Il Papa dimesso dal Gemelli. Continua la “rivoluzione” di Bergoglio.

di Chiara GRAZIANI

“Disarmare le parole,  disarmare le menti, disarmare la Terra”. 

Il 14 marzo papa Francesco scriveva così dalla sua stanza d’ospedale al “Corriere della Sera” che il 18 marzo ha, infine, pubblicato il suo messaggio. Dopo settimane di illazioni, pettegolezzi, falsità macabre sparse sui social, ma anche di pensosi dubbi sul silenzio e l’invisibilità del Pontefice malato (troppo malato per governare era il sottotesto),  la voce del Papa si alza e, quattro giorni dopo, viene resa pubblica: sul far della mezzanotte fra il 17 ed il 18 marzo l’autografo di Francesco – in risposta alla lettera di auguri e vicinanza fatta pervenire dal direttore Fontana al decimo piano del Policlinico Gemelli assediato dalla stampa – appare sul sito del maggiore quotidiano italiano. Il testo, rilanciato da “Vatican News” con in calce la nota che lo certifica emesso dal Gemelli il 14 marzo, è un appello al mondo dell’informazione tutto che, al pari della direzione del Corriere, non aveva mancato di far pervenire al Pontefice segnali di premura ed augurio.

Se scrivi a Francesco, Francesco risponde. E di rado è formale. Cosa ha detto a tutti noi che facciamo informazione, che scegliamo le parole per comunicare al meglio la realtà ed esercitiamo, dunque, un potere scegliendone alcune piuttosto che altre? Più o meno quello che aveva già detto in occasione del Giubileo della comunicazione, il 24 e 26 gennaio scorso, pochi giorni prima del ricovero per polmonite bilaterale e già visibilmente sofferente d’affanno. Disarmare le parole, in sostanza,  è il primo passo per disarmare le coscienze, rivelando l’uomo all’uomo. Se il mondo scivola verso la terza guerra mondiale le parole scelte, curate e “disarmate” da interessi di lobby o di elites,  possono spengere gli incendi sul nascere. Le parole armate, talvolta condizionate da ambizioni ed interessi, al contrario, possono dar fuoco ai pagliai finché l’incendio, nell’ansia e nel caos, non sfugge di mano.

Le parole sono fatti”. La narrazione tossica per eccellenza è dunque quella che parte dall’ineluttabilità del male e della guerra (nella resa della diplomazia e della politica). “Raccontare le storie cambia la Storia” . E’ un’enorme responsabilità, dunque, quella di chi offre le parole per capire a tutta la comunità. Francesco non ha scritto al Corriere: ha scritto al mondo dell’informazione e ad ogni comunicatore culturale, incoraggiando (e “coraggio” è una delle parole chiave del suo magistero, assieme a “tenerezza” ndr) all’assunzione di responsabilità. Scrive infatti il Papa nella sua lettera a Fontana:

“Vorrei incoraggiare lei e tutti coloro che dedicano lavoro e intelligenza a informare, attraverso strumenti di comunicazione che ormai uniscono il nostro mondo in tempo reale: sentite tutta l’importanza delle parole. Non sono mai soltanto parole: sono fatti che costruiscono gli ambienti umani. Possono collegare o dividere, servire la verità o servirsene. Dobbiamo disarmare le parole, per disarmare le menti e disarmare la Terra. C’è un grande bisogno di riflessione, di pacatezza, di senso della complessità”.

Quali sono gli strumenti nelle mani di un comunicatore? “Lavoro, silenzio, parole”, suggerisce il Papa e con quel riferimento al silenzio pare sconsigliare la parola inutile, che spesso accompagna, con il chiacchiericcio autoreferenziale, quella armata in una semplificazione schematica della realtà: amico-nemico, bianco-nero, io buono-tu cattivo. La parola del comunicatore di pace, dunque, nasce nel silenzio personale e nel lavoro orientato dalla coscienza. Il Papa aveva già scritto il suo messaggio dal Gemelli  quando l’uso della parola, in almeno due occasioni, si dimostrava cruciale quanto quello delle armi.

Il presidente degli Stati Uniti, Trump, il 17 marzo esponeva alla gogna mediatica persone – a suo indimostrato dire membri di una gang criminale e “mostri” – umiliate in ceppi e cacciate dal Paese in forza di una legge  del 1798, chissà se ancora in vigore, nata per colpire nemici della patria in tempo di guerra imminente. Non solo: il motto riesumato da Trump – che, un post presidenziale dopo l’altro, vuole farsi ipnosi –  è “pace attraverso la forza”. Ed  è significativo sentirlo rilanciare, in questi giorni, anche dalla presidente della commissione europea, Ursula von der Leyen. L’Europa, incubatrice già di due guerre mondiali via riarmo preventivo, predica il terzo riarmo (che poi, fatti i conti della serva e del debito degli Stati, si potrà permettere praticamente solo la Germania). E ripete il motto  “pace attraverso la forza”. Peace through strength.

