La grande musica in Val d’Orcia. Grande successo per i concerti di Maurizio Baglini e Silvia Chiesa.

di Claudio LISTANTI

Nella pace e nella natura incontaminata di Castiglioncello del Trinoro due concerti di grande spessore con Maurizio Baglini e Silvia Chiesa.

Castiglioncello del Trinoro è uno dei borghi più suggestivi della Val d’Orcia, vero gioiello paesaggistico della parte meridionale della provincia di Siena che, ancora oggi, è contornata da paesaggi immersi nella natura selvaggia praticamente incontaminati che fungono da sostanziale, inconsueta e maestosa cornice.

Fig. 1 Una veduta aerea del borgo di Castiglioncello del Trinoro.

Questa vallata è conosciuta in tutto il mondo, non solo per le sue bellezze naturali ma anche per numerosi centri abitati dalla storia millenaria e dalla particolare architettura. All’interno di essi si respira un’aria di ‘antico’, di ‘storico’, in centri come San Quirico d’Orcia, Montalcino, Pienza, Bagno Vignoni, simboli assoluti di bellezza architettonica che rendono quasi ineguagliabile questo angolo d’Italia.

Proprio per queste caratteristiche, i luoghi poco prima citati, sono mete giustamente ambite da tutti e, seppur non in maniera devastante, sono afflitte in certi periodi dell’anno dal fenomeno di quel ‘turismo di massa’ che purtroppo caratterizza molti luoghi artistici e naturali del nostro paese anche se c’è da dire che, in Val d’Orcia, l’elemento ambientale non ne risente particolarmente.

Ma la Val d’Orcia possiede diversi elementi storico-paesaggistici che sono di particolare attrazione, in special modo quelli collocati al di fuori delle mete turistiche più frequentate, che per incanto e seduzione riescono a catturale l’attenzione del visitatore.

È questo il caso di Castiglioncello del Trinoro, piccolissimo borgo di origine medioevale, che domina dall’alto tutta la Val d’Orcia appartenente al territorio del Comune di Sarteano. Situato ad una altitudine di 774 metri, anticamente assunse una posizione dominante su tutta la Val d’Orcia come vero e proprio centro di controllo ideale sull’asse viario sottostante in special modo per la frequentatissima Via Francigena. Le vicende storiche di Castiglioncello del Trinoro ci indicano che era difeso da fortificazioni, con cinque chiese all’interno delle mura e un palazzo comunale.

Il delizioso borgo a partire dal dopoguerra è stato oggetto di un progressivo depauperamento degli abitanti con la conseguente inevitabile decadenza. Oggi, degli antichi splendori rimane solamente la Chiesa romanica di Sant’Andrea, una porta del ‘300 e il Palazzo Comunale.

Fig. 2 La facciata della Chiesa di Sant’Andrea Castiglioncello del Trinoro.

A dare un ruolo affine alle esigenze dei nostri tempi è stato un americano di Cincinnati in Ohio, Michael L. Cioffi, persona sensibile e lungimirante, il cui cognome ci dice essere di origine italiane e, quindi, innamorato della nostra storia e della nostra cultura. Cioffi è anche tenace estimatore della musica italiana, soprattutto di Claudio Monteverdi, giudicato uno dei cardini insostituibili di tutta la storia di questa grande e coinvolgente arte. È divenuto così protagonista di un ambizioso ed impegnativo progetto, Monteverdi Tuscany, che ha le caratteristiche di coniugare queste diverse bellezze, naturali, artistiche e musicali, creando un luogo esclusivo e aggregante grazie al connubio tra tutti questi elementi.

Il progetto è iniziato nel 2005 con l’acquisto, la conservazione e il restauro degli edifici nel borgo medievale di Castiglioncello del Trinoro, che ha subito una trasformazione sostanziale che ha prodotto ville e abitazioni di pregio con al centro l’Hotel Monteverdi. Quindi un nuovo borgo completamente rinnovato e di particolare pregio dove arte, architettura, design, concerti, cibo e vino, riescono a dare una ospitalità di primordine e dove la Musica riesce a fornire uno degli ingredienti più raffinati.

Quest’anno, inoltre, c’è stata una piacevole novità riguardo all’elemento musicale. A Castiglioncello del Trinoro i concerti hanno come cornice gli ambienti della Chiesa di Sant’Andrea, piccola ma elegante costruzione risalente al XII secolo che ha conosciuto diversi rifacimenti nel corso degli anni che tuttavia non hanno compromesso il misticismo ambientale, di rilevo in essa è un importante fonte battesimale in travertino del XIV secolo.

Nel corso degli ultimi tre anni è stata operato un nuovo restauro dell’interno della chiesa che si è concluso proprio in queste ultime settimane, rivolto soprattutto alla sistemazione dell’acustica e ad una maggiore funzionalità riguardo all’ospitalità del pubblico.

