di Kristina HERRMANN FIORE
La presente pubblicazione offre un riesame di un dipinto del Bronzino presso la Galleria Borghese, restaurato nel 2002, da Paola Mastropasqua ed ora reso pubblico su About Art (fig.1).

Per il riesame del dipinto, si riassumano brevemente alcuni dati tecnici: Il dipinto, olio su tavola di pioppo, presenta un formato «d’Imperatore»3 con le seguenti dimensioni: 120 x 92 cm e uno spessore di 3,2 cm. Il San Giovanni Battista appare seduto per terra, in primo piano, grande al naturale. L’autografia è confermata dalla firma sul sasso nell’angolo inferiore a sinistra: “Bro˜zino. Fior.[entino]”. La provenienza è indeterminata. Il dipinto risulta in Galleria Borghese già nel 1610, anno in cui il maestro Anibale Coradino fu pagato “per la cornice del S. Gio. Battista del Bronzino sc. 6”4. L’attuale cornice è ottocentesca.
(NdR L’illustrazione (fig.1) per motivi tecnici ha una eccessiva sfumatura verde, non presente nel colorito dell’originale)
Nell’ ambito del restauro l’ausilio delle radiografie RX effettuate da Emmebici e delle riflettografie a infrarossi, offerte dall’INOA, Istituto Nazionale di Ottica Applicata di Firenze (fig.2) hanno portato a risultati sorprendenti1. Sono stati rilevati non soltanto alcuni pentimenti, ma in uno strato più profondo della pellicola pittorica è emerso un ritratto a mezzo busto con una mano su un libro.

Quanto alle riflettografie si è trattato di uno dei primi esperimenti di ‘Riflettografia ad Infrarossi su una lastra unica’, nelle stesse dimensioni del quadro originale, un innovativo metodo sviluppato dall’ INOA che ha reso superata la precedente procedura di congiungere le riprese parziali a mo’ di patchwork, al fine di ottenere un’immagine completa, procedura questa, che necessitava di lunghi tempi di elaborazione e di estrema precisione nel far combaciare i singoli dettagli. Nella radiografia della Emmebici sono diventate visibili anche la bocca dell’effigiato, ma la riproduzione nel formato limitato di questo saggio non consente la leggibilità di questo dettaglio .
I risultati delle indagini diagnostiche sono stati presentati nel 2002 in una conferenza stampa e nei relativi articoli ad informazione del pubblico 2. Si è trattato di un’occasione straordinaria per il fatto che le indagini diagnostiche e gli studi storico-artistici sono stati condotti in una sinergia indispensabile sul piano della percezione e dell’interpretazione dei dati visibili dell’opera, sia in superficie che negli strati sottostanti, questi ultimi oggetto di indagine in questa sede con nuove considerazioni. Le indagini diagnostiche effettuate sul quadro del Bronzino infatti offrono elementi indicativi sulla sua genesi e portano a nuove considerazioni sul piano della sua lettura e della datazione.
Le elaborazioni grafiche del 2020, dovute a Mattia Patti, facilitano la comprensione dei risultati diagnostici che riguardano essenzialmente due ámbiti: i pentimenti nella composizione del Santo e la sottostante presenza di un ritratto (fig.3).

Quanto alla registrazione dei pentimenti, essi si concentrano sulla metà inferiore del corpo e, in particolare, sulla prospettiva della gamba sinistra che sporge illusionisticamente quasi oltre il bordo del dipinto.
In una prima idea, viceversa, il Bronzino aveva redatto la gamba sinistra piegata più aderente al bacino, in modo da coprire anche parte dell’inguine destro. Tale forzatura della posizione, tuttavia, avrebbe conferito un aspetto innaturale, quasi snodato, alla figura, e il Bronzino, nella redazione finale, l’abbandonò in favore di una tensione più sciolta delle gambe che, pur trovandosi in una rara posizione d’artificio scultoreo, appaiono in una posa che rende plausibile il più lieve moto rotatorio tra bacino e torso, il contestuale abbassamento della spalla e del braccio destro la cui mano raccoglie l’acqua della fonte in una ciotola con l’indice puntato, per fermarsi infine, alla frontalità del volto. Ciò implica che il Bronzino non soltanto rinunciasse alla prima idea della coscia destra quasi parallela al piano del quadro, ma decidesse di introdurre uno scorcio più ardito della gamba sinistra, che ora lascia scoperto tutto l’inguine destro.
