di Claudio LISTANTI
Il Teatro dell’Opera di Roma ha inserito nella stagione lirica in corso una convincente rappresentazione de Il re pastore di Wolfgang Amadeus Mozart, piccolo-grande capolavoro del genio salisburghese messo in scena da una delle registe più in vista di oggi, Cecilia Ligorio, con la direzione d’orchestra dell’esperto Manlio Benzi.
Il Re Pastore K 208 è un’opera piuttosto importante dell’iter compositivo di Mozart seppur considerata tra quei lavori cosiddetti ‘minori’. Composta dal diciannovenne compositore di Salisburgo nel marzo-aprile del 1775 è considerata una delle composizioni del periodo giovanile, che ricopre un arco temporale che parte del 1770 con Mitridate, re di Ponto ed arriva proprio al 1775 quando, con la composizione di Re pastore; la critica musicale considera chiuso così questo periodo che, a dispetto del termine ‘giovanile’ dimostra di possedere opere musicali di una certa maturità stilistica come rivela un ascolto attento di questa opera.

La caratteristica principale de Il re pastore è quella di essere stata commissionata dal Principe arcivescovo Hyeronimus Colloredo in occasione della visita alla corte arcivescovile di Salisburgo del più giovane figlio dell’imperatrice Maria Teresa, l’arciduca Massimiliano, di Mozart pressocché coetaneo, che si trovava in viaggio da Vienna per l’Italia. Fu una doppia commissione perché il Colloredo coinvolse il suo compositore di corte, il napoletano Domenico Fischietti e, appunto, Mozart, elemento che spiega l’importanza della vista che avvenne nell’aprile di quell’anno.
I due musicisti adottarono due diversi libretti di Metastasio: Fischietti Gli orti esperidi e Mozart Il re pastore. La particolarità del momento è certificata dal fatto che il diario del consigliere municipale Schiedenhofen, come evidenzia Pierluigi Petrobelli nell’interessante saggio pubblicato nel programma di sala, racconta che per l’occasione vennero fatti venire da Monaco due musicisti di corte di grande spessore, come il soprano castrato Tommaso Consoli ed il flautista Johann Baptist Becke. Le due partiture, delle quali quella del Fischietti è stata riscoperta piuttosto recentemente, rivelano tra loro significative omogeneità nell’organico e nella struttura, con lo stesso numero di personaggi e la stessa composizione della compagnia di canto: un castrato, due soprani e due tenori. Le due opere, inoltre, ebbero esecuzioni contigue, il 22 aprile quella del Fischietti e il 23 aprile Mozart.
Un altro elemento accomunava entrambe le composizioni, quello di essere scritte in forma di ‘serenata’, vale a dire partiture non destinate alla rappresentazione scenica mentre sensazioni, spirito, personalità e caratteristiche di ogni singolo personaggio erano demandate esclusivamente alla musica e al canto.
Nel giudicare Il re pastore dobbiamo partire da questo aspetto sottolineando quanto Mozart abbia curato tutta la sua creatura riuscendo a porre in secondo piano l’occasionalità della composizione ed evitando di proporre al pubblico una successione inerte di arie e recitativi per dare ad ogni personaggio grazia ad una elegante orchestrazione e ad una parte vocale di particolare espressività, giusti impulsi e precisi stati d’animo per guidare con chiarezza l’ascoltatore nell’evoluzione dell’azione.

In estrema sintesi nell’opera agiscono cinque personaggi: Alessandro re di Macedonia, che rappresenta il sovrano illuminato, personaggio creato per celebrare la figura dell’arciduca Massimiliano ed utilizzato anche come deus ex-machina per il finale che suggella l’elemento illuministico al quale l’opera è legata. A questo aspetto di carattere politico si contrappone quello pastorale, bucolico, di stampo arcadico, che caratterizzerà l’amore di Aminta, il pastorello a sua insaputa re, e la ninfa Elisa di lui innamorata, entrambi pronti a tutto, anche alle rinunce più difficili, per far trionfare il loro amore. Accanto a questi due altri personaggi, ma di secondo piano: Agenore confidente di Alessandro che asseconda in tutte le sue idee e Tamiri di lui innamorata.
Alessandro vuole condurre il gioco delle coppie, spaiando quelle naturali Aminta-Elisa e Agenore-Tamiri cercando far affermare la coppia Aminta-Tamiri. Solo alla fine le sue specifiche doti di sovrano illuminato lo porteranno a ricondurre le due coppie alla loro originale composizione e ad assumere il ruolo di motore di tutta la vicenda.
Accanto a questi due aspetti, illuminista e arcadico, si insinua quello forse più interessante, la caratterizzazione dei personaggi, ognuno dei quali disegnato con sfumature psicologiche e sentimentali proprie, che aiutano lo spettatore, pur nell’assenza di una vera e propria rappresentazione, alla comprensione di quanto sta avvenendo.

