di Francesco PETRUCCI
Il passaggio dell’Appia Antica sui Colli Albani ha assunto rinnovato interesse a seguito della candidatura dell’insigne strada consolare romana a “patrimonio dell’umanità”, su lodevole iniziativa del Ministero della Cultura (febbraio 2023).
Il complesso iter si è concluso con la proclamazione da parte del comitato preposto, riunito a Nuova Dehli il 27 luglio 2024, della Via Appia. Regina Viarum a Patrimonio Mondiale Unesco (fig. 1).[1]
La tutela tuttavia non è stata estesa all’intero tracciato storico tra Roma e Brindisi, ma comprende i tratti ritenuti degni d’interesse e meglio conservati, ridotti secondo l’istruttoria dell’Icomos rispetto alla proposta più estensiva del Ministero.
Tale decurtazione appare incoerente ed incongrua in termini di principio. Infatti un’imponente creazione viaria come l’Appia, prodotto artificiale di un percorso rettilineo ottenuto superando difficoltà orografiche d’ogni tipo attraverso grandiose opere d’ingegneria – allo scopo di raggiungere rapidamente il meridione e il Mediterraneo a scopi militari e commerciali – è un insieme unitario e omogeneo e come tale dovrebbe essere considerato, senza interruzioni e iati.
Nella “componente 2” della Regina Viarum patrimonio Unesco è stato compreso, dopo il Parco Regionale dell’Appia Antica (“componente 1”, dal I al XIII miglio), il percorso nel territorio dei comuni di Castel Gandolfo, Albano Laziale e Ariccia (fig. 2).
Il riconoscimento Unesco assume in tal senso grande importanza, costituendo un momento di straordinaria valorizzazione dei Colli Albani per la parte interessata al passaggio dell’Appia, inglobando nell’area di tutela anche i centri storici di Albano e Ariccia.
Quest’ultimo è comprensivo del complesso berniniano, con Palazzo Chigi, il Parco, la Piazza di Corte, la Collegiata dell’Assunta, il Santuario di Galloro e l’intero centro storico.
Progetti di valorizzazione
Con la finalità di rendere fruibile e valorizzare questo tratto dell’Appia Antica, su impulso del Ministro della Cultura l’amministrazione comunale di Ariccia sta predisponendo alcuni interventi progettuali.
Un primo progetto riguarda la riqualificazione del “Parchetto Savelli”, fondo storico a ridosso della strada consolare che il comune acquisì dai Chigi nel 1988, destinandolo a giardino e parco archeologico. È prevista anche una campagna di scavi, il restauro del Portale Savelli, mentre una piccola sezione verrà destinata a sosta auto contigua al parcheggio sotto il ponte, indispensabile alla fruizione del nuovo parco dell’Appia Antica.[2]
Il terreno frontistante, già vigna Mattei-d’Aste, ubicato nella parte sinistra dell’Appia scendendo a valle, è stato oggetto nel 2020-21 di indagini a cura della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per l’area Metropolitana di Roma, che hanno fatto riemergere significative emergenze da mettere in relazione con il foro di Aricia, compreso un tratto dell’Appia Antica. I manufatti, temporaneamente ricoperti, verranno restaurati e resi fruibili.
Un importante progetto riguarda la creazione di uno svincolo attorno alla Porta Urbica detta Basto del Diavolo, allo scopo di far riemergere il basolato romano sotto la porta e creare un’ulteriore zona limitrofa d’interesse archeologico attorno al Torrione Chigi, già sepolcro romano di età imperale.[3]
È imminente l’avvio dei restauri del monumentale viadotto di età repubblicana dell’Appia Antica detto Sostruzione, una delle opere d’ingegneria viaria più imponenti dell’intero percorso della Regina Viarum, a cura della Soprintendenza diretta dall’arch. Lisa Lambusier, su progetto dell’arch. Claudia Castagnoli.
L’acquisizione del cosiddetto “Orto di Mezzo”, ove insistono la cella di un tempio di età repubblica e altre vestigia, assieme agli interventi previsti, potrà consentire una completa valorizzazione archeologica e paesaggistica dell’Appia Antica nel tratto ariccino.
