Ludovico Carracci e l’invenzione del “Crocifisso al Limbo”. Storia di un’iconografia nata tra Bologna, Ferrara e Roma.

di Emilio NEGRO

I tre cugini Carracci, Caravaggio e molti altri pittori, replicarono talvolta le opere di maggior successo e non tenerne conto equivale a rifiutare un dato di fatto storicamente acquisito. Nel caso di Ludovico Carracci ciò è stato dimostrato anche di recente dal ritrovamento della maestosa Caduta di S.Paolo, un formidabile “assolo” antecedente alla pala di analogo soggetto della Pinacoteca Nazionale di Bologna (figg.1-2) (1).

Fig. 1 Ludovico Carracci, Caduta di S. Paolo, collezione privata.
Fig. 2 Ludovico Carracci, Caduta di S. Paolo, Bologna, Pinacoteca Nazionale.

Dunque Ludovico non fece eccezione a tale consuetudine e quanto rimane di quella produzione non ancora individuata andrà ricercata fra le repliche e i bozzetti più significativi, palesemente relazionabili per affinità stilistiche con le pitture già inserite nel suo ricco catalogo.

A quest’ultima categoria appartiene un dipinto in buono stato di leggibilità raffigurante il Crocifisso con Dio padre e angeli, presentato da una nota casa d’aste genovese con l’attribuzione prudenziale – ma ingenerosa -, a “Ludovico Carracci, studio di” (olio su tela, cm 60,5 x 42) (fig. 3) (2).

Fig. 3 Ludovico Carracci, Crocifisso con Dio padre e angeli, già Genova, Cambi, 16 giugno 2021, n. 177.
Fig. 4 Ludovico Carracci, Crocifisso fra Dio padre, angeli e i patriarchi al Limbo, firmato e datato 1614, Ferrara, chiesa di S. Francesca Romana.

I suoi legami con lo stile del più anziano dei tre cugini felsinei, austero, dimesso e consono ai canoni della Controriforma, sono lampanti e consentono di restituirglielo senza dilungarsi in argomentazioni superflue, salvo rimarcare la sua credibile funzione di modello preliminare per il Crocifisso fra Dio padre, angeli e i patriarchi al Limbo (olio su tela, cm 280 x 193, firmato e datato “OP. LUD. CARRACCI BO PIN M.DCXIV”, Ferrara, chiesa di Santa Francesca Romana) (fig.4).

A questi sono legati altri due dipinti del maestro bolognese di similare soggetto: la frammentaria Crocifissione di raccolta privata proveniente da un’antica famiglia nobile di Modena (olio su tela, cm 83 x 64) (fig. 5) (3) e il Gesù crocifisso e un angelo pubblicato da Gail Feigenbaum in occasione della fondamentale mostra monografica bolognese del 1993 (olio su tavola, cm 70 x 40, collezione privata) (fig.6) (4).

Fig. 5 Ludovico Carracci, Crocifissone, collezione privata.
Fig. 6 Ludovico Carracci, Gesù crocifisso e un angelo, collezione privata

L’opera venduta in asta a Genova presenta infatti le caratteristiche tipiche delle pitture propedeutiche ad altre di più complessa ed onerosa realizzazione, cioè le misure e soprattutto le varianti proprie dei dipinti preparatori: nel caso specifico, le due aree nere apicali laterali in origine adibite ad essere ricoperte dalla carpenteria dell’altare, la differente posizione degli angeli, la presenza delle gocce di sangue sul busto e sul perizoma del Salvatore assenti nelle altre redazioni, la mancanza dei ritratti dei patriarchi nel Limbo e della triplice scritta nel titulus crucis “Gesù nazareno re dei giudei” in lingua ebraica, greca e latina. Di conseguenza si può affermare che la tela già Cambi rientra nel novero degli schizzi e dei modelli richiesti dai committenti specialmente tra il Cinque e il Seicento, quando sovente i contratti stipulati dagli artisti imponevano di presentarli prima di dare inizio all’opera definitiva.

