 68,5 x 81.
[10] Luigi Gentile (qui attribuito), Ercole e Acheloo, (Foto 4) Madrid, collezione privata. Pubblicato come Agostino Beltrano in Inediti del Seicento napoletano aggiunte ad Agostino Beltrano da Achille della Ragione (vedi Guide Campanie web, sub vocem).
[11] Luigi Gentile (qui attribuito), Madonna col Bambino dormiente con Sant’Elisabetta e San Giovannino, (Foto 5), già Roma, Antichità Gasparrini, come anonimo. Già Milano Sotheby, 9 giugno 2009 Lot 37, olio su tela, cm. 135,5 x 96 come scuola romana circa 1700.
[12] Luigi Gentile (qui attribuito), Profilo muliebre, (Foto 6), già mercato antiquario come anonimo, ora collezione privata; Luigi Gentile (qui attribuito), Allegoria della Pace e della Giustizia, (Foto 7) già Firenze, Pandolfini 12 dicembre 1991, come anonimo.
[13] Luigi Gentile (qui attribuito), Allegoria dei fiumi con Nettuno e il ciclo dell’acqua, (Foto 8) e Ercole e Onfale (Foto 9), Mosca, Puskin come scuola bolognese.
[14] Giovanni Baglione, Le vite de’ pittori, scultori et architetti. Dal Pontificato di Gregorio XIII del 1572 in fino a’ tempi di Papa Urbano VIII nel 1642, Roma, 1642. p. 242.
[15] Giovanni Baglione, Op. Cit. p. 242.
[16] Francesca Falinetti ha reso noto alcuni ritrovamenti d’archivio che confermano come coincidenti la data di morte del pittore con quella del suo matrimonio.
[17] Luigi Gentile (qui attribuito), Allegoria della Speranza che allatta Amore, (Foto 10) già Middlesbrough, NorthEast Auctions 26-27 maggio 2012 come scuola di Carlo Cignani, lot 82 cm. 25 x 23,5. Luigi Gentile (qui attribuito), Speranza che allatta Amore, (Foto 11) già Roma, aste L’Antonina, come anonimo francese.
[18] Luigi Gentile, Lamento di Venere sul corpo morto di Adone del Kunsthistorisches Museum di Vienna (Foto 12), olio su tela, cm. 173 x 332. Eseguito per il Principe Leopoldo d’Austria, come anche ricordato dal Passeri, Op. Cit. p. 242. L’opera è stata pubblicata e commentata nel catalogo della mostra di New York, Vermeer and the Delft school, 2001, p. 13 in un saggio di Walter Liedtke, curatore dell’esposizione. Si rimanda a quel testo anche per i rapporti di amicizia intrattenuti con Johannes Vermeer.
[19] Luigi Gentile, La Madonna che porge il Bambino a Sant’Antonio da Padova alla presenza di San Giovanni Battista, Roma, chiesa di San Marco (Foto 13). Recentemente è transitata sul mercato antiquario bolognese (aste Gregory 28 novembre 2018) una piccola tela di identico soggetto che potrebbe dimostrarsi una prima idea compositiva per la commissione condotta per la chiesa romana di San Marco (Foto 14), come anonimo romano del XVII secolo, olio su tela, cm. 46×35. Luigi Gentile, Martirio di Santa Caterina, (Foto 15), Roma, Santa Maria Maggiore, già ricordata dal Passeri, Op. Cit. 242.
[20]Luigi Gentile, Martirio di Santo Stefano, (Foto 16) Pesaro, Cappuccini, olio su tela, cm. 250 x 170; Luigi Gentile, Orazione nell’orto, (Foto 17) Pesaro, Cappuccini, olio su tela, cm. 300 x 200; Luigi Gentile, Santa Margherita, (Foto 18) Urbino, Galleria Nazionale delle Marche, eseguita per la distrutta chiesa di Santa Margherita di Ancona; Luigi Gentile, Natività, (Foto 19) Pesaro, Cappuccini, olio su tela, cm. 250 x 170; Luigi Gentile (qui attribuito), Cristo nutrito dagli angeli, (Foto 22) Pesaro, Cappuccini, olio su tela cm. 185 x 300. Luigi Gentile (qui attribuito), Natività, (Foto 20) già Roma, Di Castro come Jan Miel, olio su rame cm. 50 x 38. Luigi Gentile (qui attribuito), Natività, (Foto 21), Monaco, Collezioni statali bavaresi come opera di Francesco Albani.
[21] Giovanni Battista Passeri, Op. Cit. pp. 241-244.