Un itinerario archeologico nell’antica Aricia
L’itinerario sulla via Appia Antica nel territorio di Ariccia, tra la cosiddetta Tomba degli Orazi e Curiazi e il viadotto repubblicano (Sostruzione), fino a Colle Pardo, inizia subito dopo il Corso di Albano Laziale, scendendo a destra su via della Stella in direzione di Vallericcia (figg. 3, 4).
Questa sezione della Regina Viarum, come conferma il riconoscimento Unesco, è una di quelle di maggiore interesse dell’intero suo percorso, anche per l’importanza delle antiche vestigia che ospita.
Il tratto relativo all’antica Aricia, città latina e municipio romano, ha conservato per secoli la destinazione agricola e la sua collocazione nella valle ha preservato interrato il foro aricino, compreso il vecchio basolato romano della strada consolare da far riemergere sotto l’attuale strada comunale.
Un itinerario lungo la direttrice dell’Appia potrà essere oggetto di importanti interventi di recupero e valorizzazione, anche attraverso una sistematica campagna di scavo.[4]
A seguire una descrizione delle principali emergenze che si incontrano lungo la via Appia Antica e nelle aree limitrofe, recentemente pubblicata in un fascicolo da fornire all’Icomos predisposto dal Comune di Ariccia in occasione della candidatura Unesco, i cui testi sono stati inseriti in pannelli didattici collocati presso le singole opere.[5]
Sepolcro degli Azii o di Marco Azio Balbo (cd. Tomba degli Orazi e Curiazi)
Nel territorio di Albano Laziale al confine con quello di Ariccia, si trova uno dei monumenti più celebri dell’Appia Antica nell’intero suo percorso (figg. 5, 6). Tradizionalmente identificato come Tomba degli Orazi e Curiazi, è in realtà una costruzione di età tardo-repubblicana (metà I sec. a.C.), probabilmente riferibile ad una proprietà degli Azii (Atii), famiglia materna dell’imperatore Augusto la cui madre Azia era aricina. Lo documenta il ritrovamento nei pressi del manufatto di iscrizioni riferite alla Gens Atia.
La singolare conformazione del monumento a cinque guglie tronco-coniche, estranea all’architettura romana e ispirata ai nuraghi sardi, in particolare il nuraghe quadrilobato di Barumini, suggerisce un esponente di spicco di quella gens legato alla Sardegna: Marco Azio Balbo, nonno materno di Augusto, che dal 59 a.C. circa fu pretore della provincia di Sardinia ove era celebrato come Sardus Pater.[6]
Sepolcro a pianta quadrata
Monumento funerario a pianta quadrata in blocchi di peperino (I sec. d.C.), in parte sotto un’arcata della sostruzione ottocentesca della via Appia Nuova, presso la c.d. Tomba degli Orazi e Curiazi. Anche questo sepolcro, che conservava muri in opera reticolata riferibili al recinto, potrebbe essere relativo alla famiglia degli Azii, proprietari del fondo.[7]
Sostruzioni del cd. Tempio di Esculapio (Villa degli Azii)
Nella proprietà dell’Hotel Villa Aricia, presso l’antico Romitorio del Santissimo Crocifisso o della Stella, si conservano strutture sostruttive in opera cementizia con rivestimenti in opera reticolata, opera quadrata e opera laterizia (I sec. d.C.), riferite tradizionalmente al Tempio di Esculapio.
L’ipotesi di un’importante fabbrica residenziale privata sembra in realtà più attendibile, come riteneva l’archeologo e architetto Luigi Canina che la identificava in una villa degli Azii anche per le inscrizioni ritrovate in zona (figg. 7, 8).
Sepolcro in opera listata
Monumento funerario a pianta rettangolare, in opera laterizia e listata, visibile dalla via Appia Antica, sulla destra scendendo, all’interno di un vasto vigneto a tendone.
