di Simona SPERINDEI
Tra i numerosi pittori paesaggisti ottocenteschi ancora oggi non si conoscono particolari della vita di Carlo Ranucci, artista che lavorò tra la fine del Settecento e il principio del secolo seguente in Polonia e Francia, dove creò gran parte della sua opera. La sua formazione avvenne sul territorio italiano e precisamente in quel gruppo di artisti che, tra il XVIII e il XIX secolo, si dedicavano a rappresentare scorci della campagna romana e dei suoi dintorni.[1]
Un ambito artistico, quello della pittura di paesaggio, che riscosse ampio successo nei collezionisti stranieri, giunti in Italia per scoprirne le bellezze artistiche oltre che naturalistiche e conseguentemente desideravano riportarne in patria il loro ricordo.
Sappiamo che fin dal Settecento i legami artistici tra l’Italia e la Polonia si erano andati consolidando attraverso l’arrivo di importanti aristocratici giunti nella città papale per visitarne il patrimonio artistico. A tal proposito si possono ricordare gli acquisti del re Stanisław August Poniatowski, il quale nel 1795 conservava nelle sue collezioni non solo le opere di grandi artisti italiani del passato, ma soprattutto, dei paesaggisti contemporanei attivi nell’Urbe fra i quali Gaspard Dughet.[2] D’altronde diversi pittori provenienti dall’Italia furono impiegati dagli esponenti della nobiltà polacca.
Come non ricordare l’attività che svolse il pittore Marcello Bacciarelli, celebrato nella corte di Varsavia o Vincenzo Brenna, noto per le Vestigia delle Terme di Tito, opera eseguita in collaborazione con il pittore polacco Franciszek Smuglewicz, trasferitosi prima a Varsavia nel 1780 e successivamente a San Pietroburgo, città nella quale venne impiegato in numerosi cantieri artistici tanto da ottenervi il titolo di pittore aulico, come ricordava Sebastiano Ciampi nel resoconto che svolse durante il suo viaggio in Polonia (1830).[3]
Al pari di questi, anche il pittore pistoiese Nicola Monti nel corso del 1818 partì da Firenze alla volta di Varsavia al seguito del conte Paolo Cieszkovski, affinché dipingesse due quadri destinati alla cappella di famiglia in Surchów, nel distretto di Krasnystaw, raffiguranti La conversione di San Paolo e una Santa Sofia in onore della moglie deceduta nel capoluogo fiorentino proprio nel corso di quello stesso anno.
Durante quel soggiorno il Monti non solo eseguì le tele richieste dal nobile, ma si dedicò anche alla decorazione ad affresco di alcune sale della sua residenza. Dipinse anche a Varsavia una sala nel palazzo del Regio Luogotenente prima di dirigersi in Russia. Una menzione del Ciampi è rivolta anche all’opera del pittore saviglianese Pietro Ayres, che giunse nel 1818 a Varsavia per volontà del conte Potocki per dipingere nella residenza di Wilanów, assieme al giovane torinese Giovanni Ricchiardi, ottimo restauratore di quadri e suo condiscepolo nell’Accademia di Torino, che purtroppo spirò prematuramente nella cittadina polacca il seguente 13 gennaio del 1820.[4]
Nell’elenco degli artisti che il Ciampi aveva avuto modo di incontrare durante il suo itinerario polacco il nome di Carlo Ranucci non fu tralasciato in qualità di pittore paesaggista[5].
Questo avvicendamento di pittori italiani nel territorio polacco si protrasse sin dal Settecento e tra questi va annoverato Carlo Ranucci che soggiornò a lungo tra Varsavia e Puławy, al tempo del re Stanisław August. A quel tempo infatti dipingeva a Varsavia nel palazzo del Primate nel quale eseguì alcuni paesaggi,[6] e successivamente nel corso del 1800 beneficiò della cortese ospitalità del principe Adam Jerry Czartoryski a Puławy, appassionato amante dell’arte che commissionò nella sua magnifica residenza un tempio della Sibilla, su modello di quello di Tivoli: un souvenir delle antichità che aveva visitato durante il suo viaggio in Italia del 1798[7]. Con ogni probabilità è plausibile che il Ranucci conobbe l’aristocratico in tale occasione e raggiungesse la Polonia al suo seguito.