Verosimilmente le quattro Crocifissioni menzionate furono eseguite a poca distanza di tempo, intorno al 1614, per interpretare nel modo più chiaro il tragico trapasso di Cristo dalla vita alla morte, uno dei cardini del credo cristiano raccontato dai Vangeli (Matteo, 27, 33-56; Marco, 15, 22-41; Luca, 23, 33-49; Giovanni, 19, 17-37) e su cui si concentra in maggior misura la devozione dei credenti. Ciascuna di esse fu per questo ambientata contro uno sfondo cupo schiarito dalla luce che illumina la sofferta tensione muscolare di Gesù, rappresentata con l’accuratezza tipica di un eccellente anatomista. Tale evidente adesione al dato naturale non meraviglia giacché, come ricordava Lucio Faberio, fin dall’iniziale Accademia dei Desiderosi (poi Incamminati), c’era tra i Carracci e i loro scolari una “commendabile emulazione” nel

“disegnare l’ossature de’corpi, nell’imparare i nomi, le posture e legature dell’ossa, i muscoli, i nervi, le vene, e l’altre parti, facendosi perciò spesse volte Anotomia” (5).

La puntuale descrizione del corpo del Messia dolorosamente teso nell’estremo anelito di vita era perciò fondamentale per ottenere un’immagine che soddisfacendo i canoni estetici della Controriforma cari a Ludovico, desse ai fedeli l’illusoria presenza del dio vivo sull’altare.

Il valente pittore bolognese eseguì le quattro opere ricordate durante la sua estrema fase stilistica, ancora contraddistinta da un’accentuata cruda naturalezza e da un febbrile misticismo, ovvero i caratteri tipici delle pitture della sua ultima maturità, più crude ed essenziali rispetto a quelle antecedenti.

Resta difficile stabilire l’originale collocazione del frammento di pala già a Modena, eseguito su una tela dalla tipica orditura veneta; la Crocifissione su tavola pubblicata dalla Feigenbaum (6), dovrebbe essere invece una replica con varianti della pala datata 1614, originariamente collocata nella basilica olivetana di San Giorgio extra-muros, la più antica chiesa edificata sul territorio ferrarese, da non confondere con l’altra di più contenute dimensioni intitolata a S.Benedetto da Norcia e a S.Giorgio, ma soprannominata dai ferraresi San Giorgino, costruita nel 1569 dai monaci del medesimo ordine dentro le mura cittadine (7).

Nel 1622 questa chiesa fu consacrata nuovamente a Santa Francesca Romana e nei due anni seguenti venne ristrutturata per volontà dell’abate Don Lorenzo Bertazzoli che l’ampliò fino a farla diventare di “media grandezza” (8); il priore commissionò inoltre il nuovo altare maggiore e fece collocare nell’abside il Cristo in croce e i Santi Padri nel Limbo firmato e datato da Ludovico. A coronamento della pala fu collocata una “trilogia” di tele dello

“stesso Carracci: nella cimasa superiore ‘Gli angeli adoranti’ che portano in trionfo gli strumenti della passione” (0,50 x 0,65) ed ai lati in apposite nicchie ‘L’Addolorata’ e ‘S.Giovanni Evangelista piangente’ (0,40 x 1)” (9).

Nonostante le trasformazioni volute da Bertazzoli gli altari restarono ancora tre, “il maggiore collocato al termine dell’unica navata e due a muro”, quello a sinistra dedicato a San Bernardo Tolomei e di fronte l’altro intitolato a Santa Francesca Romana, rispettivamente in sostituzione di quelli consacrati alla Madonna e al Rosario (10). Al presente le cappelle con l’altare sono quattro, cioè due per lato, e il polittico su tela è stato spostato nell’ultima cappella a destra, all’interno di una carpenteria visibilmente posteriore che esalta comunque lo scomparto al centro: di quest’ultimo la Feigenbaum ha identificato la maggior parte degli “spiriti magni” ritratti (11). Iniziando da sinistra sono Noè con la colomba sulla spalla, Isaia con la sega e Mosè coi raggi di luce sul capo; nel lato opposto della croce Abramo con la fascina, Isacco più in basso, forse Eva, David con la corona e Adamo con un frutto (12).

Tutte le grandi anime sono originalmente raccolte sotto ai due tronchi incrociati, a mala pena dirozzati, sul più lungo dei quali campeggia la striscia di carta svolazzante con l’iscrizione trilingue, inchiodata a una tavoletta di legno precariamente fissata con un solo chiodo all’apice della croce.