Nella redazione finale è aumentata la prospettiva del piede, ora reso per intero, compreso il tallone. Tale mezzo prospettico accentua la posizione di inferiorità dell’osservatore rispetto al Santo, visibile da sotto in su. Cambiamenti di minore entità risultano anche nel leggero abbassamento del gluteo sinistro, della mano sinistra e del tallone del piede vicino alla fonte. Il panneggio azzurro risulta meno gonfio a sinistra, laddove si accosta al vello che ricade dalle spalle. Il profilo dell’anca e il suo raccordo con la gamba destra, inizialmente più muscolosa, è stato ridimensionato e reso più snello, consono ad un giovane, ancorché forte, San Giovanni nel deserto. Per lo scorcio del torace, il Bronzino, come è noto, ha potuto elaborare la propria esperienza tratta dal suo San Matteo che si affaccia da uno dei quattro tondi nei pennacchi della cupola della cappella Capponi nella chiesa di Santa Felicita a Firenze. Questo lavoro su tavola, di controversa attribuzione, è stato inserito nel catalogo delle opere di Bronzino in strettissima collaborazione con il maestro Pontormo, all’inizio della sua carriera (1525/28 circa) 5.
Rispetto a tale precedente prospettico della volta, per la sua opera matura il pittore ha raddrizzato il torace con un passaggio meno tagliente tra spalla e braccio sinistro, descrivendo da un punto di vista ravvicinato la muscolatura più rilevante senza, però, incorrere nei rischi di un ostentato michelangiolismo anatomico. Rispetto all’angolo acuto della flessione del braccio nell’esempio a Santa Felicita, il Bronzino preferisce ora una posizione quasi squadrata, dove l’avambraccio si trova in parallelo all’asse costituita dalle due spalle e dalla parte superiore della gamba destra. Anche questa stereometria giova all’armonizzazione della figura apparentemente in moto, ma, contestualmente, ferma nella luce.
L’audace novità di questa figura risiede anche nella sua apparente massima vicinanza all’osservatore, quasi fosse ripresa da uno zoom, invenzione che conferisce all’immagine del corpo illuminato un’inconsueta monumentalità e fa sembrare il dipinto più grande del suo effettivo formato. In conclusione, i pentimenti riscontrati nella riflettografia lasciano trapelare la volontà del pittore di semplificare e rendere più persuasivo l’artificio ritmico nella posa scultorea, nonché il sovrapporsi a croce delle gambe del San Giovanni Battista.
Passando ora dai pentimenti allo strato più profondo nel dipinto Borghese, dalla riflettografia è emersa l’effigie di un personaggio, ritratto con un libro in mano (fig.4).

La figura è caratterizzata da un colletto con due lunghe punte finali, indizio di moda importante per la datazione discussa in seguito. Il ritratto era impostato circa a un palmo sotto a quello di San Giovanni e si trovava, quindi, in posizione più distante dal bordo superiore del quadro, sfiorato viceversa dalla testa del Santo che ora tocca con testa, piede e indice destro i confini del formato del quadro, artificio che aumenta la monumentalità del Santo.
Il fatto che, nelle indagini diagnostiche sulle opere di Bronzino, compaia un ritratto sottostante, non fa del quadro Borghese un caso isolato, basti ricordare il ritratto del Giovane dal capello piumato con simile colletto della camicia, databile al 1550-1555 circa del Nelson Atkins Museum of Art di Kansas City 6, oppure la riflettografia del San Cosma per la cappella di Eleonora a Palazzo Vecchio (1543/45 circa), recentemente riscoperto, che evidenzia i tratti di “un giovane che meglio si accorderebbero con un ritratto”7.
In quel caso si trattava soltanto del volto, mentre, nel quadro Borghese, era previsto un ritratto a mezzo busto con il braccio appoggiato su un piano vicino al bordo inferiore del quadro, e con la mano che tiene un libro con l’indice puntato8. In tal modo, il Bronzino concentra il racconto del personaggio sull’espressione del volto e sull’azione delle mani. Tale formula compositiva venne usata dall’artista in particolare dopo il 1545, quando creò una serie esemplare di ritratti medicei con un ‘taglio a mezzo busto’ reso da vicino e in modo da superare quasi i limiti del formato del quadro, un espediente, questo, che gli permetteva di aumentare l’importanza dell’effigiato.
La riflettografia del ritratto sottostante il San Giovanni pone il quesito di chi fosse il personaggio raffigurato. Data la stringente somiglianza con il volto del San Giovanni Battista, emersa grazie alla riflettografia a infrarossi e alla radiografia, doveva trattarsi della stessa persona. Infatti, la proporzione del volto, il taglio degli occhi, la forma del naso, la posizione eretta del lungo collo e i capelli ricci appaiono tutti elementi quasi sovrapponibili. Il personaggio, pertanto è identificabile con Giovanni de’ Medici, (Firenze, 1543 – Livorno, 1562) dal momento che, a partire dalle ricerche di Janet Cox Rearick (1987) 9, il volto del San Giovanni Battista è stato indicato con quello del figlio del Granduca di Toscana, Cosimo I e di Eleonora di Toledo10 (fig.5).