Sepolcreto pagano-cristiano
Monumento funerario inglobato in una costruzione moderna in abbandono (via Appia Antica, n. 32), costituito da due ambienti a pianta quadrata, con struttura cementizia e rivestimento in opus vittatum a quadrelli di peperino (fine II inizi III sec. d.C.). Sono presenti internamente 5 file di loculi, di cui è documentato l’utilizzo anche nei primi secoli del Cristianesimo. Il muro di recinzione verso strada è impostato su una struttura di blocchi in peperino in opera quadrata a strati alterni, aventi la funzione di sostruzione dell’Appia Antica.
Mura sostruttive
Blocchi in opera quadrata in peperino affioranti sul lato destro della via Appia Antica, di cui costituivano il contenimento laterale, sorta di crepidines, alla base di una casa con accesso da via Cupetta, n. 1, in continuità con le murature nella proprietà precedente (via Appia Antica, n. 32).
Parchetto Savelli
Sono visibili sulla sinistra della via Appia Antica, di fronte all’imbocco di via del Crocifisso, i ruderi del vecchio Portale del Parchetto Savelli del XVII secolo (fig. 9). Di fronte erano visibili alla fine del ‘700 “lunghe lastre di peperino” identificate dal Lucidi (1796) nella porta ovest del foro aricino. Un ulteriore portale del Parchetto, sommerso dal crollo del Ponte Monumentale del 1944, riferibile ai Chigi e a una progettazione di Carlo Fontana, si trovava dalla parte opposta del fondo su via del Pometo (fig. 10).
Come indica la tagliata della pietra ad ovest, l’area era attraversata da un’antichissima strada preromana (fig. 11) che poi risaliva a monte dell’abitato (Parco Chigi, via del Barco), sul cui fianco è ubicata come di frequente sulle strade romane una tomba rupestre di età imperiale (I sec. d.C.).
Il ritrovamento nelle vicinanze di un’iscrizione riferita alla Gens Valeria e del XVI miliario della via Appia Antica risalente ai tempi di Massenzio, esponente di quella casata, ha fatto pensare ad una proprietà imperiale. Infatti sono visibili sulla sinistra di via della Croce, poco dopo l’incrocio con l’Appia, murature in opera listata a strati alterni di mattoni e tufelli tipiche dell’età di Massenzio, probabilmente con destinazione termale a servizio di una villa (M. C. Vincenti). Inoltre è documentato che le strutture furono adattate in età medioevale ad ospitare una chiesetta di San Valerio, evidentemente sopra un precedente titulus della Gens Valeria (fig. 12).
Recentemente è stata avanzata la fantasiosa tesi che il Parchetto avesse ospitato un “circo degli Arvali”, congettura tuttavia non supportata da fonti storiche, rinvenimenti archeologici e dati epigrafici, estranea alla vasta letteratura su Aricia e incompatibile con le sue caratteristiche topografiche.
XVI miliario dell’Appia Antica
Il XVI miliario dell’Appia Antica fu ritrovato in Vallericcia presso la Porta del Parchetto Savelli nel 1891, in corrispondenza della prima statio della Regina viarum, in un terreno appartenente alla gens Valeria. Subito dopo venne trasportato nel Parco Chigi, presso l’ingresso del portale su via dell’Uccelliera. La colonna di granito risale all’età di Massenzio (306-312 d.C.), esponente della gens Valeria, come riporta l’iscrizione dedicata all’imperatore romano (fig. 13).
Sostruzione del c.d. Tempio di Nettuno
Lungo via del Crocifisso, a destra dell’Appia Antica, a circa 70 metri dall’incrocio di via del Casaletto, in località “il Tesoro”, è visibile una struttura sostruttiva in opera cementizia identificata dallo storico ariccino E. Lucidi (1796) come tempio di Nettuno.
Scavi vigna Mattei- D’Aste
La proprietà è segnalata dal monumentale portale (1704), con stipiti ed arco in conci di peperino lavorati, fascia in peperino recante l’iscrizione riferita al capitano Giovanni Antonio Mattei, priore di Ariccia (fig. 14). Nella seconda metà del ‘700 la vigna, “piantata tutta sopra antiche rovine”, apparteneva al Barone d’Aste. Qui fu ritrovata nel 1779 una lapide con iscrizione riferita alla Gens Valeria, probabile antica proprietaria del fondo.
