I Virtuosi al Pantheon nell’Ottocento tra Arte, Fede, Ideologia. Un rinnovamento identitario

di Vitaliano TIBERIA

I VIRTUOSI AL PANTHEON NELL’OTTOCENTO. ARTE, FEDE, IDEOLOGIA, ESTREMI CHE SI SFIORANO. RINNOVAMENTO IDENTITARIO

Nel Giubileo della Speranza di pace

Fig. 1, Pio IX, a 54 anni, dopo l’elezione a papa nel 1846

Il fervore dei mutamenti politici nel XIX secolo determinato da contrapposizioni ideologiche, politiche, religiose, non poteva non coinvolgere la Congregazione dei Virtuosi al Pantheon, un Sodalizio di architetti, pittori, scultori, musicisti nato nel 1542 per praticare le virtù della fede cattolica. In particolare, fra il periodo napoleonico e la morte di Pio IX (1878) (fig. 1) la Congregazione del Pantheon, pur mantenendosi fedele al papa che ne approvò le decisioni, si orientò nella scelta di nuovi soci anche verso figure dai trascorsi morali burrascosi, verso liberali quanto a fede politica, nonché verso affiliati a logge massoniche e dunque dichiaratamente anticlericali.

Come vedremo, non si trattò di radicali mutamenti di indirizzo da parte di un’associazione cattolica romana, per di più sotto l’egida del papa, ma di iniziative collegabili alla fervida temperie del momento, in cui, di fronte a nuovi e dinamici scenari socio-politici e culturali, le certezze temporali consolidate dalla tradizione vacillavano in ambito cattolico pur senza contraddire il fondamento sacramentale della riconciliazione.

Appare così esemplare il caso del conte Giuseppe Pasolini dall’Onda, di fede liberale e anche di famiglia tradizionalmente napoleonica. Questi, pur essendo stato nominato da Pio IX Ministro del Commercio, Agricoltura, Industria e Belle Arti il 21 gennaio 1848, essendo Cardinale Segretario di Stato Giuseppe Bofondi, si dimise dall’importante incarico dopo un mese e mezzo, il 9 marzo, insieme a Marco Minghetti cui era legato d’amicizia, in polemica con il papa che non aveva voluto contrapporsi all’Austria, la potenza cattolica fedele alla Santa Sede ma anche spietata nella repressione delle istanze patriottiche per l’indipendenza dell’Italia. Il Bofondi, sacerdote gentile e tollerante verso i liberali, fu congedato dal papa e forse non se ne adontò, probabilmente consapevole delle gravi difficoltà che si profilavano sull’agitato orizzonte dello Stato Pontificio; come spesso avviene in politica, pagò le sue aperture alle novità con la destituzione dal suo incarico.

La carica di Segretario di Stato fu affidata al più esperto e disincantato cardinale Giacomo Antonelli, un grande conservatore dotato di spiccate doti diplomatiche ed anche della energia politica necessaria in quei drammatici momenti, fedelissimo di Pio IX durante l’esilio a Gaeta nel 1848-49 e sempre convinto sostenitore del primato del papa e delle prerogative pertinenti il suo potere temporale.

Tornando alle vicende dei Virtuosi al Pantheon, rileviamo che le nuove cooptazioni ottocentesche, discutibili per alcuni dal punto di vista religioso e ideologico, non furono estemporanei episodi di “apertura” autorizzati dalla Santa Sede nei confronti delle idee politiche di artisti “progressisti” accolti fra i soci d’Onore del Pantheon; le ragioni scaturivano da un travaglio più profondo e talora anche dall’interno del mondo ecclesiastico, perché quelle cooptazioni riguardarono anche sacerdoti e filosofi di tutto rispetto, come il torinese Vincenzo Gioberti e il trentino Antonio Rosmini Serbati, che nel nostro tempo  potrebbero essere facilmente definiti progressisti, innovatori o postconciliari: il primo cooptato l’11 giugno 1848, l’altro, presentato dal Reggente Perpetuo Giuseppe De Fabris e accolto  il 19 novembre di quello stesso anno.

