La Chiesa di San Michele Arcangelo ai Minoriti (CT): “… sia povera la cella, sobrio il vitto, ma ricca la chiesa”; le pale d’altare tra barocco e neoclassicismo

di M. Antonietta SCOLLO

Ricordando il motto dell’Ordine Teatino che recita “ … sia povera la cella, sobrio il vitto, ma ricca la chiesa ” si comprende bene quale sia stato lo spirito che ha indotto le congregazioni religiose della Sicilia orientale a impegnare tutte le proprie risorse nel voler rendere grandiose, nell’architettura e negli arredi, le chiese riedificate dopo il disastroso terremoto del 1693 [1].  Infatti nei primi anni del Settecento, il clero e l’aristocrazia catanese si sono fatti portatori del gusto che da tempo si era affermato a Napoli e a Roma, reclutando architetti, pittori e scultori che lì si erano formati. Il  prevalere della committenza laica e di quella pontificia fanno di Roma un centro artistico internazionale, benché la città sia economicamente in declino e politicamente arretrata rispetto al clima turbolento che agitava molte capitali europee, rimane comunque l’ambiente artistico più ambito per la ricchezza e la vitalità degli apporti culturali che costituiranno i presupposti dai quali si svilupperà l’arte neoclassica in Italia.

Già negli ultimi anni del Seicento, l’arrivo a Palermo della grande tela della Madonna del Rosario e santi domenicani(fig.1) del pittore romano Carlo Maratti [2] (1625-1713) per l’Oratorio di S. Cita, costituisce un interessante modello per la maniera con cui il classicismo raffaellesco si coniuga alle  nuove istanze del gusto barocco e verso il quale i pittori siciliani  guarderanno per la realizzazione delle loro tele.

fig.1 ) Carlo Maratti, Madonna del Rosario e santi domenicani, 1695

Relativamente  all’influenza che l’ambiente artistico romano e napoletano ebbero in Sicilia, una sintesi chiara ed efficace ci è offerta dalla studiosa Maria Accascina che afferma:

… La pittura siciliana del Settecento ha avuto tre numi: Solimena, Giaquinto e Conca e un eroe: Carlo Maratti. Tutti gli artisti siciliani hanno adorato or l’uno or l’altro di questi maestri …” (Costantini, 2002)

Nel corso del Settecento, un ruolo di grande importanza sarà svolto da Sebastiano Conca [3] (1680-1764), artista napoletano, formatosi a Roma dove soggiornò molti anni,  la cui produzione pittorica molta fortuna ebbe in Sicilia, a cominciare dal 1719, quando arrivò a Palermo la tela  della “Madonna e SS. Simone Stock e Giovanni della Croce” (fig.2) che sancisce l’inizio della sua influenza artistica in terra sicula, cui farà seguito la grande pala d’altare Madonna del Rosario con S. Domenico e S. Caterina” (fig.3) eseguita ne 1732 per la chiesa palermitana di Santa Caterina dei Domenicani, che costituirà un altro importantissimo modello.

fig.2) Sebastiano  Conca, Madonna e SS. Simone Stock e Giovanni della Croce, 1719
fig.3) Sebastaino Conca, Madonna del Rosario con S. Domenico e Santa Caterina, 1732

L’artista, facendosi  interprete dell’accademismo romano associato alla vivace tradizione napoletana, influenzerà gli artisti delle regioni meridionali fino agli albori dell’Ottocento, come dimostrano le numerose pale d’altare eseguite dai pittori isolani, malauguratamente imbrigliati in una sorta di ossessiva ripetizione.  Tra i pittori siciliani che contribuiranno a divulgare questo stile emerge la figura di Olivio Sozzi [4] (1690-1765) che, dopo un primo apprendistato a Palermo, frequenta per molti anni la bottega del Conca a Roma. Approfittando del vivace e variegato ambiente artistico romano stringe amicizia col giovane pittore Corrado Giaquinto [5] (1703-1766), dal quale apprende il cromatismo dai toni chiari e dalle leggere velature e a cui  affida il completamento della  formazione artistica di Vito D’Anna [6](1718-1769), giovane pittore palermitano.