Recentemente (dicembre 2020 – gennaio 2021) sono venuti alla luce resti di fabbriche e manufatti da mettere in relazione con il foro di Aricia. Gli scavi, eseguiti sotto la direzione della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per l’area Metropolitana di Roma, hanno fatto riemergere il basamento di costruzioni di età tardo repubblicana, con murature in opera incerta, opera pseudo-reticolata e blocchi in opera quadrata. Sono ricomparsi anche un tratto dell’Appia Antica e un diverticolo trasversale (fig. 15).
Le fondazioni individuano piccoli ambienti rettangolari e contigui, forse riferibili a Tabernae, negozi, osterie o stazioni di posta a servizio dei viaggiatori. Ad Aricia, non lontano da questo punto, era collocato il XVI miliario (Parco Chigi), in corrispondenza della prima Statio della Regina Viarum.
Tempio c.d. di Diana nell’Orto di Mezzo
Nel cosiddetto “Orto di mezzo” affiorano numerose rovine d’interesse archeologico, attorno alla cella in opera quadrata di un tempio di età repubblicana, pertinenti ad un grande santuario (figg. 16, 17).
Sono presenti nell’area ruderi in opera laterizia relativi a strutture termali, una cisterna, un’antica sorgente destinata all’alimentazione delle terme, probabilmente connesse al culto sacrale venerato nel santuario.
Il tempio aricino è ricordato tra i nove esempi conosciuti di peripteros sine postico, costituente una varietà del tempio “italico” caratterizzato dalla mancanza di opistodomo (parte posteriore del tempio) e colonnato retrostante, oltre che dal prolungamento laterale con alae, del muro di fondo della cella.
Rimane incerta la destinazione del tempio, considerato da alcuni studiosi una succursale del santuario di Diana Aricina sul Lago di Nemi. La datazione oscilla tra il III e la prima metà del II secolo a. C.
Terme e seconda cinta muraria
Sono presenti nell’area denominata “Orto di Mezzo” mura in opera laterizia riferibili a strutture termali e alcuni tratti della cinta muraria meridionale della città romana (fig. 18).
Si riconoscono almeno due fasi: un primo tratto pressoché parallelo all’Appia è realizzato in opera quadrata pseudo isodoma, con blocchi irregolari nel taglio e nella disposizione che segue tendenzialmente strati orizzontali; un secondo tratto perpendicolare, orientato ad est, è in opera quadrata a strati alterni di blocchi per taglio e per testa.
Osteriaccia
Antico edificio un tempo adibito ad osteria di Vallericcia, detto “Osteriaccia” (via Appia Antica, nn. 68-74), identificato tradizionalmente con il modico hospitio ove si fermò Orazio nel suo viaggio da Roma a Brindisi (Satira 5, lib.1), manomesso negli anni ‘80.
Porta Urbica (Basto del Diavolo)
Il cosiddetto “Basto del Diavolo”, collocato all’incrocio tra via Appia Antica e via di Vallericcia, probabilmente coincide con la Porta Urbica di accesso al Foro aricino. Presenta una struttura ad arco in opera quadrata con armilla a blocchi radiali disposti per taglio e per testa, di età repubblicana (II sec. a.C.), inquadrata da muratura di pietrame. Il fronte orientale mostra una facies riferibile ai restauri dell’800. Sotto l’arco è conservato il basolato della via Appia Antica, venuto alla luce negli scavi del 1980, oggi interrato di circa 3 metri (figg. 19, 20).
Terza cinta muraria (Mura del Foro)
Nei terreni a destra dell’Appia Antica sono presenti vari tratti di mura in opera quadrata a strati alterni per testa e per taglio, relativi ad una cinta muraria scoperta dal Lanciani nel 1891. Essa delimitava presumibilmente il Foro aricino, con partenza dalla Porta Urbica in direzione della Palombara e da qui parallelamente alla via Appia Antica in direzione del vicolo delle Vignole, piegando oltre nell’ex terreno Laurenti verso l’Appia (fig. 21).
Sepolcro Rupestre (cappella di san Rocco)
Sepolcro rupestre scavato nella roccia su via della Costa, datato al II sec. a.C., trasformato poi in cappella di San Rocco, collocata al margine dell’abitato in funzione apotropaica per scongiurare il contagio da peste.
