L’algoritmo di Mantegna: “Una cona, dov’è Nostro Signore levato dalla croce e posto in un lenzolo… “. . La “Deposizione” di Pompei presentata ai Musei Vaticani

di Chiara GRAZIANI

Probabilmente giunse dalla città su un carretto, di quelli usati per lo sbarazzo delle case nobiliari napoletane, malconcia e rappezzata, forse salvata da sorte peggiore dopo essere scampata ad incendi e terremoti che avevano funestato Napoli all’inizio del XV secolo. Sarebbe questa la soluzione del giallo storico ed artistico della Deposizione di Cristo nel Sepolcro, “una cona, dov’è Nostro Signore levato dalla croce e posto in un lenzolo, di mano del Mantegna”, svanita dalla storia dell’arte a pochi decenni dalla sua apparizione su tela per mano del Maestro mantovano. Opera descritta nel 1524 dell’umanista partenopeo Pietro Summonte al veneziano Marcantonio Michiel in una celebre lettera,  era in origine in San Domenico Maggiore, arca di teologia, arte e fede che fondò la Napoli angioina. Mantegna moriva nel 1506, anno che coronò un sessantennio di terremoti ed incendi che avevano investito la città di Napoli, devastando la basilica di San Domenico, determinando la dispersione e la distruzione di opere d’arte come l’apertura di grandi cantieri di restauro. La “Deposizione”, forse tolta dal supporto ed arrotolata, si eclissa in questi tempi di caos e riedificazione. Senza lasciare altra traccia di sé, a parte due copie non pregevolissime che ne testimoniano la risonanza nell’ambiente.

Figura 1 Simone da Firenze, Deposizione di Cristo, 1510 circa. Angri, Collegiata di San Giovanni Battista
Figura 2 Pittore anonimo, Deposizione di Cristo, XVII secolo. Castelguelfo, Enrico Corradini Antiquario

Oggi se ne annuncia il ritorno, il restauro e, soprattutto, l’ingresso nell’immaginario devozionale di un’altra grande comunità di fede, quella nata un secolo e  mezzo fa attorno al santuario della Madonna di Pompei ed al quadro della Vergine che ne è il baricentro iconografico e spirituale.

 E’ come se la “Deposizione” ritrovata, spiega Tommaso Caputo, arcivescovo prelato di Pompei, avesse fatto un lungo cammino nascosto, seguendo una vocazione che l’ha spinta ad abitare  Pompei ed i tempi attuali.

Il Santuario, fondato dal beato Bartolo Longo, è infatti cresciuto con la città attorno ad un altro quadro – neppure di particolare pregio, rileva il vescovo. Curato ed amato, abbellito e restaurato negli anni, il quadro della Vergine del Rosario ha dato forma al Santuario ed anche alla città, come struttura urbana e come comunità. Il Vescovo, che sta preparando una sala che ospiti il Mantegna di ritorno dopo una delicatissima opera di restauro ai Musei Vaticani dove è esposto dal 20 marzo, dice:

“E’ come se il capolavoro di Mantegna, fin dal primo momento, fosse stato istradato sulla sua unica via giusta. Se anche per l’arte vale, può valere, la suggestione della chiamata, si potrebbe dire che la splendida Deposizione di Mantegna ha risposto, infine, alla vocazione del genius loci”.

L’arte che nutre la fede ed edifica luoghi. L’arte che, come le persone, può essere chiamata e rispondere alla vocazione di essere immagine  – in precisi luoghi fisici – delle cose sperate e del loro fragile e potente annunciarsi in terra. Verrebbe da dire, in quest’ottica che – come l’arte – ogni cosa è chiamata.

Fig 3  Andrea Mantegna (1431-1506) Deposizione di Cristo nel sepolcro 1495-1500 circa tempera su tela di lino, cm 86 x 103 Pompei, Santuario della Beata Vergine del Rosario

Come “chiamato” sarebbe stato il quadro della Vergine del Rosario, malandato e umile, che giunse nelle campagne di Pompei su un carretto come una masserizia di quelle scartate dalla “capitale” ed ammassate nel luogo dello sbarazzo.

