di Elvira D’AMICO
Nell’ambito della produzione siciliana dei teleri quaresimali, quello della chiesa di San Domenico a Palermo è uno dei più noti e suggestivi (fig.1).


Conosciuto soprattutto per le sue grandi dimensioni – m.30×7- oltre che per la indubbia bellezza della raffigurazione, esso è rimasto a tutt’oggi di autore sconosciuto. Dipinto in un monocromo azzurro-turchino su tela di canapa, presenta un’apertura sottostante leggermente centinata che delinea le linee di un portale, molto simile a quello dell’entrata principale della chiesa (fig.2), sormontato da un cartiglio con lo stemma domenicano.
La scena sacra si svolge su un acrocoro, con rocce e vegetazione in bella vista, disseminato dei simboli della Passione, mentre una lunga croce spoglia domina la parte superiore della tela.
Ma a ben guardare, quello che sembra un classico Compianto sul Cristo morto assume i toni di una inusuale originalità, presentando la quasi esclusiva presenza di monaci domenicani inseriti nell’episodio sacro (fig.3).

In esso infatti la Vergine con sguardo pietoso rivolto verso l’alto, affiancata da angeli, tiene il corpo emaciato del Cristo sulle ginocchia sorretto, invece che dai personaggi tradizionali, da un santo con saio domenicano e barba bianca. Quindi sono riconoscibili, in primo piano sulla destra, San Domenico inginocchiato su una sorta di piedistallo lapideo, di spalle sulla sinistra San Vincenzo Ferrer, in centro San Pietro Martire con pugnale conficcato in capo, inginocchiato di rimpetto all’unica figura femminile presente, in abiti monacali ma senza il velo bensì con una cuffia in testa con barbe pendenti, forse la beata Margherita di Savoia, che sembra recare sotto il braccio l’attributo consueto delle frecce. Ai lati del gruppo sacro nella parte superiore poi, sono collocati due papi appartenenti all’ordine domenicano, vestiti di piviale e mitria, probabilmente S.Pio V e Benedetto XI (figg.4-5), così effigiati pure nelle statue in stucco della facciata e in quelle lignee dell’armadio della sacrestia (1).
Molto particolare ma non desueta risulta l’idea di rappresentare una scena sacra con personaggi di svariate epoche, in un annullo spazio-temporale che consente la compartecipazione del proprio ordine monastico ai fatti preminenti della narrazione evangelica. Essa si riscontra anche in opere pittoriche del capoluogo siciliano, come l’ affresco di Antonino Grano raffigurante il Compiano sul Cristo con S.Francesco di Paola (inizio sec.XVIII), nella chiesa dedicata al Santo (fig.6), ma anche in altri teli quaresimali come quello quello della chiesa dell’Assunta delle carmelitane scalze, recante una Deposizione dalla croce con santi carmelitani.

La tipologia del manufatto, di colore azzurrino ricavato da materiali organici (in Sicilia “sandalo verderame e legna”) (2), tratteggiato con pigmenti di nerofumo e rialzi di biacca ed apertura nella parte inferiore, ricorda quella di altri teli siciliani degli anni ’90, come quello del duomo di Milazzo o l’altro della cattedrale di Ragusa Ibla, uno dei primi recante la tipologia scenografico-architettonica, molto diffusa nel Val di Noto, restringendo all’incirca alla fine del secolo XVIII la cronologia dell’opera (fig.7)(3).