Palombara (Santa Maria in Petrola)
La cosiddetta Torre Palombara, ubicata poco distante dal Basto del Diavolo, con ingresso da stradina su via di Vallericcia, è costruita sopra un sepolcro in opera laterizia. In età medioevale ospitava la chiesetta della Visitazione della Vergine detta “di Santa Maria in Petrola” (in riferimento ai selci della pavimentazione dell’Appia Antica), trasformata dopo il 1588 dai Savelli in Palombaia.
Torrione Chigi
Sepolcro in opera laterizia a pianta circolare, di cui sono visibili le murature basamentali, sul quale era stato costruito un edificio cilindrico detto il “Torrione Chigi”, crollato nel luglio 1976 (figg. 22, 23, 24). Per l’occasione venne effettuata una ricognizione sul sepolcro da parte della Soprintendenza Archeologica del Lazio e rinvenuto un sarcofago con una salma finemente vestita e una spada con impugnatura in avorio recante maschere teatrali, oggi conservata a Palazzo Chigi.
Monumento a Tiberio Latinio Pandusa
Presso il parco Chigi si conservano i resti di un imponente monumento sepolcrale di età tiberiana (14-37 d.C., fig. 25) dedicato a Tiberio Latinio Pandusa, quadrumviro e curatore delle strade (quattuorvir viarum curandarum), probabilmente figlio dell’omonimo propretore della Mesia (Tacito, Ann., II, 66, 19 d.C.).
Essi provengono dall’Appia Antica presso il Torrione Chigi (tenuta di Vallericcia), ove nel 1882-83 furono rinvenuti ben 37 blocchi in parte perduti. Alcuni di questi, riscoperti nel 1995, sono stati montati in anastilosi secondo la sintassi aggregativa delle parti su progetto dell’arch. F. Petrucci (1996).
Il manufatto è costituito da blocchi in marmo lunense, un tempo rivestimento di una struttura in opera cementizia, aggregati secondo la “maniera greca” dell’Opus quadratum. Al centro un’iscrizione frammentata, sovrastata da trabeazione con fregio fitomorfico, a fianco una colonna in marmo cipollino di medesima provenienza.
Sepolcro 1
Sepolcro in opera laterizia e listata a pianta rettangolare, prospiciente via Appia Antica, a circa 20 metri dal Torrione Chigi.
Sepolcro 2
Sepolcro in opera laterizia e listata a pianta rettangolare, prospiciente via Appia Antica, presso il Torrione Chigi, prima del vicolo delle Pietre Bianche.
Sepolcro 3
Sepolcro pseudo-circolare in opera cementizia con resti di rivestimento in opera reticolata, all’inizio di via della Polveriera, a circa dieci metri dall’inizio della Sostruzione.
Viadotto dell’Appia Antica (Sostruzione)
La testimonianza più significativa dal punto di vista archeologico dell’antica Aricia, è il grandioso viadotto in opera quadrata di età repubblicana (II sec. a.C.) volgarmente detto “Sostruzione”, illustrato da Giovan Battista Piranesi e da Pietro Labruzzi. Il manufatto costruito probabilmente dai Gracchi con la Lex Viaria del 123 a. C., costituisce l’opera di ingegneria viaria più importante dell’Appia antica per il tratto laziale-campano (figg. 26, 27, 28).
Molti antichi scrittori latini citano spesso il clivus aricinus o clivus Virbii, identificato proprio nel pendio della Sostruzione. Il monumento, sagomato a guisa di piano inclinato, è lungo circa 200 metri e alto fino a 11,50 per quello che attualmente affiora fuori terra. Il pieno murario eseguito interamente in peperino (lapis albanus) è in opera quadrata romana del III° periodo, ed è interrotto ritmicamente da tre archi, quello centrale più grande e quello ultimo molto più piccolo. Per quanto concerne il paramento esterno, esso è costituito da strati alterni di parallelepipedi messi per lunghezza (“ortostati”) e per testa (“diatoni”), in una maniera dell’opera quadrata romana abbastanza evoluta, ma ancora lontana rispetto alla regolarità del foro di Augusto.