Fig. 3 L’interno della Chiesa di Sant’Andrea dopo il recente restauro. Foto di Daniela Puggioni

Il restauro è stato eseguito dall’architetto Jacopo Venerosi Pesciolini di concerto con i componenti dello Studio Archiloop che, grazie alla loro apprezzabile esperienza nel restauro architettonico, sono riusciti a dare a questo interno le caratteristiche di un piccolo auditorium con un intervento senza dubbio rispettoso della storia del luogo.

Fig. 4 la sistemazione dell’interno della Chiesa di Sant’Andrea a Castiglioncello del Trinoro. Foto di Daniela Puggioni.

Ora la sala è pienamente fruibile grazie alla sostituzione delle poltrone, all’inserimento di un più efficiente impianto di riscaldamento e, soprattutto, all’introduzione di pannelli sonori e elementi di legno che hanno reso l’acustica molto più coinvolgente rispetto al passato, dove la valorizzazione delle diverse sonorità che le esecuzioni dal vivo offrono, riescono a coinvolgere il pubblico in una maniera certamente più efficace.

La piccola ma intensa stagione concertistica che grazie all’intuizione di Michael L. Cioffi si svolge da anni a Castiglioncello del Trinoro, anche quest’anno presenta diversi elementi di interesse il che conferma tutti i pregi che abbiamo notato con la nostra partecipazione di ascoltatori in diverse edizioni del passato.

Nel programma di quest’anno notevoli sono stati i due concerti ai quali abbiamo assistito nei giorni 27 e 28 maggio scorsi. Ad eseguirli sono stati chiamati il pianista Maurizio Baglini e la violoncellista Silvia Chiesa, due strumentisti uniti nella vita e nell’arte, che hanno messo a diposizione dei concerti tutta la loro abilità, tecnica e interpretativa, che ha incantato il pubblico presente.

Fig. 5 La violoncellista Silvia Chiesa e il pianista Maurizio Baglini.

Nel concerto del 27 maggio Maurizio Baglini si è cimentato in una composizione a lui molto congeniale che diverse volte ha frequentato nella sua importante carriera da interprete, la trascrizione per pianoforte solo della Nona Sinfonia di Beethoven operata da Franz Liszt RS464. Questa trascrizione fa parte di un intero corpus che il compositore ungherese dedicò alle nove sinfonie di Beethoven, una colossale opera pianistica che presenta notevoli difficoltà esecutive per come Liszt trasferì sulla tastiera del pianoforte le complesse orchestrazioni beethoveniane creando così una giusta e significativa distanza tra l’originale e la versione per piano che, possiamo dire, evidenzia una chiara ‘autonomia’.

Liszt curò particolarmente questa serie di trascrizioni per pianoforte, un genere che occupa una cospicua fetta dell’immenso catalogo di Liszt dove sono presenti trascrizioni per pianoforte solo ma anche per pianoforte a quattro mani e per due pianoforti, una gamma sonora a largo spettro che consente la scelta e l’ampiamento di diverse sonorità.

La trascrizione per pianoforte solo delle Sinfonie di Beethoven occupano un periodo di poco meno di 30 anni della vita di Liszt, un arco di tempo che va dal 1838 al 1865 anno di pubblicazione dell’intero ciclo di trascrizioni beethoveniane. In particolare per la Nona gli indugi di Liszt furono molti soprattutto per la difficoltà di realizzare l’originale che prevede oltre ad una piena orchestra anche la presenza di coro e solisti. Nel 1851 ne Liszt ne predispose una edizione per due pianoforti che però non incontrò la sua piena soddisfazione e il musicista optò in seguito per quest’ultima risalente agli anni ’60 dell’800.

L’interpretazione di Baglini è stata molto intensa, frutto della validità di una tecnica pianistica di alto livello, indispensabile per cimentarsi in un’opera monumentale come questa che il pianista ha dimostrato di affrontare con sicurezza. Inoltre la sua interpretazione è riuscita a mettere in risalto quanto abbiamo detto prima, vale a dire la chiara autonomia di queste opere pianistiche rispetto all’originale per orchestra e coro che si materializza in Liszt in qualcosa di diverso dalla mera riduzione per tastiera inserendo una personalizzazione delle dinamiche dei suoni e della velocità di esecuzione che ne sono il tratto predominante.

Esecuzione molto applaudita dal folto pubblico presente con il pianista che ha voluto ringraziare questi apprezzamenti proponendo una fuori programma la Sonata K162 di Domenico Scarlatti.