Come affermato dal Bottari, nella pittura di Olivio Sozzi

“ … l’enfasi compositiva del Conca e la fastosa e colta gaiezza del Solimena e del Giaquinto sono i riferimenti pittorici su cui … appoggia la sua facile accademia” (Bottari, 1962).

Riferimenti  che gli consentiranno di divulgare il barocchetto romano nella parte orientale della Sicilia.  Secondo la consuetudine di riproporre schemi compositivi  sperimentati con successo in altri luoghi, il Sozzi riprende alcuni modelli pittorici inaugurati da Vito D’Anna a Palermo, riproponendoli con poche o nessuna variazione. Ne è un esempio il Trionfo di Pallade opera a carattere mitologico di Vito D’Anna  che il Sozzi  rielabora in chiave religiosa  nel Trionfo della Fede” per la chiesa madre di Melilli, come pure farà Giovan Battista Piparo [7] (1730-1776?) nell’approntare il grande affresco del Trionfo della Scienza e delle Arti per la Biblioteca del monastero di S. Nicolò l’Arena a Catania; opere molto apprezzate  da  una committenza interessata a combinazioni lontane da certi  provincialismi locali.

Anche per gli altari di San Michele Arcangelo si desidera commissionare opere di cui si  riconosca la modernità [8], infatti i PP. Minoriti affidano al pittore romano Marcello Leopardi (1753-1795)  la realizzazione di tre grandi pale d’altare.  L’artista di origini lucane, formatosi alla scuola romana di Stefano Pozzi [9] (1699-1768) e di Tommaso Conca [10] (1734-1822), partecipa ancora giovanissimo ai concorsi di disegno e panneggio indetti dalla Scuola del Nudo e dall’Accademia di San Luca. Tra il 1781 e il 1789 è presente in Umbria dove realizza alcuni affreschi per la Cattedrale di Perugia e decora le volte di palazzo Conestabile della Staffa, palazzo Ranieri e palazzo Lezi-Marchetti con soggetti storici o mitologici.

Figura di spicco all’interno delle trasformazioni stilistiche tra Rococò e Neoclassicismo ritornerà nella città papale per prender parte, insieme ad altri artisti, alla decorazione di palazzo Altieri. Sebbene godesse di grande considerazione tra i suoi contemporanei,  come dimostra l’elezione ad Accademico di merito all’ Accademia di San Luca e l’appartenenza alla Congregazione dei Virtuosi al Pantheon, oltre alla numerose  opere inviate a committenti svizzeri e portoghesi, morì nel 1795 in condizioni di indigenza.

Da una lettera scritta dal pittore Gaspare Landi, riportata in un contributo di Giorgio Fiori, si apprende che Marcello Leopardi :

“  … Aveva circa quarant’anni e manteneva una numerosa famiglia; si dice che era stato avvelenato in Perugia ove aveva dipinto a fresco con molta lode, ma attirandosi l’invidia dei malevoli …” (Bollettino Storico Piacentino, 1977).
fig.4) Marcello Leopardi, Transito di San Giuseppe,1793

In realtà lo stato di avvelenamento del Leopardi si presume che non sia stato causato  dall’invidia dei colleghi ma probabilmente all’uso di pigmenti tossici che venivano usati, loro malgrado, dagli artisti del tempo [11].

Per la grande pala d’altare del  “ Transito di San Giuseppe” (fig.4) commissionatagli dai religiosi catanesi, il Leopardi dimostra di avere appreso la lezione del Maratti, autore di un grande dipinto dallo stesso tema realizzato attorno al 1676 [12],  a cui si ispira anche il suo stesso maestro, Stefano Pozzi [13].

Seppure il Leopardi inverta la disposizione delle figure, rispetto alle composizioni del Pozzi e del Maratti (fig. 5) e aggiunga nella centina la figura dell’Altissimo, la composizione del dipinto rivela la maturità artistica del pittore che allontanandosi dagli stilemi del tardo barocco, guadagna quel misurato equilibrio che è proprio della classicità: tra la solenne figura del Cristo e la composta contrizione della Vergine[14] sta il giaciglio del santo che,  rischiarato dalla luce della Grazia, volge  lo sguardo all’Eterno.[15]

