Leonardo alchemico ? Una indagine sui misteri del “Salvator Mundi” tra ermetismo e neoplatonismo (con video-audio)

di Carla ROSSI

Carla Rossi (Roma, 1968), ha condotto i suoi studi all’estero, laureandosi in Storia dell’Arte, Italianistica e Francesistica a Zurigo per poi conseguire il Dottorato in Filologia Romanza a Friburgo; si è abilitata all’insegnamento a Zurigo nella cui Università insegna dal 2010. E’ autrice di numerosi saggi di carattere letterario, iconografico e storico artistico, in particolare ha sviluppato il rapporto tra il verbale e il visuale nella produzione di poeti pittori rinascimentali quali il Bronzino e Michelangelo Buonarroti nonchè quello verbale/sonoro nella Divina Commedia. Per l’editore Sellerio ha scritto opere di narrativa e ha operato traduzioni dal tedesco. Ha fondato a  Londra la rivista Theory and Criticism of Literature and Arts per la casa editrice TCLA Academic Studies Ltd. Tra le numerose pubblicazioni occorre citare il romanzo biografico Haydée, del 1991, dedicato a una delle pochissime donne protagoniste della rivoluzione cubana e Il Vanto dell’Ombra, per l’editore De Rubeis, vincitore del Premio Internazionale Due Laghi 1995; l’ultima sua fatica è il romanzo La Dodicesima Nota, edito sotto pseudonimo nel 2017, finalista al Premio Carver 2017. Con questo articolo inizia la collaborazione con About Art.

Salvator Mundi : il Cristo androgino di Leonardo

Dall’aprile del 2019, la versione digitale del Codice Atlantico, la più ampia raccolta di disegni e scritti di Leonardo da Vinci conservata presso la Biblioteca Ambrosiana di Milano, è consultabile gratuitamente online:[1] 1119 fogli, contenenti riflessioni personali, annotazioni e schizzi, datati 1478-1518.

Al foglio 680r (fig. 1, rielaborata specularmente rispetto all’originale, per renderla facilmente leggibile) appare la seguente riflessione:

«Quando io feci Domene Dio putto, voi mi mettesti in prig[i]one, ora s’io lo fo [g]rande, voi mi <i> farete pegio».[2]
(fig. 1, Codex atlanticus, fol. 680r)
(fig. 2, il Salvator Mundi, oggi in collezione privata, di prossima esposizione presso il Louvre di Abu Dhabi)

Dal punto di vista retorico, la carta 680r è estremamente interessante per il tipo di riflessioni (anche ironiche, costruite per asindeto) che contiene, giocate tutte su giustapposizioni. Nel caso del “Cristo grande”, avanzerei l’ipotesi che Leonardo alluda ad una tavola in particolare, quel Salvator Mundi (fig. 2) recentemente restaurato e battuto all’asta, il 15 di novembre 2017, da Christie’s, a New York, per 450 milioni di dollari, la più alta cifra pagata sino ad oggi per un dipinto.

Non è né sulla storia recente della tavola, pure interessantissima, né sulla sua autenticità che intendo concentrami in questo intervento: do per scontato che il dipinto sia di mano di Leonardo, alcuni «cartoni» di studio conservati nel castello di Windsor paiono confermarlo (figg. 3 e 4).

(figg. 3 e 4, i cartoni leonardeschi conservati presso la Print Room della Royal Library presso il Windsor Castle)

Vorrei proporne, invece, una lettura iconografica particolare. Il Salvator mundi, sarebbe l’ultimo dipinto del maestro (risalente indicativamente tra il 1499 e il 1505): un Cristo neo-platonico sotto diversi aspetti, come vedremo, ma soprattutto un Cristo che non esiterei a definire “sintesi alchemica” perfetta.