I libri di Borzaria del convento di San Domenico, oggi all’Archivio di Stato di Palermo, nessuna notizia riportano sull’autore o sulla datazione dell’opera, che però viene citata costantemente nel novero delle spese annuali per la Settimana Santa.
Da queste risulta che il maneggiamento del telone era di pertinenza del paratore, ma anche del mastro d’ascia che alle volte si suddividevano i compiti: al primo generalmente spettava la manovra della “acchianata“, al secondo quella della “calata della tela” la notte del Sabato Santo (fig.8):
A 1 maggio 1767/ A mro Gaetano Vaccaro per mettere la tela di Passione…tt.12 / A mro Gioacchino Sordo per calare la tela nel Sabato Santo…tt.12 (4)
Inoltre il rito spesso si accompagnava al “disparo di mascoli e pannelle gittate nella calata della tela”(1755) (5), e ad altre prassi come la consatura del sepolcro e relativa illuminazione, l’addobbo dell’altar maggiore con paramenti da lutto di velluto nero, la copertura del cielo del pulpito con una tela e delle finestre del coro con delle cortine.
Resta ora da chiedersi a quale tela quaresimale si riferiscano i documenti sopra citati. Infatti a ben guardare, per i motivi tipologico-manifatturieri sopra evidenziati, è verisimile che la tela settecentesca qui menzionata non sia l’attuale, ma un’altra precedente, oggi perduta. Esplicativo in tal senso è uno dei reiterati pagamenti per la Settimana Santa:
A 1 marzo 1761
Per prezzo di canne 2.4 tela di messina per acconciare la tela che si mette nella Domenica di Passione, che si ritrovò infracidita in diverse parti…o.7.10
Per filo per detta…tt.5
Per mostra per detta…tt.5
A mro Gaetano Vaccaro per mettere la tela…tt.15
Al mro d’ascia per l’altare del sepolcro…o.8
Al detto per aver buttato la tela nel Sabato Santo…tt.12 (6)
Dunque quella citata è una tela già in condizioni precarie nel 1761, che viene ricollocata ancora per svariati anni, assieme ad altri manufatti restaurati pure in quel torno di tempo:
A 30 aprile 1762
Per mettere la tela nella domenica di pasqua…tt.15
A mro Gioacchino Sordo per prezzo di legname e mastria per avere cresciuto il telaro sopra il pulpito pelle prediche di quaresima…tt.12
A mro Domizio per canne 3.4 tela torchina a tt.3 canna per ingrandire la tela di detto telaro…o.10.10 (7)
Quindi il rito relativo alla tela di Passione si sussegue annualmente sempre uguale a se stesso, fino a quando, alle soglie del nuovo secolo XIX, non si registra una nuova anomalia.
Tra le spese pasquali del 1801 infatti, invece della classica calata della tela, è annotata la inusitata calata di una “portiera”, identificabile con una cortina di stoffa pesante, adoperata pure per la copertura delle finestre del coro:
A 1 maggio 1801
Per calare la Portiera nel Sabato Santo…tt.12
Per calare le Portiere alle finestre…o.2 (8)
Mentre dettagliate sono le consuete spese per “adornare il sepolcro”, “al falegname per il catafalco e per acconciare l’avantialtari”, “per tela e cortina per li vennerdi di marzo”, per gli “strumentisti” e “cantori “che si avvalgono di “contrabasso” e “fagotto” (9).
Dall’anno successivo e per quelli a venire riprendono poi le consuete spese per calare la tela:
A 30 aprile 1802
Per il tosello nuovo di velluto all’Altare maggiore per il sabato santo…tt.24
A mro Gioachino Sordo per buttare la tela…tt.12 (10)
L’anno 1801 sembra segnare dunque un diversivo, registrando una vacatio nella routine relativa al rito della tela di Passione, che potrebbe spiegarsi con la realizzazione di una nuova tela in fieri, che per i motivi più sopra evidenziati non può che identificarsi con l’attuale.
Ma chi ne può essere l’autore? Dal punto di vista stilistico l’opera, caratterizzata da una drammaticità concentrata e raccolta e da un forte pathos nei volti dei dolenti – che qui si identificano in via straordinaria coi santi domenicani (figg.9-13) –

nonché da una notevole maestria nella composizione ben sciolta ed orchestrata, coi moduli delle figure allungate dai panneggiamenti lineari morbidamente ricadenti in terra (fig.14), sembra distaccarsi dai prototipi tardo-settecenteschi locali per aderire a quelli della pittura internazionalizzata che si andava svolgendo a Roma agli inizi del secolo XIX (11).