Per la comprensione del complesso significato iconografico della pala di Cristo in croce e i Santi Padri nel Limbo e, soprattutto per capire come essa sia legata al culto di San Benedetto e a quello del suo ordine, sono necessarie ulteriori indagini stilistiche e iconologiche dovute all’inusuale presenza di Mosè e Abramo visibili ai lati del sacro legno, cioè in posizione araldica preminente. Va rimarcato innanzitutto che il viso del primo deriva dal celeberrimo volto del Mosè di Michelangelo della Basilica romana di San Pietro in Vincoli (fig. 7-8).

Fig. 7 Ludovico Carracci, Crocifisso fra Dio padre, angeli e i patriarchi al Limbo, particolare, Ferrara, chiesa di S. Francesca Romana.
Fig. 8 Michelangelo, Mosè, particolare, Roma, Basilica di S. Pietro in Vincoli.

Questa constatazione rafforza il valore dei rapporti intercorsi tra Ludovico e l’Urbe, testimoniati in primis dall’invito rivoltogli dai Farnese per affrescare il loro palazzo romano (istanza che il Carracci rifiutò per rimanere indisturbato a Bologna, inviando in sua vece il cugino Annibale), provando inoltre il valore della sua trasferta romana del 1602 e di altre possibili non documentate (13).

Va rimarcato infine come l’inusitata presenza di Mosè in questo rivoluzionario unicum iconografico destinato ad abbellire un tempio benedettino, trova una spiegazione convincente, ma finora trascurata, nel Libro dell’Esodo (17, 8-16) (14), in cui è ricordato l’episodio del grande profeta che pregò il Signore per conseguire la vittoria degli Ebrei sugli Amaleciti. In quell’occasione il patriarca, per aumentare la potenza dell’invocazione, volse le mani al cielo ma, essendo molto vecchio, stentava a tenerle alzate e perciò periodicamente le abbassava per riposarsi. Proprio in quei momenti i nemici ebbero la meglio sull’esercito giudeo, cosicché Aronne e Cur decisero di intervenire aiutandolo a tenere alzate le palme finché la sua preghiera fu soddisfatta e gli israeliti vinsero la battaglia.

La Chiesa di Roma venera Benedetto da Norcia come il novello Mosè giacché egli, sentendosi prossimo alla fine, affidò l’anima a Dio pregandolo allo stesso modo del profeta, cioè con le mani rivolte verso l’alto onde accentuare il fervore dell’invocazione. Ma anch’egli, essendo vecchio, stentava a mantenerle sollevate e due monaci, analogamente ad Aronne e Cur, decisero di aiutarlo fino a quando rese serenamente l’anima a Dio illuminato dalla grazia spirituale (15).

La raffigurazione di Abramo nel Limbo si deve perciò al fatto che il clero equiparava l’uno e l’altro a San Benedetto, ai suoi monaci e ai loro monasteri. Questa singolare credenza è ben spiegata nei “Discorsi” del teologo e predicatore toledano Alonso di Vigliega, pubblicati in italiano nel 1603. In essi si legge che l’esistenza di Abramo somiglia a quella del beatissimo San Benedetto perché, come il profeta, egli lasciò la casa del padre e le sue ricchezze per vivere nel deserto dove mortificò il suo corpo con dure penitenze. E se Dio non glielo avesse proibito, quell’esistenza di stenti l’avrebbe condotto alla morte, così come sarebbe stato ucciso Isacco senza l’intervento celeste. Per queste azioni meritorie Abramo e San Benedetto ricevettero dall’Onnipotente analoghi premi: ad entrambi fu concesso che il Limbo dei Santi Padri venisse equiparato al loro seno. Tuttavia San Benedetto, a differenza del patriarca, ha tanti seni quanti sono i monasteri dei suoi monaci e delle sue monache.

