di Sergio GUARINO
Il metodo, e poi tutto il resto
Cristina Galassi, L’occhio del conoscitore – Le ricognizioni di Cavalcaselle e le opere della Galleria Nazionale dell’Umbria nel taccuino XI della Biblioteca Marciana, Aguaplano, Perugia 2023
Il 14 luglio 1907, a Legnago, Adolfo Venturi tenne una celebre conferenza nel decennale della morte di Giovanni Battista Cavalcaselle, che nella cittadina veneta era nato nel 1819. Lo aveva già ricordato a ridosso della scomparsa, ma l’articolo, pubblicato su una rivista tedesca[1], ma era rimasto circoscritto a una piccola cerchia accademica. Nel discorso di Legnago, poi riprodotto in un piccolo volume[2], Venturi aveva sintetizzato il percorso dello studioso veneto, ricordando tra l’altro che
“Cavalcaselle grandeggiò come il primo storico nazionale dell’arte, il promotore della critica positiva, il fondatore del metodo dell’osservazione e della comparazione. Pare un sogno che un uomo potesse d’un tratto accorgersi che i documenti primi d’un’opera sono scritti a lettere indelebili sull’opera stessa”.
L’elogio era probabilmente sincero, ma questo non impedì per molti decenni l’accantonamento di fatto di Cavalcaselle, ricordato come il tenace “pellegrino dell’arte” che nell’Italia risorgimentale e poi nell’Italia unita percorreva a piedi valli e paesi e città della Penisola alla ricerca di opere pittoriche di un passato ben definito – dal Trecento al Cinquecento, per dirla in modo grossolano – riempiendo di disegni e appunti e annotazioni varie i propri taccuini (sto riassumendo con parole inappropriate un’impresa quasi sovrumana). Ancora nella voce del Dizionario Biografico degli Italiani, comparsa nel 1979, si concedeva burocraticamente che “a distanza di un secolo … i suoi scritti continuano a mantenere validità”[3] e nulla più.
Dall’intervento di Venturi era di fatto sceso un velo su uno dei padri della connoisseurship, malgrado il monumento eretto nella sua città natale nel 1911 e la riedizione della History of painting in North Italy – redatta con Joseph Arthur Crowe e pubblicata per la prima volta a Londra nel 1871[4] – curata nel 1912 da Tancred Borenius. Bisogna attendere gli anni immediatamente successivi al secondo conflitto mondiale per trovare i primi contributi critici moderni, dovuti a Carlo Ludovico Ragghianti[5] e a Giuseppe Fiocco[6], che hanno avuto il merito di rimettere in moto l’attenzione degli studi. La partecipazione della comunità scientifica è dapprima più sporadica, poi sempre più consistente a partire dalla pioneristica mostra vicentina del 1973[7]: in seguito, dopo il fondamentale volume monografico di Donata Levi[8] (concentrato in particolare sui rapporti tra Cavalcaselle e il restauro), due convegni, scalati a una distanza di circa venti anni l’uno dall’altro[9], marcano il punto delle ricerche, dove si affaccia una più attenta analisi dei taccuini (e in generale delle carte di Cavalcaselle), donati alla Biblioteca Marciana di Venezia dalla vedova Angela Rovea nel 1904[10]; va ricordato come proprio Ragghianti avesse auspicato
“una edizione, o almeno una ricognizione critica intelligente e completa del vastissimo materiale di appunti e note manoscritte lasciate dal Cavalcaselle”[11].
Su questo filone, quasi a riprendere alla lettera l’invito dello studioso toscano, si inserisce a pieno titolo l’accurato studio di Cristina Galassi (L’occhio del conoscitore – Le ricognizioni di Cavalcaselle e le opere della Galleria Nazionale dell’Umbria nel taccuino XI della Biblioteca Marciana, Aguaplano, Perugia 2023), un corposo volume di quasi cinquecento pagine che completa, per il momento, le indagini avviate dalla studiosa tre decenni or sono[12]. Il volume sembra davvero inaugurare, come già osservato[13], un moderno metodo di indagine sui testi manoscritti dello studioso di Legnago, concentrandosi su un solo taccuino (it.IV 2036 (= 12277, nr. XI) e all’interno di questo sulle opere che in seguito all’Unità d’Italia e al lungo dibattito sul destino dei beni ecclesiastici – di cui l’autrice riesamina minuziosamente le vicende nel capitolo introduttivo – sarebbero poi confluite per percorsi diversi nelle collezioni della Galleria Nazionale dell’Umbria, nata nel 1863 come Civica Pinacoteca Vannucci, trasferita nel 1879 nella sede di Palazzo dei Priori e infine strutturata come museo statale dopo la prima guerra mondiale (fig.1)[14].