Tale identificazione, deducibile dal soggetto del nostro San Giovanni, il santo omonimo del futuro cardinale, è stata corroborata da Maurice Brock, Marco Collareta, o Maurizia Tazartes la quale cita il suo ritratto, a circa undici anni, conservato presso l’Ashmolean Museum di Oxford11, e il confronto con l’effigie di Giovanni de’ Medici in miniatura su stagno, con l’identificazione dell’effigiato scritta in alto della serie medicea degli Uffizi, di ritratti dipinti su stagno12, ambedue opere del Bronzino, databili rispettivamente al 1550/1551 circa e al periodo 1560 o dopo per l’ elevazione a cardinale di Giovanni de’ Medici. Nonostante i contributi citati, nel catalogo della recente mostra sul Bronzino, l’identificazione del ritratto del Battista con il cardinale Giovanni de Medici è stata espressa con un punto interrogativo, per cui considero opportuno corredare questo saggio con l’immagine della miniatura, per facilitare il confronto che evidenzia palesemente trattarsi qui della stessa persona 13.
Il secondo quesito che pone la riflettografia è la datazione del ritratto in veste cortese, che ritengo da collocare prima del gennaio 1560, come un termine ante quem. Infatti il 31 gennaio del 1560, Giovanni de’ Medici, a diciassette anni, fu creato cardinale da Pio IV, e destinato a titolare di Santa Maria in Domnica a Roma, poi designato arcivescovo di Pisa. La morte per malaria colpì il giovane a diciannove anni il 20 novembre del 1562 e fece tragicamente naufragare le speranze del padre di una ancora più prestigiosa carriera ecclesiastica del figlio al soglio pontificio14. Il ritratto sottostante nel dipinto Borghese doveva, quindi, risalire a prima della nomina cardinalizia di Giovanni de’ Medici che, altrimenti, sarebbe stato effigiato in vesti ecclesiastiche. Viceversa, qui egli è dipinto in veste cortese, fatto deducibile, in particolare, dalla forma del colletto a punte lunghe non conforme alla tipologia delle camicie che vestivano i cardinali all’epoca, ma che rimanda, viceversa, ad altri ritratti del Bronzino relativi a personaggi signorili in giovane età come quello del Bignor Park Pulborough di Sussex Mersey o quello del Giovane con cappello piumato del Nelson Museum of Art di Kansas City15.
Come è noto, il Bronzino aveva ritratto Giovanni de’ Medici in più occasioni, sin da piccolo come lattante con un cardellino in mano16, poi da fanciullo abbracciato dalla madre Eleonora di Toledo nei quadri degli Uffizi17 o nel già menzionato dipinto di Oxford, a circa 11 anni18.
Il Vasari ricorda, inoltre, che il Bronzino
“ritrasse […] il prencipe don Francesco, il signor Don Giovanni, don Garzia e don Arnaldo in più quadri, che tutti sono in guardaroba di sua eccellenza […]”19.
I ritratti menzionati dal Vasari dovevano essere stati dipinti prima del 1562, anno della morte per malaria dei fratelli Giovanni e Garzia. Inoltre, nella vita del Bronzino, dopo aver parlato della tarda pala d’altare del 1564 della Natività di Cristo per la chiesa di Santo Spirito a Pisa, il Vasari scrive:
“In alcuni quadretti piccoli, fatti di piastra di stagno e tutti d’ una grandezza medesima, ha dipinto il medesimo tutti gli uomini grandi di casa Medici, cominciando da Giovanni di Bicci e Cosimo Vecchio […] insino al Duca Cosimo e suoi figliuoli […] ”20.
In quella serie del Museo Mediceo di Firenze è ancora conservata l’effigie di Giovanni de’ Medici in veste di cardinale21 che tramanda, come già detto, le stesse caratteristiche fisiognomiche del San Giovanni Battista del Bronzino22. Dalla riflettografia ad infrarossi emerge, inoltre, un altro dato, e cioè che il ritratto sottostante non risulta compiuto, perché vi si notano notevoli lacune, a prescindere dalla sagoma interrotta in più punti. Mancano del tutto anche le forme all’interno del busto. Non è dato sapere se il primo ritratto fosse rimasto incompiuto, oppure parzialmente eliminato dal pittore per eseguire la nuova immagine.
L’impostazione da parte del Bronzino del San Giovanni Battista solitario alla sorgente, nella selvaggia natura tra rocce e rovi, poteva implicare anche un ricordo della vita di Giovanni de’ Medici che amava l’aria aperta, la natura nonché la caccia e che, per evitare le tentazioni della vita mondana a Roma, su raccomandazione di papa Pio IV, si era dovuto trasferire per gli studi a Pisa 23.