Sepolcro 4
Sepolcro, sul lato meridionale alla fine della Sostruzione, presso la via Appia Antica, in opera cementizia e opera quadrata, a pianta rettangolare.
Sepolcro 5
Sepolcro alla fine della Sostruzione, su via Appia Antica, a circa 7 metri dal precedente. Resta la struttura in opera cementizia.
Cisterna
A circa 20 metri dalla fine della Sostruzione, salendo sull’Appia Antica verso Colle Pardo, cisterna in opera cementizia a pianta quadrangolare irregolare, inglobata in una moderna villetta.
Emissario del Lago di Nemi
In fondo a via della Polveriera è presente lo sbocco del monumentale Emissario del lago di Nemi. Costruito probabilmente da maestranze greco-ioniche, è nel suo genere una delle più importanti opere d’ingegneria idraulica dell’antichità, i cui unici confronti all’interno del mondo classico sono l’Emissario del Lago Albano e l’Acquedotto di Eupalinos di Megara a Samo (fig. 29).
Il condotto portava l’acqua del lago di Nemi, presso il Santuario di Diana Nemorense, in Vallericcia e verso il mare ove erano collocati vari mulini. Costituito da un tunnel di circa 1650 metri scavato nella roccia, reca sopra il vano di accesso in Vallericcia lo stemma Chigi. Viene datato alla fine del VI sec. a.C., subito dopo la battaglia di Aricia del 505 a.C..
Mola de’ Cesarini
La costruzione, fortemente rimaneggiata, probabilmente edificata sopra un preesistente mulino romano, si trova su via della Moletta (nn. 41-49). È visibile un tratto di muratura medioevale con pietrame tufaceo e scaglie di selce, in cui sono incastonate due macine del vecchio mulino. Detta nel ‘600 “Mola di Genzano” o “Mola de’ Cesarini” per essere passata alla famiglia Sforza Cesarini (eredi dei Savelli) che conservava il diritto di utilizzo delle acque dell’Emissario di cui controllava l’ingresso dalla parte del Lago di Nemi. Si parla del mulino già in un atto del 988 d.C., quando spettava al monastero di San Ciriaco di Roma.
Colle Pardo
L’altura situata al confine tra il territorio del comune di Ariccia e quello di Genzano, denominata “Colle Pardo”, costituisce uno dei siti più suggestivi dal punto di vista panoramico e paesaggistico che si possano incontrare lungo il percorso della via Appia Antica e moderna, nel versante meridionale dei Castelli Romani.
Dalla massima altezza di 490 metri sul livello del mare, si gode un panorama che spazia a 360 gradi dalla capitale al litorale romano, fino al Circeo e alle isole pontine, la visione scenografica dei boschi dell’Artemisio e di Monte Cavo. La letteratura e le antiche guide dei Castelli Romani ne parlano come uno dei luoghi più attrattivi del territorio, paragonabile alla cima di Monte Cavo.
Il noto archeologo topografo Rodolfo Lanciani lo chiamò “il Colle dell’Addio”, perché da quell’altura le legioni romane in viaggio verso Brindisi (ultima statio della Regina Viarum, mentre Aricia era invece la prima, al sedicesimo miglio), ove si imbarcavano per le campagne militari in oriente e nel Mediterraneo, voltandosi potevano salutare per l’ultima volta Roma.
Tombe rupestri scavate a terra nella roccia, resti di sepolcri e una grossa cisterna romana (tenuta Monticella), sono presenti sul crinale del colle verso Ariccia, a dimostrazione dell’importanza del sito. Gran parte dell’area di Colle Pardo, limitata a sud ovest dal tragitto dell’Appia Antica e a settentrione dalla via Appia Nuova, già proprietà del Capitolo della Collegiata dell’Assunta di Ariccia perlomeno dal 1618 dopo una transazione con i Savelli, apparteneva nell’Ottocento all’antica casata genzanese degli Jacobini. Il Comune di Ariccia, con un finanziamento della Provincia, ha acquistato l’intera collina nel 2011. Sulla sommità del colle, coperto da un vasto castagneto dominato da ultracentenari pini domestici (Pinus Pinea), sono ancora visibili i ruderi di una piccola costruzione, disgraziatamente demolita alla metà degli anni ’90, Casino di caccia Jacobini, edificato nel 1843 come luogo di delizie e di scampagnate, poi ritiro di meditazione del cardinale Ludovico Jacobini.