Soprattutto il primo fu attivo nella politica parlamentare fino alla disfatta delle armi italiane a Novara (1849), sbaragliate dal maresciallo Radetzky, e al ritiro in esilio volontario a Parigi dove morì nel 1852. Sul fronte laico, a quelle due illustri personalità va aggiunto, anch’egli accolto fra i Virtuosi al Pantheon nel 1848, il 9 maggio, il conte pesarese Terenzio Mamiani Della Rovere, convinto anticlericale e intrinseco dei Circoli Carbonari, ma estraneo, come ebbe a dire egli stesso, «alle stramberie dei socialisti moderni», anche se, come il Gioberti, sostenitore della necessità dell’educazione del popolo ma in chiave neoghibellina e non in senso neoguelfo come pensava il sacerdote torinese.

2 F.S. Kanievski, Gregorio XVI

Per di più, parecchi anni prima, nel 1831, proprio nell’anno dell’elezione di Gregorio XVI (fig. 2), Mamiani si era distinto come fervente animatore delle insurrezioni antipontificie nelle Romagne conclusesi con la sconfitta degli insorti nella battaglia delle Celle (25 marzo 1831) a Rimini. Il Mamiani, con la vivace mobilità che spesso distingue gli intellettuali, fu personalità di spicco, dotato di moderazione e di realismo, sia al servizio di Pio IX, che gli affidò il Dicastero degli Esteri dopo l’assassinio di Pellegrino Rossi, sia del Regno d’Italia, di cui fu anche autorevole senatore e ministro con Cavour Presidente del Consiglio.

Potrebbe sembrare dunque arduo spiegare le presenze “anomale” fra i Virtuosi di queste illustri personalità della politica e della cultura, a meno che non le si consideri alla luce dell’incontro sul terreno del comune apprezzamento religioso e umanistico per la carità e la riconciliazione da parte dei cattolici e per la filantropia e la libertà di pensiero da parte laica. Più in concreto, come vedremo, nella Santa Sede dovette esserci un disegno politico-diplomatico di mediazione attraverso l’arte e la cultura, che proprio i Sodali del Pantheon avrebbero potuto rendere credibile; il fine era di ottenere la captatio benevolentiae di più soggetti rilevanti della vita pubblica internazionale, in tempi in cui appariva ormai chiaro quale sarebbe stato il destino dello Stato Pontificio se la potenza austriaca avesse ceduto davanti all’ideologia liberale e alle istanze dei rivoluzionari.

In tal senso, a partire dal IV decennio dell’Ottocento diverse cooptazioni “particolari” confermano la volontà per così dire diplomaticamente aperturistica del primo artefice di questo indirizzo fra i Virtuosi, il loro Reggente, lo scultore Giuseppe De Fabris (fig. 3), il quale ovviamente agì d’intesa e con senso di responsabilità nei confronti delle gerarchie vaticane, in particolare con Gregorio XVI (1831-1846), suo conterraneo e Virtuoso d’onore dal 17 maggio 1838[1]. Anche perché De Fabris, pur facendosi interprete fedele delle visioni di realpolitik della Curia pontificia, che faceva i conti con le nuove istanze della politica internazionale, era in realtà un conservatore poco incline alle idee liberali. Lo dimostra il verbale dell’Adunanza di Consiglio dei Virtuosi del 29 agosto 1860 redatto dopo che De Fabris era appena deceduto. In quel documento, si legge dell’organizzazione di ulteriori onoranze funebri per il benemerito Reggente Perpetuo e si ricorda l’attribuzione a lui concessa di quella carica speciale che avevano avuto il fondatore dei Virtuosi al Pantheon, Desiderio d’Adiutorio(fig. 4), quindi i potenti Federico Zuccari e Antonio Canova; a De Fabris la carica di Reggente Perpetuo fu attribuita dopo l’episodio della ricognizione da lui promossa del sepolcro di Raffaello nel Pantheon.