Il Bronzino era affascinato dal giovane Giovanni de’ Medici e tale affezione risulta anche da alcuni sonetti che il pittore dedicò al figlio del Granduca Cosimo I, quasi divinizzandolo. Per la lettura del dipinto della Galleria Borghese, a mio avviso, risultano di grande interesse i versi che il Bronzino offrì a Giovanni in occasione della creazione di quest’ultimo a cardinale, il 31 Gennaio 156024:
“Angel novel, anima eletta e pura, / Che ‘n questo basso, oscuro e freddo limo / Dal chiarissimo ardor più alto, e primo / Sei sceso, e fatta umana creatura, / Gran cammino a fornir, tremenda, e dura / T’è dato impresa, e com’ io dritto estimo, / Della terra, e del ciel l’arbitro primo / A te s’ aspetta anzi l’età matura: / Convien ti, ancorche ‘n si fiorita e bella / Stagion, seguir pensier maturi, e saggi, / E d’ oneste virtù l’animo ornare. / Piacer del mondo, e suoi torti viaggi / Fuggire accorto, acciò che, giunto a quella / Sede il ben fatto altrui possa insegnare”.
Per la lettura di un’altra poesia del Bronzino nella stessa occasione della creazione a cardinale Antonio Geremicca ci offre la chiave, in cui il famoso padre va letto come il pontefice Pio IV, il frate come Giovanni de Medici, la sposa come la Madre Chiesa, il gran padre come Cosimo I de’ Medici e la genitrice come Eleonora di Toledo (24b ):
“Colma le glorie tue, famoso padre / Col prezioso don del tuo gran frate, / Che ti dà il ciel, perché la nostra etate / Fiorisca in te di sant’ opre e leggiadre. / E tu, sposa di Cristo, eletta madre / De’ suoi fedeli, apri le braccia amate / Al caro figlio e di gioia e beltate / Horna le guance, un tempo afflitte e adre. / Questi il nobil degl’avi e ‘l giusto e’l saggio / Del gran parente ha seco e ‘l buono e’l bello / Dell’ alma honesta e chiara genitrice / E tal da Dio suo proprio aggiunto raggio / Che ben si può sperare un dì per quello / Il mondo più che mai chiaro e felice”.
Ancora più autentica commozione riflettono i versi del Bronzino, che fu profondamente colpito dalla morte prematura di Giovanni de’ Medici a diciannove anni:
“O del più bello, e più nobile, e santo / Angel più che mortal, sebben da umile / Dipinta mano, imagine gentile, / che si tosto ogni gioja, ha volto in pianto, / Come fia mai, ch’ al mio signor, cui tanto / Caldo sacrai i color, l’arte e lo stile / Ti porga? Or troppo al ver forse simile, / Ch’ io temea poco, e Dio non me ne vanto […]” 25
“Quand’ io penso fra me, ch’ ogni ora il penso, / Anzi ogni punto, all’altro umile aspetto / Del casto, e saggio, e sacro giovinetto, / Lui devea terra, e ciel tributo, e censo, / Indi all’ ingegno, al suo valore immenso, / Al bel discorso, all’alta mente, al petto, / D’ ogni virtù, d’ ogni bontà perfetto, / E di miglior desío ferito e accenso, / E quale il mondo seco, qual senz’ esso / Fora, e chiuso con ello il Paradiso / Veggio, e l’Inferno eternamente aperto, / Diveggo un marmo, in preda all’ onde, e spesso / In dubbio sto, se fu vana ombra, o certo / Il ben, ch’ io vidi, o son da me diviso […]” 26.
“Non eravate voi fra i nostri nuovi / Spirti, angeliche elette, e ben nate alme, / Da collocar, se non come le palme / Tra gli aconiti, e gli intricati rovi; / Che ‘l ciel accorto, che a sol farne giovi / Superbi il bene, e le seconde calene / Ce ‘l mostra sì, ma nell’avare palme / Subito il chiude, e non vuol ch’ uomo il trovi […] 27 .
Nell’epicedio in versi, il Bronzino sottolinea di aver non soltanto dedicato, ma anzi ‘sacrato’ la sua arte pittorica a Giovanni de’ Medici, compresovi lo stile, che vuol dire disegno e colorito, esprimendo il dubbio di aver forse reso la propria opera troppo vicina alla verità, con evidente riferimento alla sua arte ritrattistica. Ricordando il giovane cardinale defunto, il Bronzino canta il chiarissimo ardore della luce divina scesa in terra incarnata nella persona di Giovanni de’ Medici illuminando, nel dipinto, il Santo quasi abbagliante nel suo splendore. Il poeta-pittore elogia l’onestà e le virtù dell’animo di Giovanni, resistente alle tentazioni mondane sottolineandone, inoltre, la bellezza e la nobiltà, la castità e la saggezza, la facoltà retorica, e il desiderio di perfezionamento, nonché la bontà di Giovanni de’ Medici. Il poeta Bronzino paragona inoltre, gli spiriti angelici delle anime medicee, di Giovanni, Garzia e della madre Eleonora di Toledo appena defunte, ad alte palme che si ergono rispetto alle zone a terra tra aconiti e rovi.