Così, dunque, si immagina possa essere andata anche per la Deposizione scomparsa. Dipinta su sottile tela di lino, arrotolabile come Mantegna stesso ebbe modo di spiegare al marchese di Mantova Ludovico III Gonzaga in una lettera del 6 luglio 1477, su “un bastoncino”, sarebbe riemersa dall’anonimato che l’aveva ospitata dopo l’ultimo grande incendio napoletano per finire, secoli dopo,  nella disponibilità del Santuario. Archiviata con paternità ignota sul portale Beweb, nato per catalogare lo sterminato patrimonio culturale ed archivistico della Chiesa, colpì l’attenzione di uno studioso in tempi di Covid, giorni in cui le restrizioni da pandemia spinsero moltissimi a setacciare tenacemente la Rete dal computer di casa.

Figura 4  Riflettografia infrarossa a 1900 nanometri della Deposizione di Pompei oggi ai Musei Vaticani

Nel 2020 Stefano De Mieri, docente di storia dell’arte all’università Suor Orsola Benincasa, si imbattè, dunque, nell’immagine on line e suo è stato il merito del collegamento, non scontato, con l’opera perduta del Mantegna che, documentata nel 1524,  non aveva lasciato poi tracce negli inventari via via succedutisi di San Domenico Maggiore. Solo un paio di copie posteriori testimoniavano che l’opera citata era effettivamente esistita ed aveva iniziato a “risuonare” nell’ambiente.

E’ stato il professor Mieri a portare il caso all’interesse del Vescovo e a dare il via al coinvolgimento  dei Musei Vaticani fino alla “spedizione a tre” del marzo del 2022, ai tempi della ripartenza post-pandemica. La direttrice dei Musei, Barbara Jatta con il compianto Guido Cornini e Francesca Persegati, rispettivamente delegato scientifico e responsabile del laboratorio di restauro dipinti e materiali lignei dei Musei Vaticani, vennero ad esaminare “la cosa vera”. E fin dalla prima ricognizione con i raggi Uv, ma anche ad occhio nudo e con qualche emozione i tre si dissero che, sì, “c’era ottima materia” sottostante  gli strati dei ritocchi ossidati ed incorporati dal lino, della sporcizia, dei danneggiamenti. Le indagini multispettrali del Gabinetto di ricerche scientifiche dei Musei Vaticani confermarono più solidamente

“la presenza di un disegno sottostante che ha guidato la stesura pittorica con un’accurata impostazione grafica, delineata per ricalco da un modello-cartone, già elaborato su carta”.
Fig 5 Resturatori al lavoro sulla Deposizione

La mano originale del primo artista, dunque, secondo gli esperti dei Musei Vaticani. Non solo.

Le proporzioni della costruzione geometrica dell’opera tradirebbero uno “schema progettuale basato su calcoli matematici intenzionali”, insomma tutti i tratti del codice sorgente di un’opera originale. L’algoritmo di Mantegna.

Figura 6 dettaglio dal Restauro, la Maddalena

La Deposizione fu dunque affidata in Vaticano ai restauratori, con Fabrizio Biferali a prendere il posto dello scomparso Cornini nell’impresa di ridare paternità al dipinto di Pompei. L’opera, realizzata con la rara tecnica del  tüchlein, tempera magra su lino, aveva in origine un supporto di legno, scomparso e rimpiazzato nei secoli. Lorenza D’Alessandro e Giorgio Capriotti,  nei laboratori vaticani, hanno guidato la ripulitura dell’immagine dalle sovrapposizioni e restituito alla tela un supporto nuovo. Il risultato è dal 20 marzo visibile per i visitatori della Pinacoteca Vaticana, XVII sala. Esposizione temporanea, in attesa del ritorno alla città mariana che attende un’immagine ormai considerata incorporata alla storia della devozione che ha fondato i luoghi.

Chiara GRAZIANI  Roma 23 Marzo 2025