Caratteristiche non comuni nell’Isola ma che è possibile riscontrare ad esempio in un pittore come Francesco Manno, allievo a Palermo di Vito D’Anna ma trasferitosi presto a Roma dalla quale non manca di inviare opere nella sua città d’origine, come la pala della Madonna col Bambino e santi domenicani(1787)(fig.15), ancora di stile marattesco-conchiano, ed un telo quaresimale per le suore domenicane della chiesa della Pietà, la cui pittura aderirà in seguito a quella primo-ottocentesca dell’ambiente romano (12).

Ma anche altri artisti lavoravano alla fine del ‘700 nella chiesa di San Domenico, come il poco noto Vito Coppolino, pure allievo del D’Anna, che dipinge a monocromo la perduta cupola, di cui restano frammenti dei pennacchi con santi domenicani (13) (fig.16), il cui unico disegno esistente, oggi alla Galleria Regionale della Sicilia, presenta un “uno svolgimento avvolgente e circolatorio con le figure che sembrano nascere le une dalle altre” (Guttilla) (fig.17).


Ma se incerto è ancora l’autore dell’opera, non è dubbio che l’iconografia così particolare di essa sia stata dettata da un dotto prelato dell’ordine dei pp.predicatori – forse quell’ingegnere don Nicolò Puglia che a cavallo dei secoli XVIII e XIX dirigeva i lavori per la suddetta cupola affrescata?- che volle riproporre in pittura quella stessa “epopea domenicana” perseguita mezzo secolo prima dall’ingegnere del convento p.Lorenzo Olivier nel campo della statuaria e dell’arredo ligneo (14).
Elvira D’AMICO, Palermo, 6 aprile 2025
*Desidero ringraziare il maestro Sisto Russo per la fornitura delle artistiche foto dei particolari del telone (figg. 4-5, 9-13)
NOTE
1.E.D’Amico, L’ingegnere Lorenzo Maria Olivier e le statue dei papi domenicani nella chiesa di San Domenico a Palermo. Alcuni documenti inediti (in https://www.aboutartonline.com/lingegnere-lorenzo-maria-olivier-e-le-statue-dei-papi-domenicani-nella-chiesa-di-san-domenico-a-palermo-alcuni-documenti-inediti/)
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E.D’Amico, Caltanissetta e il suo territorio.La cultura tessile, in Magnificenza nell’arte tessile della Sicilia centro-meridionale . Ricami, sete e broccati delle Diocesi di Caltanissetta e Piazza Armerina,Catalogo della mostra , a cura di G.Cantelli, E.D’Amico, S.Rizzo, Catania, 2000, vol.I, pp.77-102
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E.D’Amico, Tra religiosità popolare e arte culta – I pittori dei teleri quaresimali siciliani (prossima pubblicazione)
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Archivio di Stato di Palermo, San Domenico, vol.607, 1 maggio 1767
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A.S.Pa, San Domenico, vol.602, 31 marzo 1755
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A.S.Pa, San Domenico, vol.604, 1 marzo 1761
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A.S.Pa, San Domenico, vol.605, 30 aprile 1762
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A.S.Pa, San Domenico, vol. 629, f.69
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A.S.Pa, San Domenico, vol. 629, f.68 r-v
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A.S.Pa, San Domenico, vol. 630, f.61v
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Ringrazio la prof. Mariny Guttilla per il qualificato parere in proposito
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M. Guttilla, Manno Francesco, in Dizionario Sarullo. Pittura-II, a cura di M.A.Spadaro, Palermo, 1993
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13. Di ciò darò notizia in un prossimo studio; anche E.D’Amico, Aggiunte alle arti applicate siciliane.Bartolomeo Sanseverino e Vito Coppolino per le argenterie settecentesche, in Il tesoro dell’Isola.Capolavori siciliani in argento e corallo dal XV al XVIII secolo, a cura di S.Rizzo, Catania 2008, pp. 103-113
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E.D’Amico, L’ingegnere Lorenzo Maria Olivier…,cit., 2023