Vero o Falso ? Il “Leonardo americano”, tra antiquari, specialisti e giudici: un caso di scuola (per aprire gli occhi)

di Mario URSINO

Joseph Duveen, Bernard Berenson, La belle Ferronière, o “Il Leonardo americano”

Dato che quest’anno non si fa altro, tra gli argomenti commemorativi culturali, che parlare del genio del Vinci, in una polemica vana tra primato francese e italiano in fatto di iniziative a questo scopo, ritorno sull’argomento a proposito della grande indignazione suscitata sulla stampa dalla chiusura il primo maggio del Cenacolo in Santa Maria delle Grazie a Milano (ma scusate, signori indignati, così pronti a criticare, perché non vi siete informati, quando nei giorni precedenti avete scritto paginate elogiative su Leonardo, Cenacoli e Gioconde, se i responsabili della conservazione di quel lacerto di pittura dell’ Ultima Cena, il primo maggio, sarebbero stati al loro posto?).

 Mi scuso con i lettori per questa premessa, leggermente fuori tema, ma è sintomatica di un giornalismo abituale che preferisce colpire con la sensazione il pubblico (a scapito di utili informazioni), piuttosto che domandare preventivamente alle pubbliche istituzioni se tutto fosse pronto per celebrare degnamente il grande evento commemorativo. Tuttavia, tanto per aggiustare le cose, si è enfatizzata sui media la missione in Francia del nostro presidente della Repubblica in visita a quello francese, per recarsi ad Amboise sulla presunta tomba dell’ “artista italiano più famoso del mondo” (e dai con questi luoghi comuni!), e così si sono salvati capra e cavoli. Il fatto è che i francesi hanno già annunciato la mostra ufficiale che si terrà al Louvre dal 24 ottobre 2019 al 24 febbraio 2020, con il titolo, naturalmente francesizzato, Léonard de Vinci (!), di cui hanno già diffuso il poster propagandistico (che, per una involontaria coincidenza, raffigura proprio il ritratto de La Belle Ferronière, oggetto di questa mia modesta nota, fig. 1). Devo anche segnalare il recentissimo volume apparso in Francia nel marzo u.s. di una ricercatrice dell’Università di Liegi, Laure Fragnart, Léonard de Vinci à la cour de France, Rennes 2019 [fig. 2], purtroppo non ancora disponibile in Italia.

E non è la prima volta che i nostri cugini d’oltralpe assimilano nella loro cultura il nostro genio italiano.

Difatti fu il re di Francia Luigi XII (1462-1515) ad acquistare il bel ritratto di cui sopra, e pare che il sovrano stesso abbia incontrato Leonardo a Milano, tra l’ottobre e il novembre del 1499; non solo, ma secondo quanto riporta Paolo Giovio nella Vita di Leonardo del 1527, addirittura il sovrano sarebbe arrivato al punto di chiedere il distacco del Cenacolo da Santa Maria delle Grazie, per portarselo in Francia ! E ancora, secondo le parole del Vasari, fu Francesco I (1494-1547) ad abbracciare Leonardo morente: “… spirò in braccio a quel re nella età sua di anni settantacinque”. A parte l’errore di datazione sull’età della morte dell’artista, avvenuta quando il genio aveva sessantasette anni e non settantacinque, come scrive il noto biografo, il quale riporta fantasiosamente la circostanza della morte di Leonardo, poiché secondo notizie degli studiosi, Francesco I non poteva essere presente ad Amboise nell’ottobre del 1519.

