L’Empio Punito di Melani. Grande successo per l’apertura del Reate Festival

di Claudio LISTANTI

Al Teatro di Villa Torlonia prima esecuzione romana in tempi del capolavoro di Alessandro Melani capostipite delle realizzazioni operistiche del mito di Don Giovanni. Esecuzione di pregio grazie alla direzione di Alessandro Quarta e della messa inscena di Cesare Scarto con una valida compagnia di canto.

L’XI Edizione del Reate Festival la manifestazione musicale che vede anche la collaborazione dell’Accademia Filarmonica Romana, è stata inaugurata lo scorso 28 settembre presso il Teatro di Villa Torlonia con la prima ripresa a Roma in tempi moderni de L’Empio Punito di Alessandro Melani, una delle opere più importanti nell’ambito della Storia del Teatro in Musica e del conseguente sviluppo di questa particolare forma di spettacolo.

Per spiegare l’importanza di questa operazione culturale, soprattutto per la scelta della città di Roma come inizio di questa serie di recite, è indispensabile dare al lettore i necessari cenni storici. Scritta nel 1669 da un Melani appena trentenne, musicista nato e vissuto nell’ambito di una famiglia a spiccata vocazione musicale. Pistoiese di nascita, figlio di Domenico, campanaro e lettighiere del vescovo di Pistoia, ebbe due fratelli compositori, Jacopo e Antonio, e altri quattro, tutti sopranisti, Atto, Francesco Maria, Domenico e Bartolomeo. La sua formazione musicale si perfezionò all’interno del duomo della sua città natale dove fu cantore dal 1649 al 1660 e dove si giovò degli insegnamenti di Pompeo Manzini maestro di cappella.

Successivamente, nel 1661, si trasferì a Roma, città dalla grande e straordinaria attività musicale, nella quale dopo varie esperienze, si stabilì definitivamente nel 1667 dopo che il suo concittadino Giulio Rospigliosi divenne papa con il nome di Clemente IX, assumendo poi la carica di maestro di cappella della basilica di S. Maria Maggiore e, successivamente, dell’Oratorio del SS. Crocifisso e di San Luigi dei Francesi.

Fig 1 Una immagine del compositore Bernardo Pasquini

A Roma Melani entrò in contatto con il ‘dramma musicale’ romano del quale erano rappresentanti di spicco Alessandro Stradella e Bernardo Pasquini. Un ambiente musicale piuttosto stimolante all’interno del quale Melani trovò terreno fertile per produrre la sua prima importante esperienza musicale e teatrale, forse la più grande della sua carriera di musicista: L’Empio Punito che fu rappresentata il 17 febbraio del 1669, presso il Teatro di Palazzo Colonna in Borgo in onore di Cristina di Svezia.

L’opera possiede un’altra particolare peculiarità. Il libretto è opera di Giovanni Filippo Apolloni che sviluppa un testo di Filippo Acciaiuoli tratto dall’opera teatrale El burlador de Sevilla y Convidado de piedra che la tradizione attribuisce a Tirso de Molina, un testo che può essere considerato il capostipite letterario del mito di ‘Don Giovanni’. Componendo e mettendo in scena L’Empio Punito, Melani crea quindi la prima versione in musica di questo mito che troverà, poi, la sua massima espressione con il Don Giovanni di Mozart e Da Ponte.

Fig 2 Una immagine del drammaturgo Tirso de Molina

L’Empio Punito, nella sua versione originale, aveva un aspetto senz’altro monumentale. In partitura ci sono cinquantuno arie, undici duetti e tre terzetti con una parte coreutica molto sostanziosa ma abbandonando quasi del tutto quella prettamente corale. L’influenza di Alessandro Stradella è piuttosto evidente soprattutto nell’uso dell’arioso usato come ponte tra il recitativo e l’aria (qui tutte in forma bipartita) tra i quali si forma un forte legame, quasi ed essere considerati una entità autonoma. Una prassi che dona spessore agli elementi caratteriali ed emozionali di ogni singolo personaggio donando particolare efficacia alla percezione teatrale e drammatica da parte dell’ascoltatore/spettatore.