fig.5) S.Pozzi, 1742 – C. Maratti, 1676, Morte di San Giuseppe

La stessa compostezza formale si ritrova  nella tela di “S. Agata che impetra la salvezza di Catania” (fig.6),  tema particolarmente caro ai catanesi che più di una volta hanno invocato la Santa patrona per sfuggire alla furia del vulcano. La composizione  è incentrata sulla figura del Salvatore a cui la santa offre il simbolo del suo martirio mentre un angelo la incorona con una ghirlanda di rose. Nel partito inferiore è raffigurata sommariamente la città etnea sovrastata dal vulcano, e se a destra la tenaglia e il braciere indicano il supplizio cui fu sottoposta la fanciulla,  a sinistra due angeli reggono una targa che ne celebra la devozione dei catanesi, e il velo verginale  che la credenza popolare reputa miracoloso.

fig.6) Marcello Leopardi, S. Agata che impetra la salvezza di Catania, 1795
fig.7) Marcello  Leopardi, S. Francesco Caracciolo dell’Ordine dei Minoriti,  1795 (?)

La terza tela da titolo  “San Francesco Caracciolo dell’Ordine dei Minoriti” (fig.7)  è dedicata ad uno dei fondatori dell’Ordine dei Chierici Regolari Minori, Ascanio Caracciolo entrato nell’Ordine col nome di Francesco, raffigurato mentre prende parte  alla vestizione di tre adepti secondo le Regole dell’Ordine:  povertà, castità e ubbidienza alle quali il santo aggiunse il divieto di ambire a cariche ecclesiastiche. L’evento rappresentato all’interno di un ampio spazio consacrato è costruito secondo uno schema piramidale che culmina con gli angeli che reggono l’incensiere e l’ostensorio, attributi del santo, dai cui si espande una fulgida luce che illumina la scena. Nel giovane chierico che regge il libro rivolgendo lo sguardo verso l’osservatore,  alcuni ravvisano le sembianze di Vincenzo Ferreri giovane allievo del Leopardi,  chiamato a completare il dipinto in seguito alla morte del maestro[16].

Nelle prime due opere, firmate e datate tra il 1793 e il 1795,  si riscontrano i prototipi cui il Leopardi fa ricorso per rappresentare i “tipi somatici” delle sue figure. Nell’immagine del “salvatore” si ravvisa una perfetta somiglianza con il Gesù rappresentato nel suo quadro Battesimo di Cristo(fig.8) di Perugia, mentre la senilità di Giuseppe ricorda le fattezze di  “Sant’Ambrogio(fig.9) di Evora [17] .

fig.8) Marcello Leopardi, Il tipo somatico del  “Salvatore”
fig.9) Marcello Leopardi, Il tipo somatico del  “santo anziano”

Altra peculiarità nella pittura dell’artista lucano riguarda il  modo di rappresentare le figure e i volti “da sotto in su ” secondo la maniera del maestro Stefano Pozzi, il quale dà prova di grande capacità tecnica in opere come S. Gennaro e S. Agrippino che scacciano i Saracenie ancor più  nel modo ardito con cui è rappresentato il corpo del Salvatore nella tela del  Cristo in pietà con angeli[18] (fig.10).

fig.10) Stefano Pozzi, Maniera di rappresentare le figure “da sotto in su”

Come affermato  dalla studiosa F. R. Cassano,  il Leopardi è un artista di transizione perché nel corso della sua carriera

…risulta sensibile ai più diversi orientamenti stilistici del Settecento, … da una sua adesione ai moduli tardo-barocchi egli passa al complesso linguaggio classicista seicentesco per poi approdare … al neoclassicismo correttamente accademico delle ultime opere “. (Esercizi, 1984)

Per la tela di San Giuseppe e la tela di Sant’Agata, come afferma in uno studio L. Pizzotta, venne richiesta la Licenza di Esportazione nel 1794, e aggiunge che un’altra licenza fu chiesta nella primavera dell’anno seguente per l’invio di altre tre tele  destinate ad un luogo non precisato della Sicilia. Se ciò si mette in relazione con  quanto riportato in un recente studio di D. Cavallaro in cui si indica la presenza di tre pale d’altare, presunte opere di  Marcello Leopardi conservate presso la chiesa del SS. Salvatore a Caltagirone[19], potrebbe essere interessante avviare uno studio sia documentale che stilistico volto ad accertare la fondatezza di una tale ipotesi.

