di Clovis WHITFIELD
Il dipinto che raffigura Giuditta con la testa di Oloferne, da anni uno dei pezzi più interessanti e dibattuti della collezione Lemme, è apparso già altre volte in mostre dedicate ad Artemisia Gentileschi, ed anche nell’ultima esposzione dedicata all’artista a Palazzo Braschi, ma con il punto interrogativo in una scheda firmata da Cristina Terzaghi:
un punto interrogativo che condividiamo, perchè per quel che ci riguarda non sembra appartenere a quella determinata fase della pittura del Seicento in cui simili soggetti apparivano di frequente, e neanche – a dire il vero- a qualsiasi altra fase della attività della pittrice. Vittorio Sgarbi suggerì qualche tempo fa, in un articolo su Sette, il magazine culturale del Corriere della Sera, che potesse essere addirittura opera di mano di Caravaggio, facendo conto sul fatto che l’elemento di illuminazione di piena luce solare potesse rimandare in qualche modo alla stanza di Palazzo Petrignani ove il Merisi risulta effettivamente che avesse dipinto opere quali le Buone venture e il Ragazzo morso dal ramarro.
Tuttavia, il carattere scombinato della rappresentazione non coincide in alcun modo con l’abilità più volte evidenziata dal genio milanese nell’assemblare diversi frammenti del suo mosaico ottico; per quanto ci riguarda, l’interesse che però il dipinto palesa per la somiglianza delle fattezze, nonché per certi accessori di costume, forse ci possono indirizzare verso il nome talentuoso di Ottavio Leoni. Si è soliti considerare costui quasi solamente come un grande disegnatore, cosa che del resto risulta dal fatto che i disegni suoi hanno avuto molta circolazione anche in tempi moderni, ed invece all’epoca costituivano solo una risorsa complementare alla sua professione di ritrattista, una specie di archivio che gli permetteva di rispondere a richieste di ulteriori edizioni del ritratto dipinto. All’inizio della carriera fu indubbiamente in contatto con Caravaggio, a dispetto del fatto che questi negava di averlo frequentato, ammettendo solo di conoscerlo durante la famosa causa per il libello anti Baglione.
Qualche dipinto è venuto a galla in questi ultimi anni, come ad esempio il piccolo rame, firmato, a Detroit di Susanna e vecchioni, e anche una Processione con un cardinale. Questa Processione, recentemente donata al Metropolitan Museum, è un affascinante rame (39.4 X 37,5 cm, Gift of Damon Mezzacappa, 2012; 543) che ci consente di sostenere un’ altra attribuzione ad Ottavio Leoni pittore. Non se ne hanno notizie precise nella letteratura artistica, tuttavia si può suggerire che le fattezze del Cardinale non sono dissimili da quelle del Cardinal del Monte, come appare nel disegno, realizzato dall’artista nel 1616 , ora al Ringling Museum, di Sarasota.
Si può anche dire che il soggetto del rametto ha a che fare con S. Paolo, il quale compare nel bassorilievo a sinistra colla sua spada, e che il bassorilievo in basso a destra rappresenti la sua conversione, come nella tavola Odescalchi dipinta da Caravaggio. Benché lo sfondo non sia una vera e propria veduta, si può ritenere che possa trattarsi del complesso delle Tre Fontane: si nota in fondo l’arco di Carlo Magno, con in primo piano le colonne del portico, che sarebbe quello medievale di S. Vincenzo e Anastasio, mentre la chiesa in secondo piano appare Santa Maria Scala Coeli (con la statua di San Pietro nella nicchia). La scaletta sulla porta può far riferimento alla visione di San Bernardo da cui la chiesa ha preso il nome. La processione che si dirige verso la porta della chiesa accompagna San Paolo dove egli subì il martirio della decapitazione.
Com’è noto, si narra che tre fontane scaturirono ove la testa rimbalzò tre volte; qui in origine era la pala caravaggesca del Martirio di san Pietro di Guido Reni; infatti la festività dei Santi Pietro e Paolo che si celebra il 29 giugno è la più importante perchè è quella dei santi patroni di Roma. In ogni caso, per ritornare al tema, la grande maggioranza della produzione di Ottavio Leoni è costituita ovviamente da grandi ritratti, come la Dama con gli scorpioni (olio su tela, 180 per 90 cm) pubblicato da Francesco Solinas negli Atti del Convegno di Studi nel IV centenario della Cappella Contarelli. Risulta chiaro, dalla maggioranza dei ritratti da lui dipinti, che la tecnica di cui disponeva gli dava la possibilità di riprodurre le fattezze dei suoi clienti, molto probabilmente ricorrendo ad un procedimento ottico messo in atto nel suo studio, grazie al quale egli poteva delineare e riprodurre con grande precisione e delicatezza la somiglianza dei visi.
E’ da credere che si avvalesse di una proiezione ottica che riproduceva un disegno sempre sulla stessa scala, sfruttando le caratteristiche del suo attrezzo. Un tale procedimento, però, non si estendeva ai costumi e alla messa in scena, che spesso erano dovuti all’intervento di altri pittori più esperti di lui nel campo delle stoffe e dei vestiti – come del resto accadeva, secondo quanto è stato notato, nelle realizzazioni di Van Dyck, Lely, Reynolds, come se ci fosse una sorta di divisione dei compiti: vale a dire che il maestro che aveva la responsabilità del procedimento ne definiva il disegno generale e, dopo che il costume e altri particolari erano già inseriti, interveniva a completare il ritratto con la testa e le mani.
Questo spiega anche la qualità molto variata dei ritratti di Ottavio leoni, e infatti l’artista- che appare addirittura stellare in molti particolari – non era però sempre in grado di combinare questi elementi in un insieme che risultasse volumetricamente convincente: una caratteristica che è molto evidente nelle figure della composizione della Giuditta in collezione Lemme, e che non ci consente di accostarla ai capolavori di Caravaggio.
Tuttavia, la somiglianza della Giuditta alla perduta Fillide Melandroni, l’unica opera documentata sinora dell’attività ritrattistica di Caravaggio, situata nei suoi primi anni romani dal 1596/1600,non è casuale ed anzi deve essere vista come una sorta di prova del rapporto stretto intercorso tra i due pittori, forse prima, ma anche durante, il soggiorno sotto il tetto del cardinal Del Monte, o magari tra la ristretta cerchia raccolta attorno a questo personaggio.
Quadri come il Ritratto di Dama nel Niedersachsisches Landesmuseum, Hannover , o il Ritratto di Dama, già attribuito a Caravaggio stesso del San Diego Museum of Art – entrambi attribuiti più credibilmente a Leoni nel citato articolo di Solinas del 2001- dimostrano che il Leoni realizzava opere anche su questa scala di misura, e proprio nello stesso periodo del Ritratto di Fllide Melandroni. Disegni del Leoni come quello di Berlino ((illustrato da B. Sani nella sua monografia sull’artista, 2005, Fig. 9), dimostrano la stessa capacità di osservazione ravvicinata dei particolari di luce ed ombra che erano anche alla base della tecnica di Caravaggio nel saper cogliere la verità delle apparenze, e riappaiono anche nella qualità delle teste nel quadro Lemme.
La tela di Giuditta con la testa di Oloferne è dunque un documento affascinante e molto significativo che testimonia di una precoce influenza artistica di Caravaggio anche riguardo alla sua tecnica, che ebbe gran seguito ma che rimase un mistero per la grande maggioranza dei seguaci caravaggeschi della successiva generazione.
Clovis WHITFIELD Londra luglio 2017