Nel successivo 28 maggio, un altro apprezzabile concerto nel quale Maurizio Baglini è stato affiancato dalla violoncellista Silvia Chiesa. I due strumentisti hanno proposto un programma in continuità con il concerto pianistico del giorno precedente, vale a dire diverse trascrizioni di brani per orchestra affiancate ad un capolavoro della letteratura musicale per i due strumenti, la Sonata n. 2 per violoncello e pianoforte op. 58 di Felix Mendelssohn Bartholdy.

Serata, questa, anch’essa molto elettrizzante per il pubblico che ha applaudito convintamente al termine. Nel riferire del concerto non seguiremo lo sviluppo temporale del concerto ma, piuttosto, gli elementi che lo hanno contraddistinto.

Innanzitutto le trascrizioni che in questo caso erano relative ad opere musicali del ‘900. Due delle tre trascrizioni erano curate dagli stessi Maurizio Baglini e Silvia Chiesa. La prima da Geroge Gershwin con brani da Girl Crazy “Embraceabel you”, da Porgy and Bess “Summertime”, “It Ain’t necessarily so” e “Bess , you is my woman now”, da Lady, be good “Oh, Lady be good“ e dalla colonna sonora del film Shall we dance “Let’s Call the whole thing off”. La seconda trascrizione, invece, era una miscellanea di temi musicali tratti da un altro capolavoro del ‘900 West Side Story di Leonard Bernstein. Assieme a queste due una trascrizione per violoncello e pianoforte della celebre Rhapsody in Blue di George Gershwin operata Thierry Huillet nel 1965.

Le prime due trascrizioni sono il frutto della felice vena musicale di Maurizio Baglini e Silvia Chiesa che sono riusciti con la loro selezione a nobilitare lo scopo principe di tutte le trascrizioni per uno, o pochi, strumenti, quello di consentirne l’esecuzione nella dimensione domestica e cameristica, scopo indiscutibilmente raggiunto dai due strumentisti che poi si amplificava con la splendida trascrizione di Huillet di uno dei capolavori emblematici di tutto il ‘900 in relazione alla mutazione e la maturazione delle poetiche musicali della quale riesce a riproporne le sensazioni e l’incanto e, soprattutto, l’ispirazione jazzistica che distingue la Rhapsody di Gershwin che si materializza con la parte del clarinetto.

Le dimensioni cameristiche della serata si sono amplificate con la Sonata n. 2 in re maggiore per violoncello e pianoforte op. 58 di Felix Mendelssohn Bartholdy. Composta nel 1845 questa sonata può considerarsi uno dei pochi esempi per questo organico, visto che il violoncello ha avuto storicamente qualche difficoltà ad imporsi pienamente nel concertismo da camera. Mendelssohn era alla seconda esperienza per questo tipo di composizione, dopo l’op. 45 in si bemolle maggiore composta nel 1838. In entrambe si distinguono i caratteri specificatamente ‘romantici’ dell’epoca, visto che quelli ‘classici’ sono ormai chiaramente superati, che qui nell’opera 58 si distinguono già dai due movimenti, Allegro assai vivace e Allegretto scherzando che ci fa andare con il pensiero al Beethoven maturo dell’Ottava Sinfonia. Tutto ciò si riverbera nell’Adagio successivo, breve e appassionato, caratterizzato dallo strepitoso arioso del violoncello che, al contrario di quanto avviene nel resto della composizione, qui lo strumento assume assoluto ruolo di preminenza. Nel finale, Molto allegro e vivace, si ristabilisce l’equilibrio tra i due strumenti anche se il pianoforte impone i ritmi e il violoncello è rivolto più verso la melodia e la sua naturale contabilità. Entrambi, però, ci conducono per mano verso un travolgente epilogo.

Il concerto, come quello precedente del 27 maggio, ha messo in risalto i miglioramenti apportati all’acustica dai lavori di restauro poco prima citati, offrendo una percezione dei suoni più ampia e coinvogente, soprattutto per apprezzare le diverse dinamiche dei suoi che le esecuzioni propongono. Inoltre Silvia Chiesa e Maurizio Baglini hanno mostrato ancora una volta la loro intesa artistica con una esecuzione davvero intensa ed entusiasmante a partire di brani novecenteschi per finire all’apprezzabile esecuzione della Sonata di Mendelssohn con la strepitosa cantabilità imposta dall’interpretazione di Silvia Chiesa ottenuta, oltre che dalla sua tecnica strumentale e dalla sua sensibilità di interprete, anche dalle doti del prezioso violoncello Giovanni Grancino del 1697 suo fedele compagno di viaggio nei concerti ai quali partecipa. Da parte sua Maurizio Baglini ha offerto un pianismo altrettanto intenso e di grande stile per comporre quel dialogo tra i due strumenti necessario per la buona riuscita di un programma come questo che, ricordiamo, è stato salutato da lunghi applausi.

Claudio LISTANTI  Roma  1 Giugno 2025