Ma i francesi ci credono (o fanno finta di crederci)

fig 3

a tal punto da aver ispirato al grande pittore Jean-Auguste-Dominique Ingres (che cito regolarmente in francese) per il famoso dipinto La morte di Leonardo, 1818, al Musée des Beaux-Arts de la Ville de Paris, Petit-Palais [fig. 3]. E tutto questo per i soli tre anni che il nostro artista ha trascorso in Francia! Lo storico inglese, John Brewer, nel suo Ritratto di Dama, del 2009, scrive opportunamente al riguardo:

Il moderno culto di Leonardo decollò nella seconda metà del Diciannovesimo secolo, fomentato dai critici francesi. Per Jules Michelet, lo storico progressista [… ] Leonardo fu una figura centrale […] che riassumeva in sé tutto il passato, e anticipava il futuro […]. Michelet spingeva i suoi lettori a recarsi al Louvre e confrontare l’insipidità medioevale di Fra’ Angelico con il modernismo rinascimentale del Da Vinci” (p. 93)

(cfr. anche, A.C. Quintavalle, Così Leonardo diventa francese, Corriere della Sera, 22 dicembre 2009 e F. Battistini, Formidabili quei tre anni, in Leonardo, supplemento Corriere della Sera, 6 maggio 2019).

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E, a proposito di casi clamorosi seguiti dalla stampa,

mi è tornato alla mente l’episodio storico, ancora poco noto ai più, e che qui vorrei ricordare, relativo della scoperta in America, nel 1919, quindi cento anni fa (simbolica e casuale la coincidenza col 1519, anno della scomparsa di Leonardo), di un ritratto in tutto simile a quello famoso del Louvre presumibilmente dipinto negli anni del primo soggiorno a Milano di Leonardo, come altri due famosi suoi dipinti, il Ritratto di Musico 1485, della Pinacoteca Ambrosiana, Milano [fig. 4] e la Dama con l’Ermellino 1488-1490, Museo Nazionale di Cracovia [fig. 5]: si tratta del noto Ritratto di Dama, detto anche la Belle Ferronière, 1490-1495, del Louvre  [fig. 6], che affascina, a mio avviso, molto più della Gioconda (cosa che ho già detto nel mio precedente articolo su questa rivista cfr ).

Il Ritratto di Dama, sarebbe probabilmente l’effige di una giovane amante di Ludovico il Moro, Lucrezia Crivelli (1452-1508), dama di compagnia della moglie del Moro; molte altre ipotesi sono state fatte, sia sull’autografia, che pochi attribuiscono a Leonardo, mentre sono molti quelli che propendono per gli aiuti della sua bottega, principalmente per Giovanni Antonio Boltraffio (1467-1516), il più leonardesco dei leonardeschi (cfr. Angela Ottino della Chiesa, in cat. Leonardo, 1967, n. 28), ma al Louvre ovviamente si tende ad escluderlo, sia sull’identità della donna, per la quale sono stati fatti i nomi di Cecilia Gallerani, di Beatrice d’Este o sua sorella Isabella, o ancora di Elisabetta Gonzaga; ma insomma, come per la Gioconda, non si sa con sicurezza chi la bella dama effettivamente sia!

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fig 7

Ma tornando alla scoperta dell’inizio del XX secolo che ha suscitato persino il buon libro sopra citato dello storico inglese John Brewer, Ritratto di Dama. Il dipinto conteso di Leonardo, Milano 2009 [fig. 7], avente per l’appunto ad oggetto il dipinto del cosiddetto “Leonardo americano” [fig. 8];

vale quindi la pena di ricordare la storia dell’opera che ha coinvolto, in una lunga vicenda giudiziaria, due grandi protagonisti che hanno inciso con i loro giudizi, e condizionato fortemente il mercato internazionale delle opere d’arte nella prima metà del Novecento.

fig 8

Essi sono il famoso mercante inglese, Sir Joseph Duveen (1869-1939), poi Lord Duveen, detto “Il re degli antiquari” [fig. 9] (Beherman, 1952), e il grande storico dell’arte, esteta e sovrano della connoisseurship, Bernard Berenson (1865-1959) [fig. 10], di cui proprio quest’anno cade il sessantesimo dalla sua scomparsa.