L’ultima notizia del pittore sul territorio polacco si può far risalire al 1805, anno nel quale era impegnato nell’esecuzione di alcune decorazioni per il teatro nazionale di Varsavia.[8] Nella città la sua opera si ricordava ancora nel corso dell’Ottocento, in quanto alcune collezioni private conservavano dei suoi paesaggi, i quali a tutt’oggi purtroppo risultano dispersi. Le fonti ci riferiscono che nel 1832 quattro grandi tele del Ranucci si trovavano conservate assieme numerose vedute di scuola italiana nella galleria di pitture del conte Jósef Kaietan Ossolińki e con certezza almeno due tele erano assegnate al pittore nel relativo catalogo dei dipinti posseduti dal nobile.[9]
Nel 1834 altri due suoi dipinti si trovavano esposti nella galleria del palazzo di Wilanów raffiguranti vedute di Puławy e Olesin, ambedue eseguiti con la tecnica ad olio.[10] La residenza di Wilanów [fig. 1] sin dal 5 agosto del 1805 era stata aperta al pubblico per volontà del conte Stanislaw Kostka Potocki, il quale oltre a consentire la visita alla ricca collezione artistica creata dal re Jan III, si impegnò a riportare la dimora agli antichi fasti.
Tra le sale del palazzo degna di nota era quella destinata ad ospitare i paesaggi, una raccolta che prediligeva dipinti italiani, alcuni dei quali a tutt’oggi sono collocati anche lungo la galleria principale [figg. 2-3].[11]
Alla metà del secolo a Wilanów si identificarono altri tre paesaggi del Ranucci, difatti oltre al quadro rappresentante “Marynki” se ne riconobbero due raffiguranti una Veduta di Castelgandolfo e una Veduta delle cascate di Tivoli.[12] Per altro quest’ultima tela era ricordata anche nell’opera letteraria di Leonard Chodźko del 1836, il quale non tralasciava di annotarla assieme a una serie di opere di celebri paesaggisti italiani, molti dei quali già attivi nell’Urbe, come Locatelli, Orizzonte, Poussin, Salvator Rosa e Claude Lorrain[13].
Ancora oggi un dipinto del Ranucci, già appartenente alla quadreria di Wilanów raffigurante un paesaggio di Puławy, è segnalato dalle autorità polacche tra le opere trafugate durante la seconda guerra mondiale.[14]
Indubbiamente il ragguardevole incarico svolto dal Ranucci presso il palazzo di Wilanów gli permise di ottenere un grande consenso di pubblico; tanto è vero che altre sue due vedute, una delle quali raffigurante i dintorni di Roma e uno scorcio delle Cascate di Tivoli, si trovavano conservate nella galleria del palazzo Królikarnia di Varsavia.
Il suo nome raggiunse una fama ragguardevole se nel novembre del 1836 la copia di un suo dipinto raffigurante un tramonto, eseguita da Krystyna Lessel, veniva esposta nella mostra Towarzystwo Zachęty Pięknych (TZSP) di Varsavia.[15] Cittadina nella quale ancora nel 1857 si registravano altre quattro vedute di marine conservate nella collezione del professore Maurycy Gąsiorowski così come altri due dipinti di paesaggi italiani si trovavano in quella dell’editore Maurycy Wolff.
Sempre a quel periodo è opportuno ricondurre un disegno a penna firmato dal Ranucci rappresentante un Paesaggio con costruzioni di torri e una chiesa conservato presso la Galleria Nazionale Scozzese [fig. 4].[16]
Il disegno ad inchiostro marrone acquerellato mostra nell’angolo in alto a sinistra il marchio del conte Johannes Von Ross di Berlino, collezionista d’arte.[17] Sappiamo che il nobile si recò a Varsavia soggiornandovi tra il 1812 e il 1814, dopo che, morto il padre, si era avvicinato alla vita politica, e ragionevolmente fu proprio in questa città che venne in possesso del suddetto disegno. A differenza di quanto si afferma nel Catalogue of the Italian Drawings della Galleria Nazionale Scozzese, è evidente che il disegno sia riconducibile all’opera di Carlo Ranucci. Le difficoltà dal punto di vista biografico su quest’ultimo e la mancanza, di ulteriori notizie lascia solamente emergere che i temi da lui trattati si rifacevano all’ambito italiano, in particolare alla campagna intorno a Roma, oltre che a quella polacca.
Concluso il soggiorno polacco, il pittore partì per Parigi dove ottenne il favore del pubblico e dei collezionisti.
Un discorso merita la serie delle Quattro ore del giorno, quattro tele oggi al museo di Magonza, copia della serie originale di Claude Lorrain dell’Ermitage di San Pietroburgo [figg. 5-8].[18]
I dipinti sono la fedele trascrizione di quell’ideale classico rivolto all’elaborazione della pura natura che raggiunse la sua completa autonomia nel corso del Seicento. Le immagini di paesaggi, monumenti antichi e città, che in questo caso sono uniti al duplice tema iconografico dell’angelo e della vita di Giacobbe, rappresentano anche quella mutevolezza di luce rilevabile nelle ore del giorno e nelle stagioni. Queste ultime vengono raffigurate nel gruppo come: La mattina, Giacobbe nei pressi del suo gregge con Lia e Rachele; il mezzogiorno, la Sacra Famiglia con l’Angelo; la sera, il fanciullo Tobia e l’Angelo; la notte, Giacobbe e l’Angelo.
