di Claudio LISTANTI
Un vivo successo ha riscosso quest’anno l’Osterfestspiele Salzburg (Festival di Pasqua di Salisburgo) che ha proposto una serie di importanti appuntamenti musicali che hanno concluso l’ultimo gruppo di concerti nei giorni compresi tra il 18 e il 21 aprile scorsi.
Prima di riferire del contenuto di questa importante manifestazione è necessario porre in evidenza per il nostro lettore il significato storico di questo festival. Fondato nel 1967 dal grande direttore d’orchestra Herbert von Karajan si è subito imposto all’attenzione del pubblico e della critica dai quali ha avuto immediatamente riscontro e approvazione.
I motivi del successo sono imputabili certamente alla statura artistica di Herbert von Karajan e dei Berliner Philharmoniker, la prestigiosa orchestra della quale a partire dal 1954 e fino al 1989 Karajan fu direttore stabile, ma anche alla innovativa formula con la quale veniva proposta la programmazione musicale che si inseriva nell’ambiente culturale integrando e accrescendo la già cospicua offerta musicale del più antico Salzburger Festspiele, vetrina per la grande orchestra dei Wiener Philharmoniker, che affonda le radici nell’800 ma che è divenuto vero punto di riferimento musicale a partire dal 1918 ravvivando il periodo estivo della graziosa ed elegante cittadina austriaca.

La programmazione dell’Osterfestspiele occupa il periodo prepasquale e pasquale del calendario, dal sabato precedente la domenica delle Palme fino al lunedì di Pasqua, offrendo due cicli di quattro giorni che prevedevano concerti da camera, concerti corali e orchestrali e l’esecuzione di un’opera lirica, il tutto eseguito sempre ad altissimo livello interpretativo.
Dell’Osterfestspiele Salzburg, Herbert von Karajan, è stato il ‘dominus’ assoluto fino al 1989, anno della sua scomparsa con proposte di grande spessore qualitativo alle quali si affiancava un’altra novità assoluta, quella di essere il primo teatro al mondo ad avere i Berliner Philharmoniker come interprete di opera lirica che, in un certo senso, superava l’incontrastata vocazione ‘sinfonica’ della compagine orchestrale berlinese.
In questo periodo, numerose sono state le interpretazioni ‘mitiche’ che Karajan ha regalato al festival, per molte delle quali abbiamo avuto indimenticabili esperienze personali come per l’integrale di Brahms (Sinfonie e Requiem tedesco) ed esecuzioni operistiche del Lohengrin e Der fliegende Holländer di Wagner così come del Don Giovanni di Mozart e del Don Carlo di Verdi.
Dopo la morte di Karajan, Osterfestspiele Salzburg ha avuto comprensibili difficoltà di organizzazione pur lasciando intatta la sua struttura. I Berliner hanno continuato nel solco della tradizione fino al 2012, mentre per la direzione musicale c’è stato un “interregno” con Georg Solti fino al 1993, mentre dal successivo 1994 lo scettro è passato nelle mani di Claudio Abbado, succeduto nel 1989 a Karajan come direttore principale dei Berliner Philharmoniker. Abbado inserì nel festival la rassegna di musica da camera Kontrapunkte, in cui i membri dei Berliner potevano esibirsi come musicisti da camera insieme a rinomati solisti. Nel 2003 l’eredità di Karajan e Abbado passò nelle mani di Simon Rattle nominato anche alla direzione stabile dei Berliner che diresse il festival fino al 2012.
Dopo il disimpegno dei Berliner Philharmoniker iniziò la collaborazione con la Sächsische Staatskapelle Dresden con Christian Thielemann nominato direttore artistico del festival, carica ricoperta fino al 2022. Poi fino a oggi, pur lasciando stanzialmente intatta la struttura del festival, si sono succedute diverse orchestre e direttori che comunque hanno nobilitato la straordinaria storia del festival, tra cui da ricordare, per lo scorso 2024, il particolare successo ottenuto da Antonio Pappano con la nostra Orchestra e Coro dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia.
Nel 2026, l’anno prossimo, si tornerà alle origini con una rinnovata collaborazione con i Berliner Philharmoniker che ritorneranno nella cittadina austriaca assieme al loro direttore stabile, Kirill Petrenko, per iniziare un programma di alto respiro che in cinque anni prevede, come elemento focale l’esecuzione de Der Ring des Nibelungen di Richard Wagner inframezzato dall’esecuzione di una delle opere emblematiche del ‘900 musicale Moses und Aron di Arnold Schönberg.
Il Festival di Pasqua 2025.
L’Osterfestspiele Salzburg 2025 che si è concluso lo scorso 21 aprile ed al quale siamo felici di aver assistito ha mostrato diversi punti di interesse che ha catalizzato presso la Großes Festspielhaus la consueta moltitudine di appassionati e di addetti ai lavori che hanno seguito con interesse tutta la programmazione.
Nello specifico erano previsti due concerti corali dedicati, rispettivamente, all’oratorio Elias di Felix Mendelssohn-Bartholdy e alla Seconda Sinfonia di Gustav Mahler, assieme ad un concerto sinfonico comprendente Peer Gynt Suite n. 1 opera. 46 di Edvar Grieg, il Concerto per violino in re maggiore op. 35 di Peter Iliic Čajkovskij e la Sinfonia n. 9 in mi bemolle maggiore op. 70 di Dmitrij Šostakovič e al gran finale con la rappresentazione di Kovancina di Modest Mussorgsky.