Il dipinto Ritratto di Dama ritrovato in America, come si è detto, è molto simile alla Belle Ferronnière  del Louvre; una giovane coppia, Andrée e Harry Hahn di Kansas City, lo ebbero, a loro dire, in dono per le nozze da una zia di lei, una nobildonna francese Louise de Montaut, che disse loro trattarsi di un’opera autentica di Leonardo, ereditata da suoi avi (cfr. Brewer, op. cit., 2009, pp. 126-129). I due giovani tentarono di metterlo in vendita al Kansas City Art Institut per 250.000 dollari, ma l’alienazione dell’opera non andò a buon fine per il parere negativo di  Joseph Duveen, il più autorevole mercante d’arte dell’epoca, che espresse il proprio giudizio solo sulla base di una foto e senza prendere visione dell’originale. Proprio per questo motivo nel novembre del 1921 i due coniugi intentarono causa al Duveen, con la richiesta di un risarcimento di cinquemila dollari, per aver dichiarato il quadro falso.

Il legale dei coniugi Hahn sosteneva invece di avere prove storiche e scientifiche a favore dell’autografia leonardesca.

Di conseguenza, ne deriverà  un lunghissimo processo, destinato a occupare per anni le prime pagine dei giornali. Ma i dubbi sull’origine del quadro rimangono. Ancora oggi giornalisti, mercanti e studiosi si domandano se il Ritratto di dama d’oltreoceano sia una copia di bottega, un falso o addirittura il vero originale di Leonardo. E lo storico dell’arte britannico John Brewer ripercorre, come in un story-telling, la vicenda di quest’opera molto discussa, che ha appassionato inizialmente l’America dagli anni Venti, e per tutto il resto del Novecento e ha, in un certo senso, messo in discussione i metodi stessi di attribuzione della critica e del mercato degli Old Masters, proficuamente esercitato tra Europa e America dai protagonisti di cui sopra. Perché è stata proprio questa vicenda ad aprire il dibattito che ha scardinato (o messo in dubbio) l’autorevolezza degli esperti e il loro ruolo decisivo nella determinazione delle quotazioni di mercato delle opere d’arte degli antichi maestri, soprattutto italiani, dal Duecento al Seicento, avidamente richiesti da ricchi collezionisti, come la Frick Collection di New York o l’Isabella Stewart Gardner Museum di Boston, e i nascenti musei americani, come la National Gallery di Washington e il Met di New York.  Ma in quegli anni il parere di conoscitori del livello di Berenson era incontrovertibile, e pertanto Duveen, per organizzare la propria difesa, chiamò appunto in causa B.B., come era ormai universalmente noto lo studioso, autore del celebre I pittori italiani del Rinascimento, il quale risiedeva regalmente da molti in Italia, in Toscana, nella lussuosa e confortevole Villa I Tatti, sulla collina di Settignano [fig. 11], dove “… si andava  come si va a corte …”, come ha scritto in diverse occasioni, Alvar Gonzàlez-Palcios.

fig 11

Va detto che Berenson era stato socio in affari con Duveen dai primi del Novecento* e per trent’anni

(anche se lo studioso cercava invano di tenerlo nascosto), e dichiarò, anch’egli su fotografia, che “Il ritratto di dama americano è un’evidente copia dell’originale del Louvre”. Altri illustri studiosi, tra gli italiani più noti (Adolfo Venturi) e tra gli stranieri (Wilhelm von Bode, Kenneth Clark), consultati da Duveen, concordarono con il giudizio di Berenson. I legali di Andrée e Harry Hahn però non si arresero, ribadendo che i pareri formulati erano stati espressi tutti su fotografia. Si dovette perciò operare un confronto diretto a Parigi con il dipinto del Louvre. Ciò avvenne il 13 settembre del 1923, ma Berenson non era presente: era andato a vederlo da solo, e prima degli altri studiosi. La stampa allertata protestò vivamente perché non erano stati ammessi alla presenza del fatidico confronto. Duveen ne uscì temporaneamente vincente.

fig 12

Tuttavia dopo alcuni anni il grande antiquario si trovò ancora una volta in tribunale: nonostante il confronto tra le due opere fosse stato sfavorevole per il dipinto dei coniugi Hahn, essi [fig. 12], con l’assistenza di nuovi legali, riuscirono ad intentare un ulteriore procedimento giudiziario nei confronti di Duveen. Il processo fu celebrato innanzi alla Corte Suprema di New York il 6 febbraio del 1929, questa volta alla presenza di numerosi giornalisti durante le varie sedute del dibattimento. Duveen si difese, come al solito, sottolineando il prestigio della sua autorità in materia, e col supporto dei pareri dei suoi famosi consulenti, in primis quello di Bernard Berenson. A questo punto, il legale degli Hahn, oltre ad insistere sulle superficiali modalità delle attribuzioni su fotografia, rivelò, con colpo di teatro, che il famoso studioso B.B., era socio in affari con Duveen, percependo il 25 per cento sul valore dei quadri da lui attribuiti, e che l’antiquario inglese vendeva a cifre altissime ai ricchi collezionisti americani.

