di M. Lucrezia VICINI
SCUOLA ROMANA DELLA FINE DEL SEC. XVI
Nell’inventario dei beni mobili del Cardinale Bernardino Spada del 1661, un dipinto descritto con il titolo Paolo III è ricordato nella Gallaria di S.E., attuale terza sala del Museo (1).

Si tratta sicuramente di quello stesso ritratto del Papa appartenuto al cardinale Fabrizio Veralli (1570-1625) zio della marchesa Maria Veralli (1616-1686) menzionato nell’inventario dei suoi beni ereditari del 1625 come:
Quadro di Paolo III à sedere con cornice intagliata e dorata
e trasmesso a Bernardino a seguito del matrimonio della giovane con Orazio Spada (1613-1687), avvenuto nel 1636(2).
Nell’inventario del 1759 il dipinto è riportato sempre tra le opere della terza sala così citato:
Un quadro di palmi 4 e 5 in piedi, rappresentante Paolo terzo Farnese, opera di Giorgio Rosati, 150 scudi (3).
Il Fidecommesso del 1823 lo segnale in quarta sala con l’attribuzione al Tiziano, come: Un ritratto di Polo III Farnese papa, di Tiziano (4). Con gli stessi dati compare nell’appendice al Fidecommesso del 1862, come: Ritratto di Papa Paolo III Tiziano sc.400 (5) Sempre in quarta sala, ma con l’attribuzione a Scipione Pulzone, viene ricordato nella ricognizione inventariale di Pietro Poncini del 1925 e nella coeva stima di Hermanin che valuta lire 10.000 (6). Nel 1951, in occasione del ripristino del Museo per la sua riapertura al pubblico, fu da Federico Zeri trasferito in seconda sala , dove tutt’ora si può ammirare.
Già Roisecco (7) si era rifatto a Tiziano nella attribuzione, seguito poi da Vasi (8) e dal De Montault (9). Volkmann (10), pur notando una forte somiglianza con Tiziano, lo assegnava al Vasari. A parte il citato riferimento di Hermanin (1925) a Scipione Pulzone, la maggior parte della critica si ferma a considerare il dipinto come copia da Tiziano (11).
Longhi (12) ritiene che si tratti di una copia dal maestro veneto eseguita verso la fine del secolo XVI da un pittore romano o bolognese. Per Zeri (13) la tela va riferita ad una buona mano, quasi sicuramente dell’ultimo quarto del secolo XVI. Lo studioso non si pronuncia sull’identificazione del copista. Tuttavia, anche se valuta una aderenza strettissima al prototipo, riconosce anche lui in certi caratteri, come nelle estremità delle maniche bianche, la presenza effettiva di Scipione Pulzone.
L’originale (olio su tela, cm. 113,7 x 88,8), gia conservato in Palazzo Farnese a Roma e ora presso il Museo di Capodimonte, venne eseguito a Ferrara nella primavera del 1643. Il Vasari così lo ricorda:
L’anno che papa Paulo III andò a Bologna, e di lì a Ferrara, Tiziano andando alla corte ritrasse il detto papa; che fu opera bellissima…
L’artista in quel periodo aveva raggiunto il pontefice in Emilia Romagna, dove si era trasferito per incontrarsi con Carlo V. L’incontro avvenne a Busseto tra il 21 e il 24 giugno. Ai primi di luglio, da Verona, Pietro Aretino scriveva al pittore complimentandosi con lui per l’entusiasmo suscitato nel papa…
del miracolo fatto dal vostro pennello nel ritratto del pontefice per come egli vivo, il come egli è d’esso e il come egli è vero. (Wethey 1971).

Il papa rimase effettivamente gratificato del dipinto che invitò l’artista, ma senza esito positivo, a entrare a far parte del proprio servizio a Roma, offrendogli l’ufficio della piombatura delle bolle pontificie, fino ad allora affidato a Sebastiano del Piombo.
Circa tre anni dopo Tiziano ritrasse il papa in due altri dipinti, sempre al Museo di Capodimonte, in uno con il camauro, nell’altro con i nipoti Alessandro e Ottavio Farnese.


Il successo dell’opera fu immediato se si considera il numero delle copie tratte, tra cui due nei depositi dei Musei Vaticani, la copia della Galleria Spada, della Galleria Sabauda di Torino, di Palazzo Pitti, dei depositi della Galleria Nazionale d’Arte Antica di Roma, della collezione del duca di Northumberland di Alnwich House in Scozia (14). Zeri riferisce che un’altra copia eseguita da Bernardino Gatti era nel Palazzo del Giardino di Parma quando vi si trovava anche l’originale (15)
Alessandro Farnese (1468-1598), nominato cardinale da Alessandro VI nel 1493, divenne papa il 13 ottobre 1534 con il nome di Paolo III. Si adoperò per la riconciliazione tra la Francia di Francesco I e l’Imperatore Carlo V attraverso un programma di pacificazione che mirava soprattutto ad unire le due forze latine contro l’espansione del protestantesimo e quelle cristiane contro i turchi.
Sul piano religioso avviò l’epoca della riforma cattolica o Controriforma, indicendo il Concilio Ecumenico che aprì a Trento nel 1545. Promosse inoltre la riforma interna della chiesa creando appositi commissari generali: diede nuova organizzazione all’inquisizione romana e riconobbe il nuovo ordine dei Gesuiti. Di vasta cultura e amante dell’arte, protesse artisti e letterati, promosse grandiose opere pubbliche a Roma, dalla sistemazione della piazza del Campidoglio alla decorazione degli appartamenti farnesiani di Castel Sant’Angelo.
Fu il protettore di Michelangelo che sotto il suo pontificato realizzò il Giudizio Universale, decorò la cappella Paolina e divenne architetto della Reverenda Fabbrica di San Pietro. Morì il 10 novembre 1549, dopo quindici anni di governo. Fu sepolto nella basilica di San Pietro (16).
Nel dipinto il pontefice è raffigurato ormai settantacinquenne a capo scoperto, seduto di tre quarti verso lo spettatore. Si tratta di una immagine storica e ufficiale del pontefice che trova precedenti iconografici solo nei ritratti di Giulio II di Raffaello e di Clemente VII di Sebastiano del Piombo, ma resa con toni più confidenziali e arricchita da una maggiore concentrazione psicologica, e che tende ad esaltare una personalità energica e politica più che religiosa. Il papa appare magro sotto gli abiti sontuosi e incurvato per il peso degli anni, con il viso asciutto, gli occhi piccoli e penetranti che incrociano il nostro sguardo, le mani sottili e ossute, di cui la destra ferma sulla borsa stretta in vita, quasi a sottolineare il suo reale attaccamento alle cose terrene.
Nella copia Spada i caratteri dell’originale sono efficacemente ripresi. L’esperto artista realizza il dipinto dal fondo scuro con le medesime pennellate sottili che stabiliscono finemente ogni dettaglio, mentre attraverso giochi di luce da risalto al volto rugoso contornato dalla barba fluente, alle mani, alla veste bianca. Tuttavia quell’acceso cromatismo che contraddistingue l’originale si attenua nel dipinto in tonalità più spente e meno sfumate tradendo un’esecuzione piuttosto debole e tarda, della fine del secolo, vicina all’ambiente romano.
M. Lucrezia VICINI Roma 1 Giugno 2025
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