I quattro dipinti originali di Claude Lorrain, che hanno vissuto vicende comuni e che non sono stati realizzati in uno stesso periodo, ma sono stati separati tra loro da alcuni anni, vennero riuniti in questa serie a Parigi nel corso del primo decennio del XIX secolo.[19]
Questi quadri, che nel 1811 erano esposti nella Galleria o Salone della Musica della Malmaison, raggiunsero la Russia nel 1814 quando passarono all’imperatore Alessandro I.[20]
Quanto alle repliche, queste vennero realizzate nel corso del 1812 da Carlo Ranucci a cura dell’imperatrice Giuseppina e raggiunsero la loro attuale sede di Magonza nel 1841, provenienti dalla collezione Beaqueathed per volontà di Georg Martin Von Metzler.[21]
D’altronde, che tale opera sia riconducibile a questo paesaggista lascia sperare che le notizie fino ad ora esposte non rimangano solo coincidenze, ma riescano a fornire maggiori conferme al supporto di questa ipotesi.
Peraltro nel catalogo della Gemälde Sammlung der Stadt di Magonza le copie del pennello di Ranucci dagli originali di Claude Gellée si trovano censite dal 1925[22].
Questi quattro dipinti, olio su tela, di dimensioni inferiori rispetto agli originali, vennero inizialmente attribuite a Giuseppe Ranucci dal Parthey nel 1864 e solo successivamente la critica artistica le assegnò al pittore Carlo Ranucci[23]. Conferme in tal senso è possibile ricavarle dai dipinti che il pittore eseguì ed andarono all’asta fin dal 1811 a Parigi. Sappiamo infatti che l’11 marzo di quello stesso anno un suo Paesaggio con figure fu venduto nelle sale dell’hotel de Bullion da Léonard-André Clisorius.
Nella capitale francese, tra i mesi di marzo e novembre del 1816, vennero nuovamente messe in vendita delle pitture di rappresentanti delle vedute alla maniera di Claude Lorrain,[24] ed ancora altri dipinti nel corso del 1817: una veduta il 16 marzo,[25] due nel successivo mese di aprile,[26] e un’altra coppia di dipinti sempre all’imitazione di Claude Lorrain per Marie-Antoine Didot, il seguente 15 dicembre.[27]
Nel marzo del 1818 fu nuovamente messo in vendita un
“paysage vu au soleil couchent. Les lontains représent une immense étendue de pays tout couvert de bois: sur le devant est un satyre qui enseigne à un jeune bacchante à jouer du chalumeau”.[28]
Le ultime testimonianze della sua produzione si rintracciano nel catalogo del pittore restauratore Alphonse Giroux a cui sembra vengono affidate in modo esclusivo nel corso del 1819 sia un pendant composto da un
“paysage boisé coupe par rivière sur laquel est un pont de deux arches qu’on distingue dans l’éloignement, au-dessous de qualques fabriques; sur le levant, un pêcheur jette sa ligne, tandis qu’un autre invite un jeune dame a faire un tour de promenade”
e un “issue d’une forêt sur le bord d’un rivière, dont la rive gauche est ornée d’un édifice bâti sur le roc”,[29] e altri due lotti rappresentanti paesaggi[30].
Questo lavoro nasce da una serie di appunti, ricerche, studi e sopralluoghi svolti sul pittore nel corso di due decenni. Purtroppo non si ritiene esaustivo e al momento è possibile pronunciarsi solo alcune tele dell’artista conservate a Magonza, ma l’intento più ambizioso è quello di iniziare a dar corpo ad un primo catalogo dell’opera di questo artista con il desiderio di ampliare e riunire altri dipinti conosciuti del Ranucci.
Il fascino per le sue vedute naturalistiche è testimoniato non solo dalle collezioni polacche, ma dalle raccolte private francesi che furono dominate dai paesaggi ispirati alla pittura pastorale di Claude Lorrain.
In conclusione, questo contributo è l’occasione propizia per una breve presentazione dell’attività di questo artista sfuggita all’attenzione della critica, sebbene riconosciuta dai collezionisti contemporanei. In questa sede si è presentata una sistematica ricognizione di quanto emerso a tutt’oggi circa la sua produzione pittorica che auspico meriterebbe un interesse degli studiosi più approfondito.
Simona SPERINDEI Roma 8 Ottobre 2022
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