Anche la parte strumentale è molto ricca ed intensa, anch’essa derivata dallo stile di Stradella e Pasquini, chiaramente concepita da un musicista in possesso di una padronanza dell’arte del contrappunto, elemento sapientemente utilizzato fino ad entrare in simbiosi con la parte prettamente vocale e creare così una espressività efficace e pregnante; una parte strumentale nella quale si possono ravvisare i prodromi di quella che sarà la futura parte orchestrale operistica.

Fig 3 Mauro Borgioni nella parte di Acrimante ©Andrea Rossi

Per quanto riguarda l’azione rappresentata, che contiene chiarissimi ed evidenti elementi del mito di Don Giovanni, il tutto è accentrato su Acrimante, impenitente libertino, che cerca di ingraziarsi l’affascinante Ipomene, compagna di Cloridoro, entrambi congiunti, sorella e cugino, del Re di Macedonia Atrace. Accanto c’è Bibi il servo di Acrimante, innamorato di Delfa nutrice di Ipomene. Una notte Bibi si traveste da Acrimante per introdursi nelle stanze di Ipomene per raggiungere l’agognata Delfa. E’ scoperto da Atrace che crede di essere di fronte ad Acrimante e indignato lo condanna a morte.

Fig 4 Mauro Borgioni (Acrimante) e Giacomo Nanni (Bibi) ©Andrea Rossi

Interviene così Atamira moglie di Acrimante, da lui abbandonata ma sempre di lui innamorata che decide di salvarlo nonostante le sue dissolutezze: si propone al re come carnefice ma invece somministra un sonnifero al posto del veleno. Acrimante sognerà la sua morte e la discesa all’inferno dove incontrerà, affascinandola, Proserpina. Svegliatosi torna a corteggiare Ipomene tentando di usarle violenza; viene scoperto dal di lei consigliere Tiderno che sarà ucciso da Acrimante che, poi, nei pressi del cimitero si burlerà della statua dell’ucciso invitandolo a cena. Tiderno accetta l’invito ma punirà l’empio sprofondandolo negli inferi. Il finale prevede la riappacificazione tra Cloridoro e Ipomene e Atamira che accetterà la mano di Atrace con Bibi e Delfo che si abbracciano.

Fig 5 Mauro Borgioni (Acrimante) e Sabrina Cortese (Atamira) ©Andrea Rossi

Fatte queste premesse che spiegano quanto sia importante la riproposta di un capolavoro che quest’anno compie ben 350 anni di vita il cui ascolto non evidenzia quelle particolari e devastanti rughe che l’età avanzata potrebbe produrre ma, al contrario, ha mostrato vitalità e dinamismo. Il merito, oltre al valore della partitura, è da ascriversi anche all’interpretazione di Alessandro Quarta, musicista tra i più in vista di oggi per la musica del periodo barocco e, in special modo, per quella che ha avuto come culla Roma.

Quarta ha basato la sua interpretazione partendo da una ‘modernizzazione’ dell’esecuzione operata tramite l’applicazione di alcuni tagli al cospicuo materiale originale, omettendo la parte danzata ed espungendo alcune arie per ottenere una parte musicale sempre importante, due ore e un quarto di musica, ma più adatta alla fruizione dell’ascoltatore del terzo millennio. Partendo da ciò il direttore ha completato l’esecuzione con una prova molto convincete alla quale giovavano i suoi consueti tempi serrati che abbinati all’estrema cura nella realizzazione dei recitativi, mai banali ma sempre rivolti a creare quella tensione drammatica e teatrale che poi è completata dagli splendidi ariosi e le diverse arie che costellano la partitura ottenendo una simbiosi non comune tra parte strumentale e parte vocale che ha esaltato la teatralità e l’evoluzione del dramma rappresentato.

