di Stefano AGATI
Stefano Agati, già Professore a contratto presso l’Università degli Studi di Padova, Facoltà di Medicina e Chirurgia, è Presidente Onorario e Past President dell’Ass. Naz.le Sociologi del Veneto, nonchè Sociologo e Formatore. Lo ringraziamo per aver cortesemente consentito ad Abou Art la pubblicazione di questo importante contributo
La sindrome italiana e il processo di integrazione”
Relazione presentata al Congresso Ass. Naz.le Sociologi. Università di Roma La Sapienza dal titolo “INTEGRAZIONE, SICUREZZA, WELFARE: PROPOSTE DI INTERVENTO DEL SOCIOLOGO PER IL BENESSERE COLLETTIVO” (ROMA, 6.VI.2025)

L’inizio dei grandi flussi migratori in Italia è rappresentato dall’arrivo al porto di Bari, nell’agosto del 1991, della nave Vlora con a bordo ventimila albanesi, dei quali a 1.500 fu riconosciuto l’asilo politico e venne concessa la possibilità di restare nel nostro Paese. I flussi migratori in arrivo in Italia, da quel momento sono proseguiti ininterrottamente: nel 2001 gli stranieri residenti nel nostro Paese erano circa 1,3 milioni, nel 2011 hanno raggiunto quota 4 milioni e oggi superano 5 milioni di presenze.

Dal 1991 ad oggi nel mondo le cose sono profondamente cambiate, e questa nuova realtà influenza e condiziona anche il divenire del fenomeno migratorio e i processi di integrazione nel nostro Paese.
Il mondo è scosso da grandi tensioni: l’Europa è alle prese con una “sfida esistenziale”, la crisi più profonda mai vissuta dal Trattato di Roma del ’57, gli Stati Uniti devono metabolizzare la metamorfosi dell’impero americano, la Cina è preoccupata dal dimezzamento dei tassi di crescita e dalla crisi demografica, la Russia non è ancora venuta a capo delle sue ambizioni egemoniche, i Paesi arabi sono dilaniati da lotte intestine, mentre il Medio Oriente è protagonista del cruento conflitto le cui cronache sono all’ordine del giorno. Proprio per questi motivi, tutto ciò che conta davvero sembra accadere al di fuori del nostro Paese. Ma quale è la realtà italiana, quale è l’immagine più aderente alla reale situazione sociale del Paese?
Il Censis la definisce “la sindrome italiana” nella quale restiamo intrappolati: non registriamo picchi nei cicli positivi, ma non sprofondiamo nelle fasi critiche e recessive, il ritratto di un Paese che avanza nel tempo senza incorrere in capitomboli rovinosi e senza compiere scalate eroiche.
“Ci flettiamo come legni storti e ci rialziamo dopo ogni inciampo, senza ammutinamenti. La sindrome italiana consiste dunque in questo lento andare: un dondolio talvolta soporifero, capace anche di rassicurare – se non narcotizzare – mentre la storia del mondo ha ripreso a correre turbinosamente. Tuttavia, proprio come in uno stagno, in cui la superficie calma dello specchio d’acqua può apparire rasserenante, mentre il fondale dell’acquitrino ribolle di macerazioni e lascia esalare i miasmi, sotto la continuità nella medietà si possono intravedere i presupposti di possibili fratture. Nella sindrome italiana si nascondono non poche insidie” (Fond. Censis, 2024, 6).
Se le aspettative vengono deluse, può verificarsi lo smottamento proprio di quei principi che avevano cementato l’identità collettiva del ceto medio.
Gli effetti sono visibili come: il ritirarsi dalla vita pubblica, la sfiducia crescente nei sistemi democratici, l’opinione che l’Unione europea sia una sorta di guscio vuoto, il non riconoscersi più nelle grandi matrici valoriali unificanti del passato.
“Se non si può più salire socialmente grazie alle capacità personali, all’impegno, al merito, allo studio e al lavoro, vivendo dentro una società proiettata verso la crescita, allora, in una società che invece ristagna il desiderio di riconoscimenti può – e deve – essere appagato spostando la partita in un altro campo di gioco: quello della rivalità delle identità. Si ingaggia una competizione a oltranza per accrescere il valore delle identità individuali – di tipo etnico-culturale, sessuale, religioso […] Affiora una moltitudine di gruppi identitari che lottano per superare ogni forma di esclusione presunta, percepita o reale, ogni disparità di trattamento, ogni discriminazione, umiliazione e oppressione“. (Fond. Censis, 2024, 11, 12).
In relazione al processo di integrazione degli stranieri vi è da dire che questa “guerra delle identità” comporta il rischio di una rottura delle relazioni con le soggettività di diversa appartenenza, di cui si avverte la distanza esistenziale.