La partitura è nell’insieme elegante ed affascinante. Parte con una ‘delicata’ ouverture e poi si sviluppa in 14 numeri con cinque parti vocali, tre della quali di primissimo piano, Alessandro-Aminta-Elisa e le altre due più di secondo piano Tamiri e Agenore. Se la parte di Alessandro è quella teatralmente più intensa, dal punto di vista vocale appare molto più impegnativa quella Aminta, alla prima destinata al soprano castrato Tommaso Consoli e quindi contenente una vocalità più complessa, virtuosistica e di importante peso specifico vocale. Per le altre parti due soprani per i personaggi femminili e due tenori per i rimanenti personaggi maschili.
Mozart come sempre propone una orchestrazione elegante e raffinata che aiuta ad individuare i caratteri di ogni personaggio che si esplicita con l’incedere delle arie previste. Sono presenti anche due ariosi di grande effetto, un duetto e soprattutto un finale molto intenso durante il quale tutti e cinque i protagonisti cantano insieme per consolidare il lieto fine proposto dallo sviluppo teatrale. Un finale accattivante e poco convenzionale che ci fa capire quanto ne Il re pastore siano contenuti i prodromi di quello che sarà il Grande Mozart, quello della cosiddetta Trilogia Da Ponte in quanto all’ascolto si possono percepire nello stile e nella sintassi musicale anticipazioni di certi momenti di Don Giovanni e di Così fan tutte.
Per quanto riguarda la parte musicale la direzione di Manlio Benzi ci è parsa del tutto ideale per porre in evidenza quanto abbiamo cercato di mettere in risalto circa le peculiarità di questa opera. Benzi ha messo a disposizione dell’esecuzione la sua esperienza maturata in anni di direzioni operistiche per partiture di diversi periodi storici fornendo, anche grazie alla partecipazione dell’Orchestra del Teatro dell’Opera, una convincente prova ottenuta grazie alla cura dell’insieme e dei rapporti tra parte strumentale e vocale.

La compagnia di canto è risultata di buon valore e ben assortita. Per la parte Aminta è stata scelta la veneziana Miriam Albano attesa alla prova più difficile per la linea di canto concepita per un castrato. La Albano possiede una voce che, come scritto nelle note del programma, parte dal timbro di soprano per frequentare anche quello del mezzosoprano. Questa caratteristica a nostro avviso favorisce l’interpretazione di parti scritte per castrato perché facilita le agilità e la duttilità nel passare dagli acuti ai gravi e, soprattutto, per dare spessore e robustezza alla linea di canto. Caratteristiche queste che per una cantante giovane come la Albano, se ben coltivate, possono farle raggiungere a traguardi molto importanti. Per lei un successo personale di notevoli dimensioni.

Nella parte di Alessandro ha brillato Juan Francisco Gatell un tenore dalla comprovata abilità per le parti tenorili mozartiane, repertorio che ha frequentato con una certa continuità nella sua carriera, e che ha consentito al cantante di regalarci un Alessandro ben delineato vocalmente, sia nelle arie che nei recitativi. Si aggiunga la sua comprovata presenza scenica, anch’essa notevolmente apprezzata da parte del pubblico. Apprezzamento rivolto anche verso l’interpretazione del soprano Francesca Pia Vitale, una Elisa di grande spessore dalle emissioni chiare e sicure che le hanno consentito di disegnare scenicamente e vocalmente un personaggio del tutto credibile.