Uno spiccato successo hanno ottenuto i due concerti corali entrambi dedicati a musiche di ispirazione religiosa. Il 18 aprile il grandioso affresco sonoro di Felix Mendelssohn-Bartholdy, l’oratorio Elias op. 70 (MWV A 25) scritto per soli, coro e orchestra la cui esecuzione può essere considerata una delle punte di diamante del festival di quest’anno. Ciò grazie alla efficace direzione del russo Maxim Emelyanychev, giovane direttore di straordinarie doti musicali che gli hanno consentito di essere protagonista di una esecuzione intensa ed appassionante che ha esaltato le specificità di questa partitura da considerare come un’opera musicale di stampo romantico ma avendo come punto di partenza la grande stagione dell’oratorio barocco che con Mendelssohn assume i contorni romantici soprattutto perché giunge nella piena maturità artistica del compositore tedesco.
Elias si basa su un libretto di Julius Schubring tratto dalle scritture dell’Antico Testamento e scritto nel 1846 l’anno antecedente alla prematura scomparsa di Mendelssohn. Il musicista tedesco dimostra però di aver assimilato l’insegnamento di Händel soprattutto adottandone la struttura che non prevede la presenza dello storico come, ad esempio, avviene nella grandi passioni bachiane, per di più arricchita dalle straordinarie linee di canto dei quattro solisti principali completata da una parte corale di straordinaria pregnanza che rievoca la grandiosità delle analoghe parti haedeiliane, elementi valorizzati da una ricca strumentazione che oltre agli archi prevede 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 2 trombe, 3 tromboni, oficleide, timpani e organo.
Maxim Emelyanychev ha governato con sicurezza tutto, regalandoci una esecuzione attenta alle dinamiche dei suoni e alla cantabilità dell’insieme ottenendo un amalgama non comune tra i vari interpreti strumentali e vocali. Questo grazie alla professionalità degli strumentisti della Mahler Chamber Orchestra e del Coro della Bayerischen Rundfunks diretto da Howard Arman ai quali si è unita una compagnia di canto di alto livello composta dal tenore Pene Pati dalle emissioni calibrate e raffinate, dal soprano Emily Pogorelc che è riescita con facilità a frequentare il registro acuto con accanto il contralto Wiebke Lehmkuhl dalla voce non appariscente ma misurata, precisa ed efficace, per finire con il baritono Michael Nagy cantante dalla voce potente ed anch’essa ben calibrata che ha ottenuto un notevole successo personale. A completare l’esecuzione c’è da segnalare le precise prove delle soliste del coro, Magdalena Dijkstra, Ursula Thurmayr e Veronika Sammer alle quali si aggiunge il solista proveniente dai Tölzer Knabenchores, il giovane Felix Hofbauer che ha ottenuto un piccolo ma lusinghiero successo personale.
Il concerto è stato salutato da intensi e fragorosi applausi ed ha anche avuto una piccola ma significativa coda perché al termine sono stati consegnati gli attestati ai vincitori del Premio Karajan bandito dagli eredi del grande direttore assegnati a Maxim Emelyanychev per la direzione d’orchestra e al contralto Nadezhda Karyazina, la grande Marfa della Kovancina della quale avremo modo di parlare dopo. Due straordinari giovani dai quali è lecito, oggi, immaginare un grande e luminoso futuro.
Il 20 aprile l’altro concerto corale prevedeva l’esecuzione della Sinfonia n. 2 in do minore per soli, coro e orchestra di Gustav Mahler, altrimenti nota con il titolo Auferstehung (“Resurrezione”) per l’inno di Friedrich Klopstock che il compositore austriaco musicò inserendolo nel quinto movimento, un elemento che per l’occasione creava una particolare assonanza con il giorno di Pasqua durante il quale ha avuto luogo il concerto.