fig.11) Guglielmo Borremans, La Vergine annunciata, 1732

Nell’altare consacrato alla Vergine Maria della chiesa di San Michele Arcangelo è posta la tela della  Vergine annunciata(fig. 11)  eseguita nel 1732 da Guglielmo Borremans[20] (1672-1744). L’artista originario delle Fiandre, come molti pittori fiamminghi, intraprende un viaggio di formazione in Italia soggiornando a Napoli dove guarda con interesse alla pittura del Giordano e del De Matteis [21]. Stabilitosi a Palermo nel 1717, in un ambiente artistico ancora stancamente dominato dai retaggi della pittura di Pietro Novelli [22] (1603-1647), il suo stile pittorico di gusto laico si offre come nuovo punto di riferimento pittorico. Giunto a Catania nel 1730 al seguito del neoeletto vescovo Pietro Galletti, realizza quattro grandi pale d’altare per la Cattedrale e poco dopo la tela della Vergine annunciata per i PP. Gesuiti.  Collocata presso la Congregazione dei Nobili fino al 1767, dopo questa data se ne perdono le  tracce a causa della soppressione dell’Ordine monastico, cui fa seguito la confisca del patrimonio. Risale al 1804 la notizia secondo la quale la tela fu affidata ai  PP. Minoriti che lo collocarono nell’altare della loro chiesa.

fig.12) Guglielmo Borremans, L’Annunciata di Caccamo 1725

Il  Borremans nel rappresentare la giovane Maria che interrompe la lettura delle Sacre Scritture per accogliere in sé l’annuncio divino portato dall’Arcangelo riprende con qualche variante il tema dell’ Annunciazione già affrontano nel 1725 per la chiesa della SS. Annunziata di Caccamo (fig.12).

In entrambi i dipinti l’artista mantiene la stessa postura della Vergine e dell’Arcangelo ma,  se nella tela di Caccamo rappresenta la volontà divina con una colomba, nella tela catanese vi aggiunge anche la figura dell’Altissimo.  Il pittore fiammingo, autore di numerosi affreschi e tele si distinse e per l’uso di due diversi registri cromatici, come riferisce il canonico D. Privitera:

… era il Borremans bravo e fecondo disegnatore, secondo l’uso di quei tempi manierista, e nel dipingere ad olio diverso da quello che mostravasi nel dipingere a fresco. Nel fresco era vago e leggero, di bel colorito [alla maniera del De Matteis]; grave, al contrario e disgustevole nel dipingere ad olio, e dava ai quadri una chiara che rendeva le tinte pallide e oscure [alla maniera del Giordano]” (G. Policastro, 1950).

 Sebbene sia stato un pittore molto apprezzato e fecondo, non ebbe molti seguaci in Sicilia rimanendo così un artista eccellente ma isolato.

Per quanto riguarda la scultura in Sicilia, un importante ruolo ebbe lo scultore palermitano Ignazio Marabitti [23] (1719-1797) che introdusse nell’isola la tipologia dell’altorilievo marmoreo, diventandone il massimo interprete  in opere presenti a Palermo, Monreale, Messina e Siracusa. Per la sua grande perizia tecnica il Villabianca lo definisce “ il novello Gagini” mentre il Wittkower lo apostrofa come” l’ultimo grande scultore del barocco”, in realtà il Marabitti durante il suo apprendistato romano sotto la guida di Filippo della Valle, guarda sia all’esuberanza barocco del Bernini  che all’eleganza formale di matrice classica di Alessandro Algardi [24]. Come osservato dalla storica D. Malignaggi:

… per quanto riguarda gli scultori della seconda metà del Settecento bisogna rifuggire da una classificazione troppo netta tra berniniani e algardiani, in quanto si attuò, piuttosto, un fenomeno diametralmente opposto, di continue commistioni tra le due scuole ….. entro questa temperie culturale si pone l’operato di Filippo Della Valle (1697-1768) presso cui studiò il Marabitti in un momento di transizione, di ripensamento e di equilibrio tra impulsi barocchi e misura classicista

e riferendosi alla figura del Marabitti aggiunge:

… nessuno poté competere con lui per fortuna di esordi, per ampiezza di produzione, per successo presso il pubblico contemporaneo …”.(Storia dell’Arte, 1973)

A Catania per la  chiesa di San Francesco Borgia  Ignazio Marabitti e Giovan Battista Marino[25] (1715-1789?) eseguono due  grandi pale marmoree  intitolate  a “Sant’Ignazio di Lojola  e le quattro parti del mondoe a San Francesco Saverio che battezza il re delle Indie“ (fig.13).

fig.13) I. Marabitti e G. B. Marino, S. Ignazio di Lojola e S. Francesco Saverio, 1747-1751

Il sodalizio artistico tra i due scultori si conclude nel 1750, quando il Marino decide di stabilirsi nella città etnea nella quale si fa portatore della lezione marabittiana.

fig.14) G.B.Marino – Acquasantiere a S. Nicolò l’Arena e a S. Chiara

Tra le numerose opere eseguite per le chiese catanesi si distinguono le acquasantiere (fig.14) che realizza per la chiesa di San Nicolò l’Arena e per la chiesa di Santa Chiara la cui fattura risulta  molto simile per stile e uso dei marmi alle acquasantiere presenti nella chiesa dei Minoriti (fig. 15), ritenute finora di autore ignoto ma sulle quali si potrebbe fare luce dopo una attenta analisi stilistica eseguita per comparazione.

fig.15) Ignoto, Acquasantiera nella chiesa di S. Michele arcangelo ai Minoriti

Come si è detto, pur non mancando a Catania, botteghe di abili scultori come i Marino, i Calì, gli Orlando, gli Amato che molte opere realizzarono nelle chiese e nei palazzi cittadini,  i PP. Minoriti mossi dall’ambizione di tenere alto il prestigio della loro chiesa  preferirono mantenere i contatti con l’ambiente artistico romano per la realizzazione di un grande crocifisso marmoreo da porre nell’ultimo altare.

L’incarico  venne affidato allo scultore Agostino Penna (1728-1800); romano, nato nel 1728  in una famiglia di musicisti, gli è padrino di cresima e maestro di bottega Michelangelo Slodtz [26],  artista di origine francese aderente alla corrente berniniana.

Ancor giovane, Agostino Penna amplia le sue conoscenze sulla statuaria antica grazie ai recenti rinvenimenti archeologici nelle città di Ercolano e Pompei  che risveglieranno l’ interesse per l’antico orientandolo verso il collezionismo e l’antiquariato;  infatti la sua attività iniziale lo vede restauratore  della statuaria antica[27] e mercante d’arte come si evince chiaramente dalla presenza del suo nome nella “ Lista degli antiquari” del 1769.

fig.16) Giovan Battista Ponfreni, Ritratto di Agostino Penna, 1786

Riceve importanti commissioni dalle famiglie aristocratiche dei Borghese, dei Chigi, degli  Autieri e da eminenti porporati, di cui si ha notizia grazie al  Giornale di Vincenzo Pacetti, suo collega ed amico. Insegnò disegno all’ Accademia del Nudo e nel  1786 venne eletto principe dell’Accademia di San Luca alla quale donò il suo ritratto dipinto da Giovan Battista Ponfreni [28] (fig.16)

Malgrado la mancanza di documenti,  il fatto che le tele del Leopardi e la scultura del Penna risultino coeve, secondo lo studio di  M.B. Guerrieri Borsoi,  lascia  supporre che i sue artisti possano essersi favoriti reciprocamente nell’aggiudicarsi  gli incarichi da parte dei PP. Minoriti. Considerando il fatto che nell’ambiente artistico romano la Scuola del Nudo e l’Accademia di San Luca erano gli istituti preposti alla formazione e alla professione degli artisti dell’epoca, l’ipotesi può ritenersi verosimile, visto che entrambi si ritrovano impegnati a lavorare per la decorazione di palazzo Altieri e, tra il 1790 e il 1794,  a fare parte dell’Accademia di San Luca.