Nei versi, l’introduzione dei ‘rovi’ trova riscontro del dipinto di San Giovanni, circondato da intrecciati cespugli di edera e rovi di more (fig.6). L’edera dai tempi degli Antichi è stata raffigurata e associata alla sfera di Dioniso o Bacco e ai suoi ebbri cortei, caratterizzati dagli sfrenati balli delle Baccanti. Dal Rinascimento in poi la pianta di edera era stata diffusamente raffigurata anche in forma di corona come nel Bacchino del Caravaggio (27b ).
Il Bronzino dipinge i rami dell’edera simili a serpenti e inserisce in alto in modo inquietante una specie di occhio umano in una sfera simile a una testa. I rovi di more si trovano molto raramente nella tradizione figurativa del Cinquecento28.
Nella biografia di san Giovanni Battista mancano elementi che indichino tali piante: i Vangeli tramandano che san Giovanni nel deserto si nutrisse di locuste e di miele selvatico29. La Legenda Aurea di Jacopo da Varagine riferisce che il Santo mangiasse, invece, mele selvatiche e locuste30, mentre una Vita de Beato Johanne Battista manoscritta del XV secolo descrive il Santo che, salmeggiando nel bosco
“alcune volte trovava cotali frupti salvatichy che sono per li buschi e coglivane mangiavane”31.
In una poesia su San Giovanni Battista per Lucrezia de’ Medici si immaginava che, nel bosco, egli si nutrisse di castagne, mele, locuste e ghiande32. A prescindere dalle variazioni, derivate dalla tradizione popolare, circa l’alimentazione di San Giovanni nel bosco, nell’opera raffinata del Bronzino, l’insolita presenza dei rovi di more con gli splendidi frutti rossi e neri, induce a cercare ulteriori motivazioni.
Nella tradizione letteraria antica la pianta delle more e del gelso era ritenuta da una parte, secondo Plinio il Vecchio nella Naturalis Historia ‘sapientissima’, perché fa sbocciare le foglie in tarda primavera, senza rischio di gelo34. Di maggiore interesse appare, d’altra parte, Ovidio che, nelle Metamorfosi, tratta la tragica favola di Piramo e Tisbe, suggerendo la trasmutazione del colore dei frutti della pianta di more, prima bianchi, poi sanguigni e infine neri per essersi tinti del sangue dei due amanti suicidi.
Che il Bronzino fosse, come la maggior parte degli artisti colti dell’epoca, un conoscitore delle Metamorfosi di Ovidio, fonte di ispirazione pittorica, è concretamente dimostrato nei suoi dipinti di Apollo e Marsia 35 dell’Ermitage di San Pietroburgo e nel Pigmalione e Galatea degli Uffizi 36. Tornando, quindi, alle more magistralmente ritratte nel quadro della Galleria Borghese, nella sua esegesi moraleggiante delle Metamorfosi di Ovidio, Nicolò degli Agostini sembra offrire una calzante chiave di lettura tematica:
“che le more diventassero vermiglie, questo pone lo Autore per figura a demostrazione conciosia che le more quando sono per fiorire appaiono bianche, et come si cominciano à mutare diventano vermiglie per l’incendio della lussuria, e poi si trasmutano in neri e tenebrosi per lo peccato, come la mora nera che come tu la tocchi te imbratta. Così chi conversa con tali peccatori non può essere che alcun’ origine di peccato non acquisti, et ancho spesse volte per carnal amore si acquista la morte, et per troppo lussuria come avenne a Tisbe e a Piramo”37.
Pertanto, si può ritenere che il Bronzino avesse dipinto i rovi di more, contorti nell’oscurità dello sfondo, ben collegandosi al citato commento di Nicolò degli Agostini 38. Il pittore contrasta le tenebre del mondo nell’area scura del dipinto, riservata ai rovi di more ed i grovigli di edera, con la luce che emana da San Giovanni. Questi fu definito, nella già citata Legenda Aurea di Jacopo da Varazze, quale “Lucerna lucente, informato di verità” e anche “la fine dell’ignoranza et principio de la gran luce”, sottolineando che la sua predicazione fosse
“in tre modi: ferventemente, efficacemente, et prudentemente essendo egli ardente lucerna e lucerna ardente”39.
Quindi, gli abbagli luminosi e le luci sfolgoranti della resa di San Giovanni Battista del Bronzino, osservati da Claudio Falciani non sono necessariamente riconducibili a riverberi delle Cento e Dieci divine considerazioni di Juan de Valdes, anche se non è da escludere un interesse rivolto dal pittore a quelle pericolose teorie non ortodosse40.