Anche la politica italiana sta dimostrando consapevolezza che le parole “sono fatti” e creano fatti. Così il governo italiano ha cancellato la parola “riarmo” (urticante e chiara) a favore del concetto più elastico e sfuggente di “sicurezza” . Nel frattempo, però, la situazione deraglia, un orrore dietro l’altro. I bombardamenti indiscriminati su Gaza riprendono sterminando bambini e civili, ad indimostrato dire dei bombardatori “tutti terroristi” evidentemente per nascita. L’Ucraina è sempre martellata nelle sue strutture vitali con indicibile sofferenza della popolazione civile, in costanza di trattative.  Il grande negoziatore statunitense, da parte sua, non fa che minacciare, testualmente, inferni su tutti i tavoli che apre e chiude, sia che programmi la deportazione di un popolo affamato e decimato dalla Palestina al Sudan o che reclami una firma sulla cessione delle risorse primarie dell’Ucraina. Ma non si capisce quale inferno di riserva abbia oltre quello che è già aperto.

Il Papa, dunque, parla dal Gemelli, con cura pastorale che è la risposta più chiara alle voci di dimissioni. Il Papa soffre per la pace e chiede di disarmare il Pianeta prima che sia tardi. Appellandosi anche al coraggio, all’onestà intellettuale ed alla responsabilità di chi fa informazione. La guerra, ricorda, non ha mai risolto un problema nella storia dell’uomo e “devasta la comunità e l’ambiente”. Le istituzioni internazionali hanno bisogno di nuova linfa e credibilità. Tutte le religioni, dice infine, possono riaccendere il desiderio dell’umanità di fratellanza, giustizia, speranza. La pace, alla fine, è una costruzione complessa, che non può fare a meno delle parole.

Francesco, dunque, c’è. Ed intende esserci finchè Dio gliene darà forza. Crediamo che uno degli elementi che lo rende totalmente imprevedibile per chi cerca di influenzarne le scelte, o prevederle, sia il fattore fede. Per chi non ne tiene conto, o non crede in Dio come lui, Francesco è un oggetto indecifrabile perché ha logiche aliene. Un esempio. Il Pontefice ha di recente, e sempre dal letto d’ospedale al Gemelli, preso una decisione “pesante”, di quelle che indicano alla Chiesa un cammino preciso almeno fino al 2028 e che ne ridiscutono la struttura. Ha approvato le disposizioni, e le tappe, per la fase attuativa del Sinodo, un itinerario che si concluderà, appunto, nel 2028.

Il Sinodo, dato per concluso con il documento finale, riparte per diventare, da parola, fatto e nuovo volto della Chiesa. In questi tre anni le Chiese locali si confronteranno, stringeranno relazioni, discuteranno di come inverare ed integrare  le conclusioni del Sinodo dei vescovi per arrivare nel 2028 – prima volta nella storia della Chiesa – ad un’Assemblea ecclesiale che offra al Papa, perché le valuti, le conclusioni del popolo di Dio. In sostanza, la Chiesa universale si fa rete fra Chiese e prende definitivamente la forma di Chiesa sinodale (in cammino tutti insieme). Con Pietro primo fra i pellegrini e parte di un popolo che, avendo voce, usa parole.

Continua dunque la “rivoluzione” di Bergoglio, portare la Chiesa ad uscire da Roma e camminare nel mondo come un popolo in ascolto di Dio e dell’uomo, in tutte le sue necessità. Ci si è interrogati sul fatto che il Papa, così, ipotecherebbe per tre anni la vita della Chiesa, a scapito del successore, quando sarà. Mettendosi nell’ottica della fede, però, le cose sono più chiare (anche per la questione dimissioni sì, dimissioni no). Il Papa, chiunque egli sia al momento, è Papa fino all’ultimo, senza limiti al suo dovere di aver cura della Chiesa, secondo l’ispirazione dello Spirito Santo. Il 2028, data della prima assemblea ecclesiale universale, è un orizzonte che Francesco vede o per sé (a Dio piacendo) o per l’ipotetico Giovanni XXIV che ha già nominato rispondendo alla stampa a proposito di un annunciato viaggio in Vietnam. “Il Papa ci andrà, certo. Poi posso andarci io – disse – o Giovanni XXIV, non importa. Il Papa andrà”. Chiunque sia Papa nel 2028, la Chiesa ha preso una direzione precisa, da Roma al mondo, in cammino. Un processo di riforma è avviato.

Chiara GRAZIANI  Roma 23 Marzo 2025