Nelle altre due parti, definite di secondo piano ma solo perché risultano defilate nella trama pur avendo delle parti vocali impegnative, hanno ben operato con scioltezza e sicurezza: Benedetta Torre vivace Tamiri e Krystian Adam intenso Agenore.
Concludiamo riferendo della parte prettamente scenica, elemento che oggi regala sempre un po’ di apprensione a noi spettatori viste le stranezze e le forzature scenica alle quali sta andando incontro a livello mondiale l’opera lirica come forma di spettacolo.
Vogliamo dire che Cecilia Ligorio, responsabile dell’allestimento di questo Re pastore, ha fornito una prova sicuramente convincente che ha felicemente segnato il suo debutto negli spettacoli del Teatro dell’Opera con l’augurio che questa regista venga coinvolta anche in futuro nella programmazione del teatro. Personalmente stimiamo molto la sua arte, stima scaturita qualche anno fa dopo aver assistito al Fernand Cortez di Spontini in una rappresentazione fiorentina costruita sull’edizione originale dell’opera; la Ligorio seppe mettere in scena con maestria quello che è uno dei primi Grand Opéra della storia dell’opera, riuscendo a riproporre tutti gli elementi che caratterizzano questo genere di opera con semplicità ed efficacia abbinate anche ad una cospicua dose di razionalità, restando saldamente ancorata ai tempi nei quali si svolgevano i fatti rappresentati.
Anche qui al Teatro Nazionale abbiamo assistito ad uno spettacolo del tutto apprezzabile considerando soprattutto che Il re pastore non fu scritto per le scene e quindi non ha punti di riferimento in tal senso e può essere un problema realizzarlo in questa forma. Per comprendere meglio tutto ciò è giusto citare quanto dichiarato dalla stessa regista in una intervista che Leonetta Bentivoglio ha sintetizzato nel programma di sala.
La Lagorio a proposito del Re pastore dice:
”Questa è una storia molto politica che però ha la forma e la leggerezza della grazia barocca” e riguardo al racconto “Il racconto ha la grana della fiaba, e ciò imprime allo sviluppo dell’opera, anche nei momenti più difficili, un’estrema grazia e delicatezza di cui credo ci sia un bisogno estremo”.

Queste dichiarazioni sono l’assunto sul quale è stato costruito lo spettacolo nel quale è ben presente l’elemento naturale e bucolico che suggerisce la trama che si evidenzia fin dall’inizio con un delizioso tableau vivant il cui contenuto si riverbera per tutto lo spettacolo con la presenza di un albero in miniatura a sottolineare la natura come elemento portante. Così all’accampamento di Alessandro, dove viene condotto Aminta, si contrappone una visione più dura, squadrata e “chiusa” come la definisce la stessa Ligorio, che simboleggia il potere e dove si esprime un elemento di carattere politico che contrasta con forza i contenuti di tipo naturalistico e pastorale.
Tutti i movimenti scenici sono risultati corali e ben amalgamati tra loro riservando però una certa spinta protagonistica al personaggio di Aminta che pone in secondo piano l’allegoria del buon governante tipica del personaggio di Alessandro (celebrativo dell’arciduca Massimiliano). Anche la Ligorio, come molti oggi, ricorre a dei figuranti che vivacizzano la percezione ma che, alle volte, risultano un pochino disturbanti per il pieno godimento dell’insieme. La realizzazione lascia intendere una ambientazione senza tempo ma, nella quasi totalità, i costumi richiamano un mondo ottocentesco. Per la riuscita delle parti sceniche da ricordare le scene di Gregorio Zurla, i costumi di Vera Pierantoni Giua e le luci di Fabio Berrettin, tutto in linea con l’impostazione registica della Ligorio.
Questo spettacolo ha fatto registrare anche un’altra lieta sorpresa, quella della partecipazione del pubblico, che, inaspettatamente per noi, è convenuto numerosissimo al Teatro Nazionale nonostante si trattasse di un’opera senza dubbio poco conosciuta ma che, in effetti, ha dimostrato di avere presa sullo spettatore. Ci riferiamo alla recita del 16 maggio che si è conclusa con calorosi applausi rivolti a tutti gli interpreti, spesso applauditi a scena aperta e, ripetutamente, alla fine con diverse chiamate al proscenio.
Claudio LISTANTI Roma 18 Maggio 2025