Le radiografie hanno anche rivelato come l’acqua sgorghi con impeto dalla roccia e, cadendo, crei una specie di ruscello nella parte inferiore del dipinto vicino al piede del Santo. Il sottile filo d’acqua raccolto in alto da Giovanni nella sua ciotola, evoca la sua professione di Battista nel fiume Giordano. Il suo dito, reso in un gesto tradizionale nell’iconografia di San Giovanni, richiama ancora il testo della Legenda Aurea:
“Fu egli più che profeta quando dimostrò Cristo col dito dicendo Ecco l’agnello de Dio”41.
A differenza del giovane San Giovanni nel deserto di Raffaello degli Uffizi 42, che indica la croce luminosa, quello del Bronzino nasconde, quasi misteriosamente, la croce nella parte in ombra del dipinto, illuminandola con un piccolo tocco di luce finale al bordo del quadro.

Il Battista non afferra la croce di canne legate, ma appoggia la mano vicina sul muschio sul sasso fedelmente ritratto. La mancanza del testo dell’Ecce Agnus Dei sul cartiglio in basso potrebbe essere motivata dal fatto che, tra la mano indicante e la croce, non vi sia alcuna relazione evidente. In un dipinto del Battista dei Musei Capitolini, databile circa un decennio prima, Daniele da Volterra rinuncia del tutto all’indicazione di un cartiglio con il testo scritto (fig.7).
Quest’opera in chiave michelangiolesca può essere considerato il più importante precedente per il Bronzino, anche se il San Giovanni non è seduto per terra, ma su una specie di banchina, offerta dalle rocce. Il San Giovanni Battista di Daniele da Volterra58 riveste, a mio avviso, una notevole rilevanza per quanto riguarda il dipinto Borghese, per i termini retorici di un espresso michelangiolismo nella resa euritmica del Santo, in particolare per la rotazione del busto verso la roccia, dove il braccio con la ciotola coglie il sottile getto d’acqua dalla fonte. Inoltre, in entrambi i dipinti, il Santo appoggia il peso del corpo sul braccio sinistro, avendo posato la croce per terra, mentre la testa è rivolta altrove, non seguendo l’azione della mano con la ciotola. Viceversa, rispetto al San Giovanni di Daniele da Volterra dagli occhi semichiusi e in meditazione, il Bronzino interpreta il tema con lo sguardo penetrante del Battista, direttamente rivolto verso chi lo guarda.
Il Santo del Bronzino, quindi, predica la venuta di Cristo non per iscritto sul cartiglio, ma tramite il suo atteggiamento indicando e, in particolare, sfidando con lo sguardo l’osservatore, ovunque esso si trovi. Il Bronzino riprende, con tale espediente dell’orientamento degli occhi, un artificio già sviluppato nella Roma antica e attribuito all’invenzione di un pittore di nome Amulio43.
Per il rapporto del Bronzino con l’arte antica è stata indicata, genericamente, la Naturalis Historia di Plinio (NH xxv,36,94) in cui si tramanda che il pittore Apelle, raffigurando un ‘eroe nudo’, grazie alla sua arte avesse superata la Natura44. Si può trattare, quindi, anche della presenza di una possibile ekphrasis, insita nel dipinto di eroica nudità del San Giovanni Battista. In una lettera Anton Francesco Doni sostiene peraltro: “dal divin Bronzino è vinto Natura”45.
Quanto all’arte figurativa antica, per il San Giovanni è stata osservata un’artificiosa evocazione del Torso del Belvedere dello scultore Apollonio conservato ai Musei Vaticani46 che, tuttavia, non è rappresentato seduto in terra. In questa posizione si trovano invece atletiche figure antiche del gruppo del Piccolo Donario di Pergamo, scoperte a Roma e note già nel primo Cinquecento, successivamente confluite nelle collezioni Orsini, Grimani, Medici e Farnese che, viceversa, potevano aver stimolato l’invenzione del Bronzino47 (fig.8).

Del gruppo pergameno citato, riveste particolare interesse la statua del Galata ferito, oggi conservato presso il Museo Archeologico Nazionale di Napoli (inv. 6015)48.
Si tratta di una scultura seduta per terra che, con leggera torsione del corpo, scarica il peso del busto sul braccio sinistro mentre il braccio destro si protende verso sinistra nell’atto di afferrare, morendo, la sua spada.

La tragica sconfitta del Galata ferito, reso nel momento culminante del dramma e prima di crollare, si differenzia dal tema dell’umile, ma forte e fiera presenza del Predicatore del Bronzino: per questa invenzione sembrano più affini altre statue di ‘filosofi docenti’ della scultura antica, quale, ad esempio il Crisippo Cesarini (fig.9).