La Seconda di Mahler è una delle quattro sinfonie per le quali il compositore scelse di integrare la parte sinfonica con una parte corale di un certo spessore per una fusione di elementi che dona alla partitura una spiccata monumentalità accresciuta dalla cospicua orchestrazione che richiede la presenza di una grande orchestra. Con la Seconda, Mahler non ripete la sintesi e l’unitarietà della Prima anch’essa appartenente al periodo compositivo compreso tra il 1888 e il 1894, perché soffre di una certa dose di ‘elefantiasi’ generale dovuta alla complessità della partitura che la rendono composizione afflitta e non immune da una certo porzione di superficialità anche se minima. Per superare queste difficoltà è necessaria la presenza di un direttore di grande qualità che però, in questo caso, Esa-Pekka Salonen non è ben riuscito ad evidenziare restando nei limiti di una corretta, e anche curata, esecuzione senza lampi, nonostante la presenza della Finnish Radio Symphony Orchestra e del Cori dei Bayerischen Rundfunks diretto da Howard Arman e, per la parti soliste il soprano Julie Roset e il mezzosoprano Jasmin White. Il concerto, comunque, è stato salutato da lunghi e convinti applausi.
Il 19 aprile un delizioso concerto sinfonico ha visto protagonista il direttore Gianandrea Noseda alla guida della Mahler Chamber Orchestra per un programma interamente dedicato a musicisti di origine slava. La locandina prevedeva le graziose musiche della Suite n. 1 op 46 dalle musiche di scena di Peer Gynt che Edvard Grieg scrisse per il popolare dramma di Ibsen, musica elegante e di grande effetto, evocativa dei paesaggi e della natura degli ambienti nordeuropei. A seguire uno dei Concerti per violino e orchestra tra i miti della storia della musica, quello in re maggiore op. 35 di Piotr Iliic Čajkovskij eseguito per la parte solista dal violinista Augustin Hadelich, ancora giovane ma capace di grande intensità esecutiva e grande tecnica strumentale che hanno consentito al violinista italiano di interpretare con chiara naturalezza una parte dallo spiccato virtuosismo strumentale come questa, scritta da Čajkovskij nel 1878 ma che ebbe la sua prima esecuzione solamente nel 1881 quando il celebre violinista Adol’f Davidovič Brodskij accettò di eseguire il capolavoro dopo diversi rifiuti di altri grandi violinisti vista la difficoltà esecutiva.