Tempio di età repubblicana (Capitolium)
Il monumento più significativo dell’antica acropoli aricina, è costituito dalla platea e parte del podio di un magnifico tempio di età repubblicana a tre celle, in opera quadrata a strati alterni disposti per taglio e per testa. La fabbrica aveva il fronte verso valle ed era visibile dalla campagna romana, manifestando il prestigio di Aricia, città latina e municipio romano (fig. 30).
Ne è stata proposta, per la forma tripartita e la collocazione sommitale sull’acropoli, l’identificazione con i resti di un Capitolium, da mettere in relazione con il tempio di Giove citato da Tito Livio come colpito da un fulmine (Hist. Lib. 24).
Sono presenti mura sostruttive a valle, sia inserite nell’edificio comunale, che sotto il bastione di via della Croce (fig. 31). Le murature sono tardo-repubblicane (I secolo a.C.), probabilmente di età sillana, dato che nell’82 d.C., dopo la fine della guerra civile con Caio Mario, Silla promosse importanti interventi di ricostruzione ad Aricia.
Sopra tali murature era stata costruita in età paleocristiana la basilica di Santa Maria, demolita nel ‘600 da Alessandro VII per l’edificazione della nuova collegiata su piazza di Corte. Qui fu costruita la chiesa di San Nicola, realizzata nel 1665-66 dietro un’idea di Giovan Lorenzo Bernini, sotto la direzione del fratello Luigi Bernini, demolendo la vecchia basilica paleocristiana.
Bastione meridionale
Lo svincolo e il belvedere con la strada che esce da Porta Romana (via della Croce), fu sistemato sotto la direzione di Giovan Lorenzo Bernini su commissione di Alessandro VII nel 1666.
Fu costruito un monumentale bastione di sostegno, visibile nel primo tratto di via della Strada Nuova (di fronte ai civici fino al n. 20), coronato da un cornicione a toro in peperino, inglobando strutture in opera incerta (o quasi-reticolata), opera quadrata e opera cementizia. Si tratta di murature di età sillana (I sec. a.C.) aventi la funzione sostruttiva del tempio repubblicano dell’acropoli (Capitolium), in parte visibili su via della Strada Nuova, anch’essa realizzata negli stessi anni da Bernini come circonvallazione all’abitato. Le strutture sono riemerse nel 1997 con la demolizione del lavatoio edificato nel 1895-’96 e la creazione del parcheggio.
Le Muracce (villa c.d. di Vitellio)
Alcuni vestigia d’interesse archeologico tradizionalmente riferite alla villa dell’imperatore Vitellio (69 d.C.), ricordata ad Aricia da Tacito, detti “Muracce”, sono visibili su via D. Marinelli, in località “Quarto di S. Cecilia”. Si conserva un ninfeo, con murature in opera cementizia e opera reticolata, e due cisterne. Altre strutture, forse pertinenti alla stessa villa, sono in Località Grotta Lupara, via del Monte, con muri in opera reticolata e mosaici pavimentali in 5 ambienti. Ulteriori resti sono visibili in proprietà privata in via della Cisterna Romana (fig. 32).
Reperti e scoperte
Una campagna sistematica di scavo nel tratto aricino dell’Appia Antica, rimasta interrata nella valle nel corso dei secoli per i depositi alluvionali, sicuramente potrebbe portare alla scoperta di nuovi reperti, che andrebbero a potenziare la sezione museale archeologica conservata nel Palazzo Chigi, accresciuta recentemente dalla Spada onoraria ritrovata presso il Torrione Chigi (“Archeo”, 461, luglio 2023, pp. 6-7).