Finora non è dato sapere dove si trovasse la statua del filosofo stoico nel Cinquecento 49 né, d’altra parte, si può escludere una sua conoscenza già in una prima fase del collezionismo Cesarini50. Riverberi del Crisippo appaiono assimilati nella parte superiore del Battista: entrambe le figure risultano contraddistinte dalla resa della pronunciata posizione obliqua delle spalle, di cui quella destra è notevolmente abbassata (la testa del filosofo, orientata diversamente, è un’aggiunta di un restauro moderno). Sono inoltre accentuati, rispettivamente, i muscoli tra omero, clavicola e spalla. In ambedue le figure è tematizzata una leggera torsione del corpo in apparente movimento spontaneo, mentre il braccio destro, benché teso, è condotto senza sforzo verso sinistra51; Bronzino rinuncia all’appoggio del braccio destro sulle gambe, ma, sollevandolo, drammatizza il moto. Inoltre il drappeggio del manto del filosofo scende dalla spalla sinistra, lasciando scoperta l’altra spalla, e accompagna la sagoma con un sottile panno che, ricadendo, accresce di volume, parimenti al vello di lince del Predicatore52. Quello che lo statuario San Giovanni dipinto, quasi scolpito con i mezzi del pennello, implica, è un evidente richiamo di un’atletica bellezza all’antica53 tradotta nel linguaggio del Cinquecento fiorentino.
Per la tradizione iconografica post-antica è stata precisata da Marco Collareta l’importanza dell’incisione di San Giovanni Battista nel deserto di Luca da Leida del 151354, che si inserisce nel contesto della nuova attenzione dei pittori del Manierismo fiorentino anche per gli artisti nordici come loro fonte di ispirazione55. Comparando la resa dei nudi di Michelangelo del Giudizio Universale, criticata nel pontificato di Pio IV, il Bronzino dipinge il corpo atletico del predicatore, comunque, in una nuova ed ideale forma castigata56. È opportuno citare come esempio anche delle dolenti forzature del suo maestro Pontormo il disegno del Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi con un San Giovanni nel deserto che si contorce, terribilmente angosciato, raffigurato nell’atto di bere da una ciotola57. In paragone con il dipinto Borghese il Bronzino evidenzia in una chiave eroica cristiana il suo deciso distacco dai modi di rendere il tema del suo maestro.
Dal precedente esemplare del tema di Raffaello degli Uffizi, il Bronzino aumenta la prospettiva dell’osservatore che, collocato in una posizione inferiore, vede dal basso la pianta del piede del San Giovanni, e lo scorcio audace della gamba. La quinta paesaggistica tra rocce, fonte e ruscello all’angolo inferiore, e lo sguardo frontale del Santo erano tutti elementi di Raffaello che potevano servire al Bronzino per l’invenzione originale del suo dipinto (fig.10).

Passando ora alla questione della datazione della versione del ritratto di Giovanni de’ Medici nelle sembianze di un san Giovanni Battista, occorre ricordare che, dalla sua elezione a cardinale nel gennaio 1560, fino alla sua prematura morte nel novembre 1562, erano trascorsi quasi tre anni, fondamentali per la crescita di un adolescente: ci si pone il quesito se, nel San Giovanni del quadro Borghese, si tratti di un diciassettenne o di un giovane quasi ventenne. La seconda delle ipotesi, che qui si sostiene, è deducibile non soltanto dall’aspetto fisico del Santo idealizzato, in perfetta forma atletica, ma anche da considerazioni di un modus iconografico fiorentino relativo alla raffigurazione di uomini in nudità eroica post mortem.
Infatti, come chiarito da Chandler Kirwin, un Tondo di Palazzo Vecchio, dipinto dal Vasari nel 1559 circa, raffigura Cosimo I circondato dagli architetti, ingegneri, e scultori e artisti di cui alcuni, all’epoca del dipinto, erano ancora viventi, altri invece defunti. Quelli in vita erano stati ritratti nei costumi dell’epoca mentre quelli deceduti, tra cui Tribolo, Tasso, Nanni Unghero e Giovan Battista Bellucci, apparivano idealizzati in eroica nudità all’antica, a dimostrazione del potere di Cosimo I che, come un imperatore dell’Antichità, detta le regole per i vivi e i morti.
Nell’affresco della sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano nel 1602 il pittore Cherubino Alberti ha reso ancora omaggio al appena defunto fratello Giovanni, ritraendolo in eroica nudità, drappeggiato con un vello nel segno del labor erculeo, e inginocchiato è orientato dall’allegoria della Prospettiva sui globi monumentali, composti dalle stelle e dai righelli dello stemma di Papa Clemente VIII Aldobrandini, il committente dell’opera59.