[22] Luigi Gentile (qui attribuito), Ritratto di François Duquesnoy, (Foto 23) Roma, Accademia di San Luca. Luigi Gentile (qui attribuito), La Vergine posa davanti a San Luca che la ritrae (Foto 24), Roma, Galleria Pallavicini, come opera di Andrea Camassei, olio su tela, 68,7 x 50,8, vedi F. Zeri, op, cit, 1959.
[23] Va di certo ancora indagato il rapporto di Luigi Gentile sia con il casato Pallavicini che con quello Rospigliosi, entrambe le famiglie infatti fecero confluire opere che oggi appartengono alla importante Galleria romana, posta sul colle del Quirinale. Le altre opere che attribuisco al Gentile e che appartengono alla medesima raccolta sono: una Samaritana al pozzo, (Foto 25) conservata come opera di scuola napoletana, una Venere e Amore, (Foto 26) come anonimo romano e un Giove nutrito dalla capra Amaltea (Foto 27), sempre classificato nella Galleria come anonimo romano del XVII secolo.
[24] Luigi Gentile (qui attribuito), Apollo e Dafne, (Foto 28) Milano, Castello Sforzesco, olio su tela, cm. 145×200 inv. 1429 come anonimo romano
[25] Luigi Gentile (qui attribuito), Scena di stregoneria alla presenza di Bacco, (Foto 29) Svizzera, collezione privata come Andrea Camassei, olio su tela, cm 300 x 400. Pubblicato come Camassei nella monografia di Silvestro Nessi, Andrea Camassei. Un pittore del Seicento tra Roma e l’Umbria, 2005, p. 131-133.
[26] Luigi Gentile (qui attribuito), Scena di iniziazione alla presenza di Bacco, (Foto 30) Dijon, Museo Magnin, olio su tela, cm. 32,5 x 43
[27] Giovanni Battista Passeri, Op. Cit. pp. 241-244.
[28] Questa nutrita serie di opere piccole costituisce, io credo, un importante contributo alla conoscenza delle doti espressive dell’artista fiammingo, dato che tutte le fonti ne ricordavano la qualità e la grazia, ma non si era ancora potuto trovare conferma adeguata a tali encomi espressi dai suoi contemporanei. Luigi Gentile (qui attribuito), Venere incontra Apollo e le Muse, (Foto 31) Collezione privata, olio su tela, cm. 76 x 87,5, è già transitata di recente nel mercato antiquario sotto il nome di Luigi Gentile da me stesso segnalato attraverso una scheda storico critica nella quale già avanzavo l’attribuzione. Luigi Gentile (qui attribuito), Galatea, (Foto 32) già Parigi, Galerie Tarantino, come opera di Gian Gioseffo Dal Sole, olio su tela, cm. 51 x 70. Luigi Gentile (qui attribuito), Galatea, (Foto 33) Pinacoteca Tosio Martinengo di Brescia come opera di anonimo bolognese, olio su tela, cm. 53,5 x 40, inv. 118, vedi anche il catalogo della mostra Da Romanino e Moretto a Ceruti. Tesori ritrovati della Pinacoteca Tosio Martinengo, Brescia 2006, entro il quale Fiorella Frisoni riferisce la piccola opera a Giovan Francesco Romanelli (p. 39). Luigi Gentile (qui attribuito), Offerta delle Muse a Minerva, (Foto 34) già Londra, Sotheby 10 dicembre 2015, come ‘anonimo francese del XVII secolo’, olio su tela, cm. 41,1 x 52,7. Luigi Gentile (qui attribuiti), Giacobbe e le figlie di Jetro, (Foto 35) e Mosé salvato dalle acque, (Foto 36) entrambi transitati a New York, Christie 12 gennaio 1996 come Giacinto Gimignani. Un altro Ritrovamento di Mosé, (Foto 37) è passato presso le aste Masterart di Milano, con un riferimento al francese Jeacques Stella. Mentre un antico riferimento a Gentile vanta un ennesimo Mosé salvato dalle acque, (Foto 38) conservato a Roma, nel Palazzo Corsini. Infine presento un’Offerta al tempio di Venere, (Foto 39) già Londra, Sotheby 14 dicembre 2000, come H. A. Favanne, olio su tela, cm. 73,5 x 100.
[29] Luigi Gentile (con cornice di Francesco Perone), Presentazione al Tempio, (Foto 40), Alba de Tormes, Monasterio de la Anunciaciòn. Per la cornice d’argento di Francesco Perone, per la collaborazione con questo importante orafo e la relazione professionale tra Gentile e Alesssandro Algardi si veda Lucia Ajello, Il “cornigiaro” Francesco Perone e il pittore Luigi Gentile, due nomi per un quadro custodito ad Alba de Tormes, in www1.unipa.it. Si veda anche J. Gash e J. Montagu, Algardi, Gentile and Innocent X: A Rediscovered Painting and its frame, in “The Burlington Magazine, 1980, p. 55e 56.