Si notino, prima di tutto, alcune particolari asimmetrie del volto, rinforzate dalla posizione perfettamente frontale della figura e dall’uso della luce (figg. 5 e 6): le due metà del viso appaiono molto diverse l’una dall’altra, colpite da due differenti fonti luminose, che evidenziano sia due mandibole completamente differenti, sia gli occhi ad altezze diverse e il petto più femmineo a destra, metà che presenta mascella, zigomi e labbra più delicati e femminili, rispetto alla parte sinistra.

figg. 5 e 6 si notino le asimmetrie nel volto del Cristo, in particolare a livello degli occhi: la parte a destra, con i capelli più ondulati e quasi vezzosi – con un boccolo all’altezza della tempia, ha tratti più morbidi e “femminili”, il naso più lungo e l’espressione della bocca più grave. La parte a sinistra, con la mascella possente, volitiva, la bocca che accenna un sorriso e i capelli più lisci parrebbe molto più “maschile”

Le particolari asimmetrie, notate già in epoca antica, vennero “corrette” dopo il Concilio tridentino, quando Salvator Mundi furono aggiunti barba e baffi, per far coincidere il più possibile l’immagine con l’iconografia canonica di Gesù adulto (fig. 7).

(fig. 7, a sx foto del dipinto scattata nel 1912, prima del restauro novecentesco; si notino le correzioni apportate dopo il Concilio di Trento; in mezzo, il dipinto come appariva prima del recente restauro in previsione della vendita all’asta)

A parer mio, queste palesi disarmonie servono ad evidenziare, nel dipinto, le due sfere archetipiche del maschile e del femminile, del solare e del lunare, con forte richiamo al Rebis ermetico: il dipinto, infatti, mi pare rappresentare meglio di qualsiasi altra opera di Leonardo la fusione degli opposti tipica della visione neoplatonica del mondo.

La figura di Cristo, in maniera singolare per quanto concerne i ritratti leonardeschi, è immersa nel buio. Sullo sfondo non vi è alcun paesaggio, solo il denso colore nero. Scelta assolutamente voluta: non si può non ricordare come, nell’alchimia cristiana, la nigredo consiste proprio nel sacrificio di Cristo sulla croce, il cui corpo viene distrutto e il cui sangue disperso.

Una perla bianca, invece, (fig. 8) ferma le due bande dell’abito di Cristo (che indicano la croce). La perla stessa, simbolo della purezza femminile, richiama la seconda fase alchemica, l’albedo, l’Opera al Bianco, che dopo la putrefazione della nigredo, rappresenta la trasformazione e la rinascita. La simbologia di questa fase è la Luce, in quanto elemento fondamentale della creazione. L’albedo indica il matrimonio con un’umanità che è donna e uomo, come Cristo è donna e uomo, in una dimensione spirituale: madre e padre.

Analizziamo ancora la veste di Cristo: ecco che, nella parte superiore, poco sotto il collo, vi è un rubino (fig 9).

Il termine latino rubedo, traducibile con “rossore”, designa in alchimia l’ultima fase della Grande Opera, quella «al rosso» dopo nigredo e albedo: è il compimento finale delle trasmutazioni chimiche, che culminano con la realizzazione della pietra filosofale e la conversione dei metalli vili in oro. Se la nigredo consisteva nella putrefazione e l’albedo nella distillazione, la rubedo avviene per sublimazione sotto l’effetto del fuoco, cioè dello Spirito.

L’alchimia si basa su un gran numero di immagini opposte, come l’acqua e il fuoco, il Corpo e lo Spirito, il Sole e la Luna. L’unione di questi opposti costituisce una congiunzione da cui si ottiene il rebis (res bis, «la cosa doppia»). Non sarà dunque peregrino notare come, elaborando le due metà al computer (ricostruzione che può essere compiuta anche con uno specchio) per ricomporre l’unità, si ottengano due volti e due corpi perfetti, uno maschile e l’altro femminile, il primo in luce e il secondo in ombra: Sole e Luna (figg. 10 e 11).

Sul piano filosofico realizzare il rebis (l’androgino ermetico) significava approdare a quel Dio concepito dai filosofi neoplatonici (e Leonardo si era formato nella Firenze neoplatonica ficiniana) come coniunctio o coincidentia oppositorum, ossia unione degli opposti.

Va ricordato che, nei manoscritti alchemici, il matrimonio è raffigurato proprio come unione o coito dell’uomo rosso e della donna bianca (rubino e perla), un’unione spesso incestuosa, tra madre e figlio fig 12).