Si potrebbe obiettare che il Bronzino avesse dipinto quasi nudi anche l’ammiraglio Andrea Doria come un Nettuno, o Cosimo I come un Orfeo60. Ma, in questi casi, si trattava di trasformazioni in figure della mitologia antica, evocate in numerosi panegirici, ma anche in feste e mascherate cortesi già nel primo Rinascimento. Ritengo, viceversa, improbabile una prematura trasformazione di un personaggio vivente in un Santo, considerando il clima culturale del Pontificato di Pio IV e la fase conclusiva del Concilio di Trento61.
Nella sua opera, il Bronzino aveva trasformato un ritratto cortese incompiuto di Giovanni de’ Medici, precedente al cardinalato, quindi ante 1560, in un eroico San Giovanni, nell’ imitatio col Santo protettore del suo nome. Tale cambiamento deve essere avvenuto, a mio avviso, soltanto dopo la morte del cardinale Giovanni nel 1562 e sposta, pertanto, di qualche anno la datazione del dipinto finora generalmente ipotizzata attorno al 1560/156162.
Il 1562 fu un anno cruciale per Cosimo I, colpito dalle tragiche perdite dei figli Giovanni e Garzia, e della consorte Eleonora di Toledo, lutti, questi, che lasciarono profonde tracce nel suo animo e un accentuato allineamento da parte del Granduca e della corte alle posizioni della Chiesa Romana63. Finora non sono emersi documenti relativi alla storia della commissione e della funzione del quadro.
Rimane aperta la questione se il quadro fosse stato creato dal pittore per sé stesso, a ricordo ideale di Giovanni de’ Medici, oppure se si fosse trattato di una commissione di Cosimo I per la sua Galleria o una cappella privata, o di qualche altro parente di casa Medici.
D’altra parte, l’innovativa redazione da parte del Bronzino del tema di un San Giovanni adulto, seduto nudo per terra in primo piano tra i rovi, le rocce e la fonte salvifica, caratterizzato dai tratti fisiognomici idealizzati di Giovanni de’ Medici, induce a ritenere che una tale opera non fosse idonea per il culto e la devozione nelle chiese pubbliche, ma appartenesse, al contrario, alla sfera degli intendenti.
La prima data accertata è il 1610 quando il quadro, che era già pervenuto nelle collezioni del Cardinale Scipione Borghese per vie non ancora precisate, fu valorizzato con una nuova ‘cornice dorata’, quindi con una cornice di particolare pregio64. Il dipinto della collezione del Cardinale Borghese nel ritrarre magistralmente non soltanto il corpo del Santo e i sassi, la vegetazione e l’acqua sgorgante, rinunciando a sfondi paesaggistici lontani, come in Raffaello e nella tradizione figurativa, ma rendendo, viceversa, una natura oscura e vicina che sembra non lasci scampo, in contrasto con il Battista illuminato che capta l’acqua dalla fonte salvifica e vitale, nell’atto di indicare come monito:
“Dopo di me viene uno che è più forte di me e al quale io non son degno di chinarmi per sciogliere i legacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzati con acqua, ma Egli vi battezzerà con lo Spirito Santo”65
IL dipinto del Bronzino esercitò il suo fascino ancora per i pittori all’inizio del Seicento, in particolare per Caravaggio ed i suoi66.
Il Bronzino aveva coniugato, quindi, il valore memoriale del ritratto di Giovanni de’ Medici con l’esempio della perfezione del Santo Battista67. Una tale imitatio del Santo, nella coincidenza del tema sacro con il ritratto profano, avrebbe suscitato qualche decennio più tardi la più decisa condanna secondo la teoria delle immagini sacre del Cardinale Gabriele Paleotti, che postulava una netta distinzione tra i differenti àmbiti68. Ma già nel 1564, Giovan Andrea Giglio da Fabriano aveva pubblicato I Due Dialoghi relativi anche agli errori dei pittori69, dove criticando gli ignudi del Giudizio Universale, citava, però, anche un giudizio di Michelangelo:
“[le opere] che sono divinamente dipinte anche ai poco devoti e pronti a ciò, provocano e traggono le lacrime, ed ispirano col grave aspetto riverenza e timore”70.
Il proposito di provocare una reazione emotiva dell’osservatore appare ricercato nel San Giovanni di Bronzino, nella composizione della figura dall’aspetto grave e monumentale. Se il tardo Bronzino dopo anni di turbolenze, nella corrispondenza con la poetessa Laura Battiferri, sostiene lui di essere “cangiato, altro non veggio, o cher[c]o c[he] honestate e beltade”70, il quadro del San Giovanni Battista può offrire la sua idea di quella ricerca esistenziale in termini di onestà e bellezza di un ideale eroico, cristiano e all’antica riferita con precisione adamantina nell’idioma fiorentino.
Kristina HERRMANN FIORE Roma 31 Agosto 2025
NOTE