Non solo: anche il periodo storico è circoscritto, fissandosi – per i dipinti trattati in questo libro – tra l’autunno del 1858 e l’estate del 1860, con la concreta possibilità che una parte rilevante dei disegni sia da riferire ai soli ultimi mesi del 1858.
A questa data, Cavalcaselle era tornato in Italia da poco più di un anno. Per un lungo periodo era stato esule in Inghilterra, dove aveva stabilito diversi contatti – soprattutto con Charles Lock Eastlake, che nel 1855 sarebbe diventato il primo direttore della National Gallery di Londra – senza smettere di viaggiare alla ricerca di opere d’arte[15]. Nasce l’idea di realizzare una edizione critica delle Vite di Giorgio Vasari (che poi non riuscirà a prendere corpo), affidando a Cavalcaselle il compito di perlustrare i luoghi italiani. I suoi committenti si adoperano per fargli ottenere il passaporto, anzi i passaporti, e per finanziare il suo viaggio. Il rientro in Italia si può collocare dunque nell’agosto del 1857: riprendono così le sue peregrinazioni (di cui la moderna agiografia sembra a volte accentuare i caratteri di povertà), che includono anche un viaggio di circa tre settimane tra Umbria e Marche proprio con Eastlake nel settembre 1858, che riguarda però soprattutto luoghi marchigiani.
Dopo lo scritto introduttivo di cui si è già fatto cenno, il libro prosegue con tre parti distinte: il commento individuale (di fatto una scheda) delle opere prese in esame, con l’indicazione delle correnti attribuzioni, talvolta diverse da quelle proposte da Cavalcaselle; il raffronto fotografico tra i dipinti e i rispettivi fogli del taccuino, numerando all’interno dei disegni ogni annotazione (fig.2), di cui si offre la trascrizione nella pagina di fronte; le riproduzioni integrali dei fogli del taccuino presi in esame, seguendo la numerazione attuale.

Il volume è completato dalla bibliografia, dove si apprezza l’uso di citare per esteso il nome proprio di autrici e autori (chi scrive “lotta” da anni, con risultati oscillanti, su questo punto), anche se non si condivide – è solo un minuscolo dissenso – la scelta di affidarsi all’ordine alfabetico e di elencare i contributi, all’interno dei singoli nomi, secondo le iniziali dei titoli e non per ordine di data.
Certamente la sezione più rilevante è la terza: la minuziosa trascrizione di ogni annotazione di Cavalcaselle (dovuta a Chiara Cruciani, mentre la grafica innovativa spetta all’editore, Raffaele Marciano, a cui va un plauso per la qualità delle immagini) si rivela fondamentale per farci passare dal solo godimento pseudo-estetico di fronte ai disegni alla comprensione piena. La grafia di Cavalcaselle è complicata, ai limiti della leggibilità (o della disperazione) (fig. 3): i suoi sono appunti di lavoro stesi in fretta di fronte alle opere, talvolta in seguito ripassati, rimaneggiati e rimontati dall’autore, insomma autentici “palinsesti” (Mazzaferro).

Non sono disegni da scorrere in fretta, sono fogli su cui è nata la capacità di osservare le opere d’arte per quello che sono, magistrali documenti visivi. Li si ripercorre – ed è possibile riuscirci solo grazie ad una accorta “messa in chiaro” degli appunti, come quella presentata nel libro – per ricordarsi che il primo compito di chi voglia studiare un’opera d’arte è quello (così banale, così difficile) di usare gli occhi (fig.4).

A questo punto si suggerisce di affrontare il libro tornando indietro, nel senso materiale del termine. La divisione in parti distinte consente infatti, dopo avere letto con attenzione il volume, di farlo una seconda volta, ma invertendo l’ordine delle sezioni. Si parte in tal modo dalle immagini “pure” del taccuino di Cavalcaselle (fig. 5), per rivederle poi con l’ausilio indispensabile delle annotazioni trascritte (fig.6) e per confrontarle con le riproduzioni dei dipinti.


Si passa quindi alla sezione con il commento alle singole opere per approdare infine al testo in cui l’autrice affronta sia la singola vicenda del taccuino XI sia la variegata e talora contraddittoria storia della formazione delle raccolte museali nell’Umbria post-unitaria, che vide, proprio all’inizio, la partecipazione in prima persona dello stesso Cavalcaselle (fig.7).

Era stato lui, insieme a Giovanni Morelli, un altro e ben diverso nume tutelare dei “conoscitori” (i due non potevano amarsi), a essere incaricato da Francesco de Sanctis, all’epoca ministro dell’Istruzione, di redigere un elenco completo delle opere d’arte delle Marche e dell’Umbria, destinato a essere pubblicato solo molto più tardi grazie ad Adolfo Venturi[16]. La vicenda della nascita dei musei umbri, che Cristina Galassi delinea con puntuali informazioni, è purtroppo anche la storia di dispersioni e di improvvide vendite, soprattutto – come ricorda la studiosa – di opere del patrimonio c.d. “minore”, di cui lo stesso Cavalcaselle parla nella memoria rivolta al ministro dell’Istruzione Carlo Matteucci nel 1863, dove cita esplicitamente il caso del “patrono” – ovvero di chi possedeva i diritti sulle “cappelle di giuspatronato delle chiese dei soppressi conventi e delle corporazioni religiose – che “non tarderà a piegarsi alle lucrose richieste che ne fanno gli stranieri”[17]. Forse nemmeno lo studioso veneto era immune da qualche peccatuccio[18], ma aveva senza dubbio ragione.
Sergio GUARINO Roma 1 Giugno 2025
NOTE