Ciò suscitò enorme scalpore, e mise in evidente difficoltà la difesa Duveen.

A questa improvvisa sfavorevole situazione, si aggiunsero le prove delle indagini scientifiche radiografiche sulla pittura e sulla tela del ritratto che risultava antica, e sicuramente anteriore al 1750, smentendo le affermazioni del Duveen e dei suoi esperti che il dipinto era una copia relativamente moderna del quadro del Louvre.

Duveen così perse la causa, e dovette sborsare 60 mila dollari ai signori Hahn, avendo impedito la vendita dell’opera dieci anni prima, come detto più sopra. Fatto sta che comunque, a seguito di questa lunga e tormentata vicenda giudiziaria, narrata fin troppo dettagliatamente dal Brewer (cfr. op. cit., pp. 126-165), i proprietari non riuscirono a vendere il loro dipinto in America, né altrove. Non è escluso che fu la grande influenza esercitata da Duveen sul mercato internazionale, che si svolgeva, allora come oggi, tra New York, Londra e Parigi, ad impedire la vendita de Il Ritratto di Dama, “americano”, come è stato definito dalla stampa. Tuttavia Harry Hahn, confortato dal parziale risarcimento, decise di raccontare tutta la storia della lunga vicenda giudiziaria basandosi sugli atti del processo e sui pareri a lui favorevoli sull’autenticità e sull’antichità del dipinto dando alle stampe il suo libro The Rape of the Belle, 1946 [fig. 13], pubblicato con un amico editore, Frank Glenn e con l’introduzione del noto pittore regionalista americano Thomas Hart Benton.

Il libro ebbe un momentaneo successo nel Midwest e non a New York, ma fu l’occasione per Hahn per promuovere un tour in diverse città americane (Los Angeles [fig. 14], San Francisco, Dallas, Houston) per vendere il libro ed esibire il dipinto, nella speranza di trovare un compratore. Hahn e Glenn si recarono anche ad Hollywood per proporre una sceneggiatura sulla storia della Belle Ferronière, ma senza riuscire nel loro intento. Successivamente, tra gli anni Settanta-Ottanta, Andrée, insieme alla figlia Jacqueline, affidarono il dipinto ad un intermediario, tale Leon Loucks, che in seguitò si associò ad un avvocato svizzero, Jack Chapman, e che si impegnarono a vendere il quadro; in effetti le due donne caddero nelle mani di due faccendieri; ma, alla morte di Loucks, il Chapman si appropriò del dipinto ed ancora una volta la Belle Ferronière si trovò al centro di una causa questa volta tra Jacqueline e Chapman che si concluse nel 2008 con un accordo tra i due, ed il quadro rimase a Chapman (cfr. Brewer, p. 338). Nel 2009, come riportato nella scheda di vendita di Sotheby’s, New York, il dipinto tornò agli eredi di Andrée e Harry Hahn.

Il  28 gennaio 2010  fu aggiudicato per 1,5 milioni di dollari, su una base d’asta che oscillava tra 300.000 e 500.000 dollari, ad un acquirente rimasto anonimo

(cfr. cat. Sotheby’s, lotto n. 181, Follower of Leonardo Da Vinci, probaly before 1750).**

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Come considerare tutta questa storia durata un secolo, e che ha per protagonista un antico dipinto?

Una delle singolarità è che la vicenda è stata condotta dall’accanimento di attori sconosciuti al mondo dell’arte, sia per censo, sia per l’estraneità agli studi di storia dell’arte. Indubbiamente l’idea dell’arricchimento, per il possesso di un’opera sicuramente assai bella e antica, anche secondo la percezione delle persone prive di qualsiasi preparazione in materia, è stato uno dei motivi di un tale lungo contenzioso.