[30] Per le vaste commissioni che la famiglia Moncada affidò a Luigi Gentile si veda Lina Scalisi in La Sicilia degli heroi, Catania 2008. Luigi Gentile e Jan Van Kessel, Guglielmo Moncada e il re d’Aragona, (Foto 41) Londra, J. Van Haeften, olio su rame, cm. 54 x 68. Atelier di Albert Auwercx su dipinto di Luigi Gentile e Jan Van Kessel, Guglielmo Moncada e il re d’Aragona, (Foto 42) Arazzo cm. 420 x 434, Parigi, Hotel Potocki, Luigi Gentile e Jan Van Kessel, Guglielmo Moncada e la regina dormiente, particolare, (Foto 43) Londra, J. Van Haeften, olio su rame, intero cm. 54×68. Luigi Gentile, Ritratto ideale di Ferdinando d’Aragona, (Foto 44), olio su rame, cm. 36×26 Collezione privata. Luigi Gentile (qui attribuito), Ritratto ideale di Maria d’Aragona, (miniatura) (Foto 45) Collezione privata, cm. 36×26. Luigi Gentile, Ritratto ideale di Francesco Moncada II, (Foto 46) (miniatura), Collezione privata, cm. 36×26. Luigi Gentile (qui attribuito), Ritratto ideale di Antonio II Moncada, (miniatura), (Foto 47) Collezione privata, cm. 36×26. Luigi Gentile (qui attribuito), Ritratti ideali di Don Gaston de Moncada e sua moglie, (miniatura), (Foto 48) Collezione privata, cm. 37×30.
[31] Giovanni Battista Passeri, Op. Cit, p. 242
[32] Luigi Gentile, Ritratto di gentiluomo con veduta della città di Ancona, (Foto 49) Baltimora, Walters Art Gallery. Luigi Gentile, Ritratto di gentildonna, (Foto 50) Baltimora, Walters Art Gallery. Entrambe le opere sono su tela e misurano cm. 215 x 144,5. Sono provenienti dalla collezione romana di Marcello Massarenti (1902) dove erano attribuiti a Van Dyck.
[33] Luigi Gentile (qui attribuito), San Bartolomeo risana uno storpio, (Foto 51) Bergamo, Diocesi, olio su tela, cm. 330 x 200 databile al 1643, secondo la scheda presente nel Beweb della chiesa cattolica.
[34] Luigi Gentile (qui attribuito), Allegoria, (Foto 52) già Venezia, Semenzato ottobre 1988, olio su tela, cm. 168×145, come opera di anonimo artista napoletano.
[35] Luigi Gentile (qui attribuito), Samaritana al pozzo, (Foto 53) collezione privata, non conosco le misure del dipinto, la cui fotografia mi venne inviata qualche anno fa da un collezionista privato per un parere storico-critico.
[36] Luigi Gentile (qui attribuito), Allegoria della Pittura, (Foto 54) collezione privata, olio su tela, cm. 82×66. Anche in questo caso ho redatto una scheda richiestami dal proprietario dell’opera e qui riporto alcuni stralci esemplificativi. Non senza ragione questo bel dipinto, seppur inedito, è stato affiancato proprio al nome di una pittrice di pieno Seicento, quello della bolognese Ginevra Cantofoli (Bologna 1618 – 1672), tutrice e collaboratrice a sua volta di un’altra e più famosa artista: Elisabetta Sirani.  Non siamo distanti in effetti dall’altra Allegoria della Pittura, conservata a Brera, un dipinto dimostratosi centrale nella recente ricostruzione della dimenticata pittrice felsinea. Anche l’opera in parola (Foto 54) mostra un classicismo di ascendenza emiliana, ma altri caratteri come il tappeto, le piume e il corpo della figura, parlano una lingua più lontana ed hanno, si può dire, inflessione dichiaratamente fiamminga. Sono presenti nelle opere di Luigi Gentile fisionomie del tutto simili a quella in parola, spicca su tutti gli altri elementi la ricorrenza di fronti sporgenti e dilatate oltre la norma, un dettaglio che tuttavia non altera la grazia dei volti, anzi vi aggiunge un carattere infantile.
[37] Esplicitavo questa connessione già nel mio libro dedicato a Gienevra Cantofoli (vedi nota n. 4) al quale rimando anche per un ampio trattamento circa la fama e gli equivoci legati alla Sibilla di Palazzo Barberini.