L’opera scultorea dellaCrocifissione” (figg. 17, 18), tema abbastanza inconsueto nel Settecento,  viene realizzata da un unico blocco di marmo di Carrara così come vuole la migliore tradizione classica[29].

fig.17) Agostino Penna, Crocifissione, 1790-1800
fig.18) Agostino Penna, Crocifissione, 1790-1800, particolare

Agostino Penna affronta il tema con una grande maturità artistica che affonda le proprie radici nel barocco romano, appreso in gioventù e accresciuta dalla conoscenza della statuaria antica,  non mancando di accogliere i nuovi dettami del gusto neoclassico di cui il Canova è il grande rappresentante. La figura del Cristo è interpretata scevra da ogni sofferenza e offerta al credente con tutto il suo valore salvifico;  il corpo mosso da una lieve torsione, evidenziata dal capo reclinato da una parte cui fanno da contrappunto le gambe flesse dalla parte opposta, è resa più evidente dalla rigidità geometrica della croce. Lo scultore, discostandosi dall’iconologia più ricorrente, sceglie di rappresentare, alla maniera dell’Algardi, la figura di Cristo con i piedi affiancati e bloccati da due chiodi, invece che con i piedi sovrapposti e fissati da un unico chiodo, al fine di allentare la tensione delle membra  a vantaggio di una postura più fluida[30]. Le linee purissime del volto e la graduale modulazione del chiaroscuro, rendono chiara la volontà dell’artista di abbandonare i toni drammatici seicenteschi per accogliere la lezione neoclassica attraverso la quale la solenne figura del Cristo sulla croce incarna la potenza della Redenzione.

Sebbene lo scultore sia stato molto  apprezzato dai suoi contemporanei, tra i quali il Canova che lo indica come il miglior scultore presente a Roma [31] al momento del suo arrivo nella città papale, Agostino Penna muore in condizioni di povertà come dichiarato nel Giornale del Pacetti in cui si legge:

“ .. lì 9 marzo 1800. E’ passato all’altra vita il nostro conaccademico Agostino Penna in somme miserie nei giorni scorsi; e l’Accademia ha risoluto, che si somministri la somma di cinque scudi per supplemento delle spese del funerale(Debenedetti, 2003)

 In ultima analisi va riconosciuto che per il rinnovamento della compagine artistica attuatasi nel corso del Settecento in Sicilia [32], molto è dovuto al desiderio delle congregazioni religiose di voler fare “ … ricca la chiesa”  scegliendo di affidarsi ad artisti attivi al di là del mare che con la loro arte seppero rendere preziose le chiese siciliane, come è avvenuto per la chiesa di San Michele arcangelo di Catania[33], in cui le opere del Leopardi, del Borremans e del Penna ne adornano gli altari  secondo il principio della “ nobile semplicità e quieta grandezza” enunciato dal Winckelmann.