Quei luoghi di pace sono “molto simili al Limbo”, poiché anche in essi staziona “gente illustre…Re, & personaggi di gran qualità”. Inoltre come nel seno di Abramo, nelle comunità di religiosi non vi è pena e le “anime benedette” di ognuno sono “solamente afflitte dal desiderio ardentissimo…di vedere Dio”. Gli spiriti beati del “seno di Abraam” e le genti pie che vivono nei conventi sono quindi sicure di “non dannarsi, & certe della loro salvazione”: e questa è l’unica “sicurezza, che in terra si può avere”, sicché chi vive nel mondo secolare corre “maggior pericolo, che i religiosi nel convento…i quali devono persuadersi di essere nel seno di Abraam, & d’avere molta sicurezza” del paradiso (16).

Emilio NEGRO  Bologna  27 Aprile 2025

NOTE

(1) Una parte di questa ricerca riprende e amplifica quella già pubblicata (E. Negro, Ludovico Carracci: il Gesù crocifisso al limbo della chiesa ferrarese di Santa Francesca Romana, in “Ferrariae Decus Studi-Ricerche”, 36, novembre 2024, pp. 115-121, 163, tavv. 14-15). Per le due versioni della Caduta di S.Paolo si rimanda a E. Negro, in Caravaggio e il suo tempo tra naturalismo e classicismo, catalogo della mostra, Mesagne, Castello normanno-svevo, 16 luglio – 8 dicembre 2023, a cura di P. Carofano, Mesagne 2023, pp. 36-39; E. Negro, La ritrovata “Caduta di San Paolo” di Ludovico Carracci, un esempio di pittura “riformata” in bilico tra manierismo e naturalismo, in “About Art online”, 17 dicembre 2023, https://www.aboutartonline.com/la-ritrovata-caduta-di-san-paolo-di-ludovico-carracci-un-esempio-di-pittura-riformata-in-bilico-tra-manierismo-e-naturalismo/.
(2) Il dipinto è stato pubblicato nel catalogo della casa d’aste genovese Cambi (16 giugno 2021, n. 177) come opera di studio di Ludovico Carracci su indicazione di Daniele Benati.
(3) L’opera è in buono stato di leggibilità malgrado la decurtazione subita su tutti i lati e qualche piccola abrasione; è già stata pubblicata da chi scrive (E. Negro, “Alcune note carraccesche e un inedito longhiano”, in La scuola dei Carracci. I seguaci di Annibale e Agostino, a cura di E. Negro-M. Pirondini, Modena, 1995, pp.17-18, fig.13; E. Negro, Carracci e dintorni, catalogo della mostra, Torino, 1996, pp. 25-26, Cat. n. X; E. Negro-N. Roio, Giacomo Cavedone 1577-1660, Modena, 1996, pp.74, 76, fig. 113 e riedizione del 2001). L’attribuzione non è condivisa da A. Brogi (Ludovico Carracci, Bologna, 2001, p. 253, Cat. n. R10), che nella medesima scheda considera non autografa anche la versione su tavola pubblicata da G. Feigenbaum, in Ludovico Carracci, catalogo della mostra, a cura di A. Emiliani, Bologna, 1993, pp. 159-160, Cat. n. 73; la convincente attribuzione a Ludovico Carracci avanzata dalla Feigenbaum era stata condivisa anche da Emiliani (comunicazione orale).
(4) Per ambedue le “Crocifissioni” si vedano le accurate schede di G. Feigenbaum, in Ludovico Carracci, catalogo della mostra, a cura di A. Emiliani, Bologna, 1993, pp. 157-161, Cat. nn. 72-73.
(5) La citazione è tratta da L. Faberio, Orazione di Lucio Faberio Accademico Gelato in morte di Agostin Carraccio, stampata insieme a B. Morello, Il funerale d’Agostin Carraccio fatto in Bologna sua patria da gl’Incamminati Accademici del Disegno, Bologna, 1603.
(6) G. Feigenbaum (in Ludovico Carracci, catalogo della mostra, a cura di A. Emiliani, Bologna, 1993, pp.158-159, Cat. n. 75). Va rimarcato tuttavia che la presenza nel registro superiore delle due aree nere laterali, destinate ad essere ricoperte dalla carpenteria dell’altare, porta a non escludere l’ipotesi che anche quest’opera possa essere servita da modello preparatorio alla pala ferrarese.