Tra le numerose sculture rinvenute nel corso dei secoli ad Ariccia, lo straordinario gruppo in terracotta di influsso ellenistico del Casaletto (III sec. a.C. Roma, Museo Nazionale Romano), la colossale statua di Artemide delle Cese (Roma, Museo Nazionale Romano), il Sileno dei Musei Vaticani, la colossale Testa di Augusto del Museum of Fine Arts di Boston, fino all’Erma trovata nel 1998 nell’Orto di Mezzo e portata impropriamente in deposito nel Museo delle Navi Romane di Nemi (figg. 33-38).
Francesco PETRUCCI Ariccia 8 Settembre 2024
NOTE
[1] Per la proposta di candidatura vedi: Via Appia Regina Viarum. Dossier di candidatura UNESCO Lista del Patrimonio Mondiale, Ministero della Cultura, a cura di A. M. Ferroni, 5 voll. (3 allegati), Gangemi Editore International, finito di stampare nel mese di gennaio 2023, Roma 2023. Il progetto è stato coordinato esemplarmente dal punto di vista tecnico-scientifico dall’archeologa Angela Maria Ferroni, funzionaria del Ministero.
[2] Il progetto, redatto dall’arch. Marco Silvestri, approvato dal Consiglio Comunale di Ariccia il 17 luglio 2023, è in attesa del nullaosta del Ministero della Cultura.
[3] Il progetto di nuova sistemazione viaria è a cura dell’ing. Bruno Guidolbaldi in collaborazione con l’ing. Giuseppe Resta.
[4] Su Aricia e le sue testimonianze archeologiche, vedi, con ulteriore vasta bibliografia: E. Lucidi, Memorie storiche dell’antichissimo municipio ora terra dell’Ariccia e delle sue colonie Genzano e Nemi, Roma 1796; G. Tomassetti, La Campagna romana antica, medioevale e moderna, Roma 1910-26, nuova edizione aggiornata a cura di L. Chiumenti, F. Bilancia, Roma 1975-77, II, pp. 271-289; G. Florescu, Aricia. Studio storico-topografico, in “Ephemeris Dacoromana. Annuario della Scuola Romena di Roma”, III, 1925, pp. 1-57; R. Lefevre, Le antichità di Ariccia, Roma 1977; M. Lilli, Ariccia. Carta archeologica, Roma 2002; A. Silvestri, Le Erme Bifronti di Aricia. Ippolito-Virbio e i riti di arcaici di iniziazione, Roma 2005; M. C. Vincenti, L’Appia Antica ad Ariccia: contesti e rinvenimenti, in “Gazzetta ambiente”, anno XXIII, n. 1-2, 2017, pp. 143-158; id., In viaggio sul XVI miglio della Regina Viarum: infrastrutture, servizi e luoghi di culto nella mansio aricina, in Experiencing the Landscape in Antiquity 2, BAR S3107, a cura di A. Cristilli, F. de Luca, G. di Luca, A. Gonfloni, Oxford 2022, pp. 151-159.
[5] F. Petrucci, Itinerario sull’Appia Antica, XV-XVI miglio, Arti Grafiche Ariccia, Ariccia 2023. Il fascicolo (italiano e inglese) e la segnaletica sono stati predisposti dal sottoscritto (che faceva parte della commissione di supporto al Ministero per il sopralluogo Icomos del settembre 2023), su iniziativa del Sindaco Dr. Gianluca Staccoli e dell’assessore ai Lavori Pubblici e Urbanistica Michele Serafini. Tale materiale, assieme alla documentazione storica fornita (pubblicazioni, relazioni, iconografia, etc.), è stato un importante supporto al riconoscimento Unesco per la sezione locale dell’Appia.
[6] L’ipotesi di un sepolcro degli Azii, già avanzata da E. Lucidi, 1796, p. 32, è stata sviluppata dal sottoscritto con approfondimenti iconografici, documentari e stilistici: F. Petrucci, Il Mausoleo di Marco Azio Balbo, più noto come “Sepolcro degli Orazi e Curiazi”, in “Lazio ieri e oggi”, Anno LV, n. 4-6 (625), 2019, pp. 161-177.
[7] Cfr. G. Tomassetti, 1910-1926, II, p. 235; P. Chiarucci, 1982, p. 42; M. Lilli, 2002, pp. 213-214; M. Leoni, 2008, fig. p. 37.