Maria Antonietta SCOLLO  Catania, 4 Maggio 2025

NOTE AL TESTO

[1] Nel 1693 un violento terremoto distrusse  molti centri abitati della Sicilia orientale determinando uno stato di emergenza di notevole entità, a seguito del quale le amministrazioni, le diocesi e la nobiltà isolana provvidero con solerzia alla ricostruzione.
2Carlo Maratti  inizia il suo apprendistato sotto la guida di Andrea Sacchi a Roma, dove conosce anche la pittura di Raffaello, Pietro da Cortona e Guido Reni. Attivo in pieno periodo barocco le sue opere sono permeate da una chiara impronta classica.  
3 Sebastiano Conca, napoletano apprende l’arte pittorica dal Solimena, trasferitosi a Roma conosce le opere del Maratti e del Giordano.  La sua pittura di impianto barocco precorre, a volte, la corrente rococò.
4 Olivio Sozzi catanese, frequenta a Palermo la bottega di Filippo Tancredi, per migliorare la sua preparazione si trasferisce a Roma presso Sebastiano Conca restandovi per moti anni. Rientra a Catania attorno al 1746. 
5Corrado Giaquinto, pugliese d’origine, avvia la sua formazione prima a Bari poi a Napoli sotto il Solimena. Grande influenza ebbe sulla sua pittura lo stile di Sebastiano Conca col quale collaborò nel 1743.
6 Vito D’Anna, palermitano di nascita avvia la sua formazione ad Acireale sotto Pietro Paolo Vasta, rientrato a Palermo entra in rapporto con Olivio Sozzi che lo introduce nell’ambiente artistico romano e del quale sposerà la figlia Aloisa.
7Giovan Battista Piparo (? -1790), chierico palermitano, giunge a Catania nel 1742 per affrescare il refettorio di San Nicolò l’Arena
8 Già  nel commissionare il progetto della chiesa di San Michele Arcangelo i PP. Minoriti si rivolsero all’architetto romano Giovan Battista Contini , che lo eseguì nel 1686 circa.
9 Stefano Pozzi, inizia il suo apprendistato sotto la scuola di Pompeo Batoni e guarda con interesse alle opere di Carlo Maratti. Membro dell’Accademia di San Luca e della Congregazioni dei Virtuosi del Pantheon, nel 1743 è tra gli artisti che partecipano alla decorazione di palazzo Altieri a Roma.
10 Tommaso Conca (1734-1822) nasce a Roma dove  apprende i rudimenti del disegno dal padre Giovanni ma perfeziona la sua formazione artistica sotto la guida dello zio, Sebastiano Conca.
11 In molti pigmenti colorati come il Rosso cinabro, il Verde di Scheele, la Biacca o il Giallo di Napoli, molto usati tra il XVI e il  XVIII secolo, erano presenti sostanze altamente tossiche  come il piombo, l’arsenico, il minio, il mercurio, il cui uso prolungato causava un progressivo avvelenamento in coloro che li maneggiavano. 
12Il dipinto, commissionato dall’imperatore Leopoldo I per la cappella dell’imperatrice madre Eleonora di Gonzaga, deve la sua notorietà e diffusione alle  incisioni di Cesare Fantetti (1660-1740) e Nicolas Dorigny (1658-1746).
13 Il dipinto di Sebastiano Conca viene realizzato nel 1730 per la chiesa di S. Apollinare a Milano, mentre la tela di Stefano Pozzi, databile tra il 1736 e il 1768,  è dipinta per la chiesa romana del SS. Nome di Maria
14Il volto della Vergine richiama alla memoria le fattezze della fanciulla rappresentata nella Stele funeraria di Hegeso del V sec. a.C.
15 La tela, danneggiata durante il conflitto bellico del 1943,  è restaurata da Carlo La Spina nell’agosto del 1944. Nel corso dell’Ottocento lo schema compositivo di questa tela viene riproposto abbastanza fedelmente  numerose volte. A Catania si conservano tre dipinti che riproducono l’opera del Leopardi: uno nella chiesa del SS. Sacramento per mano di Tullio Allegra, l’altro nella chiesa di San Camillo dipinto da Natale Distefano e il terzo nella chiesa di S. Agata la Vetere, opera di Paolo Ferro Vaccara.
16 Delle tre tele presenti nella chiesa di San Michele Arcangelo vi sono i bozzetti preparatori custoditi nella Pinacoteca del Castello Ursino di Catania (D. Cavallaro, 2023) .  Per consuetudine gli accordi contrattuali tra il pittore e la committenza prevedevano l’invio di un bozzetto preparatorio dell’opera da eseguire. Molto spesso tali bozzetti, quando non entravano a far parte del collezionismo privato, contribuivano alla diffusione della cultura artistica.
17La tela del “ Battesimo di Cristo” dipinta ne 1781 sta nell’Oratorio dei SS. Andrea e Bernardino a Perugia, mentre la tela del “S. Ambrogio” dipinta nel 1791 è conservata presso il Museo di Evora in Portogallo.