(7) P. Viganò, Paesi e parrocchie dell’arcidiocesi di Ferrara-Comacchio, Conselve, 1990, pp. 38-39.
(8) S. Ottani, Archivio del monastero di San Giorgio Martire di Ferrara (1189-1805). Inventario, 2005, p.5.
(9) M. E. Cavallari, La chiesa di S.Francesca Romana tra fabbrica e storia nella Ferrara dell’addizione di Borso d’Este, Ferrara, 1995, pp.5-12, 22-25, 53.
(10) G. F. Fiori, Il Monastero Olivetano Ferrarese di S. Francesca Romana. 1569-1797, in “Centro storico olivetano per l’Emilia Romagna, Collana studi e ricerche”, III, 1983, p. 17.
(11) La citazione è ripresa dal Canto IV dell’Inferno di Dante.
(12) G. Feigenbaum, in Ludovico Carracci, catalogo della mostra, a cura di A. Emiliani, Bologna, 1993, pp. 158-159, Cat. n. 75.
(13) L’importanza del legame tra Ludovico Carracci e Roma è stata opportunamente rimarcata da G. Perini Folesani (Ludovico Carracci a Roma, in “Acta ad archaelogiam et artium historiam pertinentia”, 32, 18, 2020, pp. 97-115).
(14) A conferma dell’unicità iconografica basti considerare che nessuna analoga Crocifissione con patriarchi nel limbo si trova descritta o illustrata nel volume di C. Franceschini, Storia del Limbo, Milano, 2017.
(15) L’episodio è riportato da San Gregorio Magno, nei suoi Dialoghi in IV Libri scritti tra il 593-594 (Libro II).
(16) Alonso di Vigliega, Discorsi overo sermoni sopra gli Evangeli di tutte le dominiche dell’anno, ferie di quaresima, et feste principali, Venezia, 1603, pp. 611-612: DISCORSO CXV./ Di San Benedetto Abbate./…/ “Due segnalati servitij fece a Dio il Patriarca Abraam…/ Questi furono servitij e i premi di Abraam, & non poco gli somiglia nell’uno, & nell’altro il beatissimo padre S.Benedetto, il quale per fare il volere di Dio, & meglio servirlo, imitando Abraam lassò la casa del padre suo con tutti i suoi comodi, & andosene in un deserto, ove volse sacrificare…al suo proprio corpo la vita con asprezze, & con penitenze, di modo che se Dio non glielo havesse vietato, l’havrebbe ucciso: ma per non offenderlo conservava la vita, che però era vita simile a morte. Per questi servitij ricevè da sua Maestà altri premi simili a quelli di Abraam, essendo arricchito di beni spirituali, e figliuoli, che seguitassero il suo istituto, & religione, fra i quali vi sono martiri senza numero, molti Sommi Pontefici, Cardinali, Vescovi, & Dottori, oltre ad altri ordini, che da esso sono derivati, & sono membri di quello, che egli istituì. Il secondo favore fatto ad Abraam, cioè, che il Limbo de i Santi Padri si chiamasse suo seno, in un certo modo fu conceduto a S.Benedetto, il quale non ha solamente un seno, ma molti, che sono i monasterij di Monaci, & Monache parimenti, essendo particolarmente quei delle monache molto simili al limbo dei Santi Padri. Il Limbo era prigione, benché di nobile, & di gente illustre, ove erano Re, & personaggi di gran qualità. Et il convento delle Monache è medesimamente prigione, perché ha legrati, & ferragli: ma è prigione di gente illustre, il che è dinotato ancora dalle grati, che sogliono essere dipinte, & dorate, servandovisi dentro Regine & Signore altamente nate. Nel seno di Abraam non era pena di senso, & erano quelle anime benedette solamente afflitte dal desiderio ardentissimo, che haveano di vedere Dio: così in un convento non dovrebbe essere cosa alcuna, che tormentasse, fuor che il mancar della vista di Dio. Erano sicure di non dannarsi, & certe della loro salvazione l’anime del seno di Abraam, & nel convento è questa sicurezza, che in terra si può avere, perciò che i secolari nel mondo corrono maggior pericolo, che i religiosi nel convento non sanno, i quali devono persuadersi di essere nel seno di Abraam, & d’avere molta sicurezza”.
Emilio NEGRO  Bologna 2025