Hadelich ha fornito una prova di grande duttilità ed intensità sia riguardo allo spiccato virtuosismo che caratterizza il pezzo sia riguardo all’eleganza del suono che è emersa con forza nella ‘Canzonetta’ centrale, Una prestazione valorizzata anche dal prezioso Giuseppe Guarneri del Gesù del 1744 conosciuto come ‘Leduc, ex Szeryng’ donato in prestito da Tarisio Trust. Osannato dal pubblico, Hadelich ha ringraziato con un tango argentino di Carlos Gardel, Por Una Cabeza, da lui stesso trascritto per violino solo che ha elettrizzato la serata.
A conclusione, uno dei capolavori del russo Dmitri Šostakovič, la Sinfonia n. 9 in mi bemolle maggiore op. 70 scritta nel 1945 e apprezzabile per la sua semplicità e per l’inconsueto discorso musicale, sintetico ed incisivo, che si articola in cinque movimenti, tutti ben amalgamati tra di loro che si concludono con lo splendido ‘Allegretto’ che, con il suo ampio respiro chiude con brio e vivacità un discorso musicale tra i più efficaci del repertorio sinfonico.
Tutto il concerto, guidato con estrema cura e sicurezza da Gianandrea Noseda, ci è parso uno dei migliori di questo importante ciclo che ha messo in risalto le qualità che il direttore italiano possiede e che lo rendono particolarmente apprezzato a livello internazionale, unitamente ad una ulteriore convincente prova della Mahler Chamber Orchestra che è stata uno dei punti di eccellenza di questo festival di Pasqua 2025.
Gran finale con la Kovancina di Mussorgsky
Per l’Osterfestspiele Salzburg la rappresentazione dell’opera lirica prevista in programma è stata sempre uno dei punti d’interesse centrali della rassegna.
L’edizione 2025 prevedeva la rappresentazione di Kovancina di Modest Mussorgsky, una delle opere più affascinati della storia del teatro per musica. Come noto Kovancina fu scritta da Mussorgsky negli ultimi anni della sua vita terrena, occupando un periodo che va dal 1872 al 1880, su un libretto da lui stesso scritto nel quale è narrata una storia ambientata durante la rivolta di Mosca del 1682, dove spiccano le lotte tra fazioni politiche contrastanti, tra i tradizionalismo dei Vecchi credenti e i propugnatoti di una occidentalizzazione che portasse la Russia ad una auspicata modernizzazione. Nonostante il cospicuo tempo dedicato alla composizione dell’opera, nel 1881, quando il compositore morì, l’opera era ancora incompiuta principalmente nei finali del secondo e del quinto atto ma anche per l’assenza dell’orchestrazione. Lo status di ‘incompiuta’, come del resto accade per tutte le opere d’arte, dona al capolavoro quell’attrazione e quel fascino dirompente dovuto alle parti mancanti che ne stimola una particolare fruizione soprattutto orientata in funzione di personali e ipotetici modi e metodi di completamento.

Nel 1883 Nikolaj Rimskij-Korsakov ne approntò una ‘revisione’ in cui, oltre ad operare diversi tagli, preparò una orchestrazione ed una sistemazione del finale dell’opera che permise una rappresentazione ‘postuma’ il 21 febbraio 1886 a San Pietroburgo, caratterizzata da una sfolgorante orchestrazione e da un finale grandioso, una sorta di apoteosi di massa conseguente al sacrificio dei Vecchi credenti. Per anni l’opera è stata rappresentata secondo questa versione.
Nel 1913 l’opera entrò nell’interesse di Sergej Djagilev che la inserì nell’ambito della sua attività parigina rivolta alla presentazione di grandi capolavori della musica russa proponendo a Stravinsky e Ravel una nuova orchestrazione. Il progetto non andò in porto ma Stravinsky e Ravel integrarono il finale con un intervento che rispettava le intenzioni dell’autore per una conclusione ‘intimista’ con lo spegnersi progressivo della musica che sottolineava con efficacia lo spegnersi dell’azione.
Nel 1959 Dmitrij Šostakovič approntò una sua versione, diversa da quella di Rimskij e nel complesso più aderente alla poetica mussorgskiana che si materializzava con una orchestrazione più misurata che andò in scena al Kirov di Leningrado nel 1960 divenendo punto di riferimento per le esecuzioni di Kovancina.
Nel 1989 Claudio Abbado, per una rappresentazione all’Opera di Vienna, propose una nuova versione che prendeva come base quella di Šostakovič sostanzialmente integrandola con il finale di Stravinsky-Ravel poco prima citato riuscendo a dare una nuova veste a questo capolavoro che risultò più rispettoso delle intenzioni creative di Mussorgsky.

Il Festival di Pasqua di Salisburgo 2025 ci ha dato una Kovancina basata su quest’ultima versione, che può essere definita “di Abbado”, commissionando però una nuova soluzione musicale affidandola al compositore inglese Gerard McBurney che ha predisposto degli interventi di carattere ‘elettronico’ in vari punti dell’opera, nella parte iniziale e nel secondo atto ma, soprattutto, nel finale integrando così le soluzioni musicali create da Šostakovič e da Stravinsky/Ravel per generare un nuovo finale che, secondo le intenzioni del musicista, potesse raccordare le due diverse soluzioni esistenti. Non si può condannare questa scelta, soprattutto considerando che Kovancina ha avuto interventi di completamento in varie e differenti epoche e poetiche musicali per sopperire al suo status di ‘incompiuta’ ma, a nostro giudizio, ci sono sembrate poco utili per accrescerne la statura musicale che trova ideale equilibrio nella già citata versione di Abbado.