18 La grande tela di “ San Gennaro e Sant’Agrippino scacciano i Saraceni” eseguita nel 1744, si trova nel Duomo di Napoli mentre  il tondo di“ Cristo in pietà con angeli” è conservato  nella chiesa romana di San Silvestro al Quirinale.
19 Si tratta di tre pale d’altare: il “ Miracolo di San Benedetto”,  “Santa Scolastica e Santa Gertrude di Helfta” e la “ Trasfigurazione di Cristo” Quest’ultima indicata come opera di Marcello Leopardi in uno scritto del sac. Salvatore Leonardi  del 1891. (D. Cavallaro, 2023)
20 Guglielmo Borremans, nato ad Anversa  e conoscitore della pittura del Rubens e del Van Dick, intraprende un viaggio in Italia come accade a moti pittori nord-europei, e risiede prima a Napoli e poi a Palermo. Per la Cattedrale di Catania esegue quattro grandi pale d’altare.
21 Luca Giordano e Paolo De Matteis di origini partenopee, il primo maestro del secondo. Entrambi di formazione romana  operarono nella seconda metà del Seicento, dimostrandosi molto versatili nell’apprendere da diverse correnti pittoriche oscillanti tra il classicismo e il barocco.
22 Pietro Novelli, detto anche il” Monrealese” apprese l’arte pittorica dal padre, ma a Roma e a Napoli ebbe modo di conoscere la pittura di Antoon van Dyck e Jusepe de Ribera. E’ considerato l’artista più influente nella Sicilia del Seicento. 
23 Ignazio Marabitti, di origini palermitane si forma sotto Gioacchino Vitagliano, cognato di Giacomo Serpotta, per poi passare alla scuola di Filippo della Valle, scultore romano.
24 Alessandro Algardi ( 1598-1654) di origini lombarde, si forma a Roma e completa la sua preparazione in ambito classico rinascimentale guardando alla opere di Giulio Romano e Pietro da Cortona. Inizia l’attività con opere in bronzo e oggetti di oreficeria, prestandosi anche a piccoli lavori di restauro. Divenuto principe dell’Accademia di San Luca nel 1640, si fa portatore di una tendenza classicista, misurata ma ricca di sensibilità, che si contrappone allo stile pienamente barocco del Bernini suo contemporaneo. 
25 Giovan Battista Marino, palermitano collabora strettamente col Marabitti. Dopo il 1750 prosegue a Catania l’attività insieme ai figli Ignazio, Giovanni e Carlo  mentre la figlia Rosalia si unirà in matrimonio con Giuseppe Orlando figlio dello scultore Michele Orlando. In seguito a questi rapporti di parentela si determineranno delle collaborazioni  professionali che, in assenza di documenti, rendono incerto il riconoscimento delle opere di mano di G.B.Marino. 
26 Michelangelo Slodtz (1705-1758) nato a Parigi giunge a Roma nel 1728 dove studia la statuaria rinascimentale che nelle sue opere scultoree saprà coniugare con il barocco, secondo il gusto del tempo. Nonostante nel 1749 diventa membro dell’Accademia di San Luca, dopo alcuni anni tornerà a Parigi definitivamente. (P. Apreda,2003)
27 Nel Settecento il restauro dei marmi antichi consisteva nell’integrazione delle parti mancanti delle sculture rinvenute negli scavi archeologici. Attraverso questa attività che lo impegnò moltissimo,  Agostino Penna guadagnò una grande fama oltre una profonda conoscenza della statuaria classica.  (M.B.Guerrieri Borsoi, 2023)
28 Giovan Battista Ponfreni (1714-1795), apprese l’arte pittorica dal Benefial del quale fu biografo. Attivo a Roma come pittore e mercante d’arte strinse rapporti col Crespi, il Canova e il Pacetti. Ricoprì la carica di Direttore dello Studio del Mosaico in Vaticano.
29 Tra il 2008 e il 2010 il Rotary Club di Catania finanzia il restauro conservativo della pala marmorea di A. Penna e delle due acquasantiere.
30 Un primo esempio iconografico in cui i piedi di Cristo sono sovrapposti e fissati con un unico chiodo si ritrova nel bassorilievo marmoreo del il pulpito del Battistero di Pisa eseguito da Nicola Pisano nel 1260.
31 Tra la copiosa produzione scultorea di Agostino Penna, ricordiamo i due angeli nella chiesa di San Carlo al Corso, il medaglione funebre di Maria Flaminia Odescalchi Chigi a Santa Maria del Popolo, il busto del cardinale Enrico Stuart duca di York, la statua di papa Pio IX e altre ancora. Alcune opere furono eseguite su commissione ed inviate in Inghilterra, Polonia e Russia.
32 Nel 1831 lo scultore catanese Giambattista Calì realizza l’Altare maggiore, dietro al quale è posto il grande organo a canne commissionato dai PP. Minoriti al bergamasco Carlo Serassi  nel 1857.

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