“Per comprendere la fase in cui la società italiana si è inoltrata bisogna partire perciò da alcune posizioni emblematiche: il 57,4% degli italiani si sente minacciato da chi vuole radicare nel nostro paese regole e abitudini contrastanti con lo stile di vita italiano consolidato, come ad esempio la separazione di uomini e donne negli spazi pubblici o il velo integrale islamico; il 38,3% si sente minacciato da chi vuole facilitare l’ingresso nel Paese dei migranti; il 29,3% vede come nemico chi professa valori divergenti dai propri riguardo la famiglia tradizionale; il 21,8% avverte ostilità nelle persone che professano un’altra religione; la stessa inimicizia separa il 21,5% degli italiani dalle persone appartenenti a una etnia diversa, il 14,5% da chi ha un diverso colore della pelle” (Fond. Censis, 2024, 12, 13).
Nonostante il razzismo silente, le tensioni, le forme di conflittualità e gli scontri che si manifestano sui territori, talvolta anche all’interno degli stessi gruppi etnici, l’Italia è diventata già multietnica e lo Stato ha introdotto apposite norme e procedure per favorire il processo di integrazione.
Il cosiddetto «pacchetto sicurezza», approvato con legge 15 luglio 2009, n. 94, ha introdotto l’accordo di integrazione (articolo 4-bis del DLgs 286/1998). […] Il 10 marzo 2012 è entrato in vigore il D.P.R. 14 settembre 2011 n. 179, ovvero il regolamento che disciplina l’accordo di integrazione. Da tale data, pertanto, il nuovo strumento è diventato operativo. In generale si tratta di “un percorso d’integrazione obbligatorio” introdotto per via legislativa, che induce lo straniero che desideri vivere ed integrarsi in Italia ad adempiere ad alcuni obblighi per non incorrere, nei casi più gravi, nella sanzione dell’espulsione” ( https://integrazionemigranti.gov.it ).
Il 26 settembre 2017 il Ministro dell’interno ha presentato, nell’ambito del tavolo di coordinamento nazionale, il primo piano nazionale di integrazione rivolto ai beneficiari di protezione internazionale per il biennio 2017-2018. Il piano, per esplicita previsione normativa, si concentra esclusivamente sui titolari di protezione; tuttavia vi si legge che
“le linee di intervento previste potranno essere considerate un primo passo verso un sistema integrato e inclusivo anche degli altri stranieri regolarmente soggiornanti”.
Il piano prevede che coloro ai quali è riconosciuta la protezione internazionale, si impegnano ad imparare la lingua italiana, condividere i valori della Costituzione italiana, rispettare le leggi, partecipare alla vita economica, sociale e culturale del territorio in cui vivono; la Repubblica si impegna ad assicurare l’uguaglianza e la pari dignità, la libertà di religione, l’accesso all’istruzione e alla formazione, interventi diretti a facilitare l’inclusione nella società” ( https://temi.camera.it ).
Questo fenomeno migratorio ha contribuito complessivamente al formarsi di 2,6 milioni di famiglie in cui almeno un componente della coppia è straniero, con oltre un milione di minori stranieri residenti.
Nell’anno scolastico 2023/2024 il numero degli alunni con cittadinanza non italiana iscritti nelle scuole sono stati 931.323, pari all’11,6% del totale. Si aggiungono 1,3 milioni di giovani stranieri residenti che hanno tra i 18 e i 34 anni. I giovani di seconda generazione sono quelli che hanno saputo rappresentare le virtù di un’Italia giovane e multietnica alle scorse Olimpiadi di Parigi, o al contrario possono essere quelli che esprimono il forte disagio del vivere giovanile attraverso la costituzione di baby gang e la pratica della violenza. I giovani di seconda generazione hanno soprattutto abitudini e comportamenti simili a quelli dei giovani italiani, vivendo contemporaneamente un’italianità che si nutre del legame con il Paese d’origine.
“Nel loro essere giovani italiani, che hanno un passato di migrazione non vissuto direttamente, rappresentano una nuova italianità, che è data dalla sintesi di appartenenze multiple” (Fond. Censis, 2024, 415).
Nell’imminente futuro la realtà sociale del nostro Paese si baserà sulle generazioni dei nostri figli e dei nostri nipoti oltre che su questa “nuova italianità”. Un ostacolo fondamentale è rappresentato dal razzismo: il 64.4% dei giovani di seconda generazione è convinto che il razzismo sia in crescita. I dati dell’Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori ci dice che effettivamente il numero dei crimini d’odio dal 2015 al 2022 ha registrato un aumento del 151%, e i crimini di natura razzista o xenofoba sono quasi triplicati (Fond. Censis, 2024). D’altro canto preoccupano anche gli episodi di un certo rilievo in cui raduni di piazza di diversa natura, degenerati in violenza, hanno visto protagonisti giovani di origine straniera, con le reazioni roboanti di una certa parte politica e l’understatement da parte di altri.

Ma la deriva verso una società strutturalmente razzista non è inevitabile, le fondamenta su cui costruire una società che non sia razzista ci sono, gli indicatori di segno contrario esistono, anche nei segmenti considerati più problematici come ad esempio quelli di origine maghrebina.
La maggior parte di questi giovani infatti frequentano ragazzi italiani e parlano molto bene l’italiano. Si procede con cauto ottimismo, visti gli ostacoli rappresentati soprattutto dalla frammentazione del quadro politico italiano e dall’assenza di una vera presa di coscienza e mobilitazione popolare. Per favorire un futuro comune possono contare anche gli atteggiamenti e le pratiche quotidiane di ciascuno di noi comprese quelle lessicali (https://rivistailmulino.it). Infatti già il termine “seconda generazione” può avere una valenza discriminatoria. Si tratta di tendere verso un’unica identità tra mondi diversi, attraverso una sintesi armoniosa, per dimostrare che in Italia è possibile un’integrazione di cui sono portatrici le giovani generazioni (Fond. Censis, 2024).
Stefano AGATI Roma 15 Giugno 2025
BIBLIOGRAFIA
FONDAZIONE CENSIS. (2024). Rapporto sulla situazione sociale del paese. Milano: FrancoAngeli
SITOGRAFIA