Ma ciò che dovette alimentare lo strenuo perseguimento di veder riconosciuto il valore del famoso dipinto da parte dei proprietari dell’opera fu certamente l’interesse della stampa americana ed europea, che portò alla ribalta due persone qualsiasi [fig. 15] che si permettevano di attaccare l’esclusiva élite dell’arte e della società altolocata, supponente e arrogante, che Harry Hahn, identificava soprattutto nella persona di Joseph Duveen, oggetto della veemente requisitoria nel pamphlet sopra citato, The rape of the Belle, che alimentò un latente inconscio protagonismo da parte di una persona destinata a rimanere nel comune anonimato.

Non è forse questo un esempio ante litteram del contemporaneo desiderio di ogni individuo che pretende il suo “quarto d’ora di notorietà”,

secondo la nota profezia warholiana, di cui gli attuali mezzi di comunicazione di massa (TV e social) ne sono gli strumenti operativi? E difatti della storia dei signori Hahn ci stiamo anche noi occupando a distanza di un secolo. L’altro elemento, non meno importante, consiste nel fatto che un dipinto antico, considerato una copia qualunque e destinato all’anonimato come i suoi proprietari, rifiutato dai musei minori e maggiori, per effetto del perdurante giudizio sprezzante di molti degli studiosi e degli esperti protagonisti della lunga vicenda giudiziaria narrata, ha ottenuto una supervalutazione dall’anonimo acquirente che ha sborsato un milione e mezzo di dollari nella gara per assicurarsi l’opera, a fronte di una base d’asta di tre-cinquecentomila dollari stimati dagli esperti di Sotheby’s. Come spiegare questo mistero, se non con il fascino che comunque esercita la qualità del dipinto e l’idea insinuata da Harry Hahn nel suo libro che il “Leonardo americano” sia addirittura antecedente a quello del Louvre, essendo stato sottratto durante la Rivoluzione alla collezione reale (come riportato anche dalla scheda di Sotheby’s)*** da un ufficiale francese, e che infine pervenne, dopo diversi passaggi di proprietà, ai supposti antenati della consorte Andrée, e quindi sarebbe da considerare l’autentico originale del vinciano.

Sarà per questo che i signori francesi hanno furbescamente voluto usare La Belle Ferronière, quale emblema per celebrare il cinquecentenario?

Tanto ormai la Gioconda la conoscono tutti; solo noi, invece, continuiamo a baloccarci con l’immarcescibile Gioconda; persino il Corrierone, con le sue serie monotematiche suntuarie e divulgative, per evidenti ragioni di marketing, oggi, 10 maggio 2019, offre (l’ennesimo) libro su La Gioconda, “al prezzo di 9,90 più il costo del quotidiano”(testuale). Non se ne può più!

Mario URSINO   Roma  maggio 2019

*Per i rapporti Duveen-Berenson, si veda: S.N. Beherman, Duveen. Il re degli antiquari, Sellerio, 2006, pp. 119-151; cfr. anche Daniel Wildenstein, Yves Sravidès, Marchands d’Art, Torino 2001, pp. 54-55
**inscribed on the reverse M Hacquin (Paintings Restorer to the King of France);inscribed on the reverse Georges Sortai soil on canvas, unframed
***Said to be in the French Royal Collections, from which it was supposedly removed and sold during the Revolution by August Cheval de Saint-Hubert and purchased by General Louis Tourton, 1796; Comte de Betz, before 1847; His sale, 1847, where acquired by Antoine Vincent (“Tableaux à M. Vincent vendu après la Collection du Comte de Betz provenant du General Tourton, Leonard da Vinci et Claude Lorrain.”);  By descent in the family to his grand-daughter, Louise de Montaut; By whom given to Andrée Lardoux and her husband Harry Hahn, Kansas City, by 1920; With Leon Loucks, 1975; Returned to the heirs of Andrée and Harry Hahn, 2009.