Tutto ciò è stato ottenuto grazie alla collaborazione del Reate Festival Baroque Ensemble interamente formato da validi strumentisti ed una compagnia di canto molto bene assortita che comprendeva diversi specialisti del genere.

Fig 6 Alessandro Ravasio (Atrace) e Sabrina Cortese (Atamira)

Nella parte del protagonista Acrimante ancora una volta il baritono Mauro Borgioni ha fornito una prova di rilievo donando al personaggio spessore drammatico e credibilità scenica supportato da una vocalità ideale per questo tipo di repertorio realizzando la difficile linea vocale senza alcuna difficoltà. Lo stesso discorso vale per il soprano Sabrina Cortese, deliziosa Atamira sia dal punto di vista vocale che scenico, che ha superato con eleganza tutte le difficoltà della linea di canto del suo ruolo agevolata dalla lunga frequentazione e dai successi ottenuti nel repertorio barocco.

 

Fig 7 Sullo sfondo Maria Elena Pepi (Proserpina) e Mauro Borgioni (Acrimante) ©Andrea Rossi

Nelle altre parti principali c’era il soprano Michela Guarrera, cantante di ottima levatura brava nel rendere il fascino di Ipomene, Carlotta Colombo altro soprano di stile nella parte di Cloridoro e il basso Alessandro Ravasio che ci ha regalato un Atrace di indubbia ‘regalità’.

Per quanto riguarda il resto della compagnia molto bravi il baritono Giacomo Nanni ed il tenore Alessio Tosi nel rendere brillante la coppia Bibi-Delfa, il soprano Maria Elena Pepi ‘affascinante’ Proserpina, il tenore Riccardo Pisani come Tiderno ed il basso Guglielmo Bonsanti efficace Demonio.

Fig 8 La scena finale dell’opera. Giacomo Nanni e Alessio Tosi (Bibi e Delfa)-Michela Guarrera e Carlotta Colombo (Ipomene e Cloridoro)- Alessandro Ravasio e Sabrina Cortese (Atrace e Atamira)- Maria Elena Pepi e Mauro Borgioni (Proserpina e Acrimante) ©Andrea Rossi

Concludiamo con la parte prettamente visiva curata da Cesare Scarton rivelatasi perfettamente integrata con le altre componenti dello spettacolo. Abbandonata l’originale ambientazione nella città di Pella della Macedonia antica i costumi scelti per la rappresentazione erano relativi ad epoche diverse per dare quella sensazione di un dramma ‘senza tempo’ scelta particolarmente adatta per una rappresentazione ‘barocca’. L’azione risultata molto incisiva nel mettere in risalto tutti i momenti chiave dell’evoluzione della trama era contenuta dentro un impianto scenico essenziale, costruito senza lo sfarzo originale che è praticamente impossibile da realizzare oggi ma organizzato in maniera del tutto funzionale allo sviluppo teatrale, con diversi piani inclinati davanti ai quali c’erano due elementi scorrevoli che venivano sistemati a seconda delle esigenze scene raggiungendo la sua massima efficacia nella parte finale dell’opera quando l’accostamento dei due elementi lasciavano intravedere al centro la statua di Tiderno per una visione particolarmente sueggestiva.

Il tutto grazie alle scene di Michele Della Cioppa, ai costumi di Anna Biagiotti ed alle luci di Andrea Tocchio ed a tutta la compagnia di canto che assieme all’orchestra hanno dimostrato di contribuire con un grande impegno collettivo a dare all’esecuzione quei caratteri di ‘modernità’ che il direttore Alessandro Quarta ha voluto imprimere alla sua scelta estetica.

Fig. 9 Ringraziamenti e applausi al termine della recita ©Andrea Rossi

La recita alla quale abbiamo assistito (28 settembre) ha riscosso un particolare gradimento dal foltissimo pubblico presente che ha affollato al limite della capienza l’elegante sala neoclassica del Teatro di Villa Torlonia applaudendo a lungo tutti gli interpreti.

Claudio LiISTANTI    Roma  6 ottobre 2019