(fig. 12, l’androgino ermetico, nel manoscritto attribuito a Georges Aurach, Pretiosissimum Donum Dei, 1415)

Un altro evidente simbolo alchemico nel dipinto leonardesco è dato dalla fusione del globo (a rappresentare la terra redenta), retto con la sinistra dal Salvatore, con la croce, accennata con le dita della mano destra in segno di benedizione: il globus cruciger utilizzato anche dai re cristiani medievali come emblema di Cristo nella sua funzione di Salvator mundi ha la stessa forma del simbolo dell’antimonio: in cui l’allume fa da supporto alla croce infinita (figg 13, 14). Per gli alchimisti questo elemento rappresentava l’anima celeste, intellettuale e spirituale insieme, che tende ad innalzare l’essere, liberandolo dall’opacità della materia.

Torniamo ora al foglio 680r del Codice atlantico:

«Quando io feci Domene Dio putto, voi mi mettesti in prig[i]one, ora s’io lo fo [g]rande, voi mi <i> farete pegio».

Sono convinta che questa nota si riferisca all’idea che sorregge, filosoficamente, il Salvator mundi androgino. L’idea di un Dio nel quale vengano a coesistere a livello potenziale e metafisico i due sessi (il Due-in-Uno primordiale che rappresentava la Grande Opera o il fine ultimo dell’alchimia).

Un concetto che compare sia nel Libro della Genesi, sia nei Vangeli, tanto in quelli canonici, quanto in quelli apocrifi:

Elohim creò l’uomo a sua immagine, ad immagine di Elohim lo creò, maschio e femmina li creò (Genesi 1: 27)
Quando farete in modo che due siano uno…e quando farete del maschio e della femmina una cosa sola, cosicché il maschio non sia più maschio e la femmina non sia più femmina…allora entrerete…e diventerete Figli dell’Uomo (Gesù, Vangelo di Tommaso 27 e 113)
Ecco io trarrò Maria Maddalena a me in modo da fare anche di lei un maschio, affinché essa possa diventare uno spirito vivo simile a voi. Perché ogni donna che diverrà maschio entrerà nel Regno dei cieli (Gesù, Vangelo di Tommaso 121)
Per questo motivo è venuto il Cristo: per annullare la separazione che esisteva fin dalle origini e unire di nuovo i due, e per dare la vita a quelli che erano morti nella separazione e unirli. Ora la donna si unisce a suo marito nella camera nuziale e quelli che si sono uniti nella camera nuziale non si separeranno più (Filippo, Vangelo di Filippo 71, 78, 79)

Eppure, sebbene l’idea dell’anima Christi che vive nel corpus mysticum della Chiesa fosse ampiamente accettata a livello dogmatico, non altrettanto si può dire, sul declinare del Quattrocento, dell’idea di un Cristo androgino, nonostante la tradizione iconografica, particolarmente quella più antica, offrisse raffigurazioni di un Cristo adolescente non privo di tratti femminili, il che è stato ricondotto all’imitazione delle pitture di dèi pagani ‘di gentil aspetto’, quali Apollo o Dioniso.

Un’ultima domanda a cui dare risposta, in base alla testimonianza del fol. 680r del Codice Atlantico, concerne l’accenno all’incarcerazione da parte di Leonardo. Ebbene, è rimasta traccia di un solo processo intentato contro l’artista nel 1476, a Firenze, quando il Maestro venne imprigionato con l’accusa di sodomia nei confronti di un suo modello fanciullo, il Sarterelli, ritratto, con ogni verosimiglianza, proprio come Cristo “putto”.

Se vogliamo cercare un modello per il Cristo androgino, basta analizzare il risultato di un’elaborazione grafica che ho realizzato delle due immagini del Salvator Mundi, maschile e femminile (fig. 15 e 16):

non si può non notare la somiglianza somatica della parte femminile con il modello tanto amato da Leonardo, quel Saladì che posò per il San Giovanni Battista (fig. 17), ma anche per la famosa Monna Vanna o Gioconda nuda (fig. 18).

Carla ROSSI   Zurigo  3 maggio 2020

NOTE

[1] www.codex-atlanticus.it
[2] Quando feci un Cristo bambino, mi incarceraste, ora se lo ritraggo adulto, mi farete peggio.