L’altro elemento di interesse di questa rappresentazione salisburghese, coprodotta con il Metropolitan di New York, era, ovviamente per i nostri tempi, la realizzazione scenica affidata per l’occasione a Simon McBurney (fratello di Gerard) che ha predisposto un allestimento basato sull’ormai abusata soluzione di ambientare l’opera ai nostri giorni. Quindi nessuna novità dalla parte visiva se non il grigiore che ha avvolto tutta l’opera dove i colori e il fascino che la musica emana sono completamente dimenticati. Simon non ha rinunciato all’ormai stantia soluzione di riprese di alcune scene con la telecamera per essere poi proiettate sullo sfondo della scena. Le trasposizioni di epoca alle volte possono essere giuste e financo necessarie per le rappresentazioni teatrali ma, quando si parla di avvenimenti storici così circostanzianti come in Kovancina, soprattutto per il significato ‘politico’ che porta con sé, non sono a nostro avviso condivisibili.
C’è da dire però, ad essere onesti, che Simon McBurney ha dimostrato di essere regista in possesso di una grande tecnica teatrale e rappresentativa, che si è materializzata soprattutto nella seconda parte dello spettacolo con movimenti d’insieme molto curati ed efficaci che, in diversi momenti, ci hanno fatto dimenticare il grigiore nei quali l’azione era incorniciata.
Per la parte visiva vanno doverosamente citate le collaborazioni di Rebecca Ringst per le scene, di Christina Cunningham per i costumi, di Tom Visser per le luci e di Will Duke per la parte video. Tutti artisti di pregio che, ognuno per la loro parte, hanno dimostrato di essere preziosi per realizzare la visione scenica-teatrale concepita da Simon McBurney.
Per la parte musicale sicura e precisa la direzione di Esa-Pekka Salonen che assieme alla Finnish Radio Symphony Orchestra è riuscito ad amalgamare con efficacia la parte strumentale a quella vocale, grandiosa e monumentale, per una parte musicale alla quale ha contribuito anche Tuomas Norvio per l’elettronica.

Per quanto riguarda la compagnia di canto grande successo ha ottenuto Nadezhda Karyazina una Marfa giovane e di uno splendido timbro brunito e molto espressiva, dimostrando di essere cantante di sicuro avvenire come ha sottolineato anche l’assegnazione del Premio Karajan. Vitalij Kovaljow è stato un ottimo Ivan Kovanskij, così come la Emma di Natalia Tanasii e Allison Cuoco nella breve ma importante e significativa parte di Susanna. Poco efficace il Dosifei di Ain Anger al quale mancava la necessaria imponenza vocale pur mostrando una buona e controllata emissione. Nelle altre parti tutti cantanti di buona levatura che, come gli altri prima citati, hanno ben realizzato scenicamente i loro ruoli secondo la visione registica contribuendo al successo della recita: Thomas Atkins Andrej Kovanskij, Matthew White Vasily Golitsyn, Daniel Okulitch Schaklowityi, Wolfgang Ablinger-Sperrhacke Uno Scriba, Rupert Grössinger Warsssonofjew, Theo Lebow Kuska e Daniel Fussek Strezhnev.
Non si può concludere un articolo dedicato all’opera russa citando la parte corale decisamente cospicua e di grande spessore vocale. Nella recita hanno ricoperto un ruolo determinante lo Slowakischer Philarmonischer Chor diretto da Jan Rozehnal, il Bachchor Salzburg diretto da Michael Schneider e il Salzburger Festspiele und Theater Kinderchor diretto da Wolfgang Götz e Regina Sgier.

Questo il contenuto della serata finale di Osterfestspiele Salzburg 2025 che la sera del 21 aprile è terminata con un particolare caloroso successo per tutti gli interpreti a conclusione di una rassegna di grandi contenuti, interpretativi e musicali. Quattro serate affascinanti ed emozionanti al termine delle quali ci pare opportuno segnalare che, come messo in evidenza dall’assegnazione del Premio Karajan, abbiamo la sensazione di aver trovato in Maxim Emelyanychev e in Nadezhda Karyazina un interessante futuro.
Claudio LISTANTI 27 Aprile 2025