3, G. De Fabris, Autoritratto
4, F. Terzi (attr.), Desiderio d’Adiutorio

Ma da quel verbale apprendiamo anche che erede universale era stata da lui nominata la chiesa parrocchiale di Nove sua città natale in provincia di Vicenza e che la sua eredità si sarebbe dovuta utilizzare per la fondazione di una scuola, per l’istituzione di premi artistici e, seguendo un’attività tradizionale dei Virtuosi, per la costituzione di doti per giovani nubili di famiglie non abbienti formate con lasciti di benefattori. Tuttavia, lo scultore inseriva una clausola, per cui, se nel comune di Nove fossero prevalse le idee liberali, la sua eredità sarebbe stata trasferita alla Congregazione dei Virtuosi al Pantheon, con l’obbligo di far crescere da 25 a 75 zecchini il valore della medaglia del Concorso Gregoriano[2] per giovani artisti, cosiddetto perché era stato istituito da Gregorio XVI. Quanto all’ammontare delle doti, il testatore precisava che

«sarebbero dovute essere di trenta scudi ciascuna: due a ragazze appartenenti alla sua famiglia e quattro a parenti di congregati del Pantheon oltre a compensi pecuniari ai confratelli e alcuni premi ai frequentatori più assidui».[3]

Dunque, De Fabris, senza rinunziare alle proprie convinzioni politiche, ma consapevole dell’instabilità politica del momento, accettava per dovere d’ufficio verso le gerarchie ecclesiastiche le nomine a Virtuosi di liberali, carbonari e massoni. Alla luce degli sviluppi successivi, il suo aver evitato arroccamenti ideologici si rivelò utile sul piano pratico, perché anche dieci anni dopo la sua morte (1860) consentì alla Congregazione di limitare i contraccolpi intervenuti dopo il 1870 nel passaggio di Roma dallo Stato Pontificio al Regno d’Italia. E testimonia esemplarmente l’utilità dell’equilibrata Reggenza De Fabris anche nel nuovo Regno d’Italia proprio il mantenimento da parte dei Virtuosi della sede nell’attico del Pantheon; questa era stata concessa loro, nonostante l’opposizione dei Canonici di S. Maria ad Martyres, dal cardinale Agostino Rivarola, nominato per  gratitudine Virtuoso d’onore il 28 aprile 1833, perché fosse la nuova sede dei concorsi artistici, in cui si sarebbe formata negli anni la galleria delle loro opere d’arte donate dai nuovi soci al momento del loro ingresso nel Sodalizio.

Va tuttavia precisato che l’eccessivo numero di cooptazioni nel Sodalizio di personaggi con pochi, se non assenti, crediti artistici e talora con scarsa osservanza della morale cattolica, avvenute durante la sua  Reggenza, scontentò più di un Virtuoso, tanto è vero che nel verbale dell’assemblea generale dei congregati del 2 gennaio 1851 fu registrato l’invito ad una maggiore selettività nello scegliere i nuovi soci, che sarebbero dovuti essere artisti e letterati di buon nome o, in caso di cooptazioni onorarie, mecenati di specchiata moralità; caratteristica quest’ultima, se vagliata alla luce della morale cattolica, piuttosto difficile da trovare nel mondo ottocentesco pienamente attraversato dal fervido e talvolta dinamicamente anticonformistico clima romantico, in cui l’incontro, l’addio, la fuga, i colpi di scena determinavano situazioni non troppo eccezionali.

Per l’argomento che stiamo trattando, questa sorta di incontro inaspettato nell’orbita pontificia fra possibilismo politico-culturale innovazionistico e assolutismo tradizionale si verificò perché, dopo l’epoca napoleonica, mentre si affermavano progressivamente in Europa gli ideali delle nazionalità, i papi perseguirono una politica sempre più centralistica e sovranazionale fondata sull’idea giurisdizionalistica del primato pontificio, l’ultramontanismo, ancora delineata sotto il profilo storicizzato dell’incontro fra trono e altare con primato di quest’ultimo; un profilo che sembrava potesse dare riscontri positivi sul piano politico se sostenuto da un’ abile diplomazia coadiuvata, pur nell’incontro di ideali e interessi diversi, dalla nobile mediazione dell’arte e della cultura. Insomma, non più ars gratia artis ma più utilitaristicamente (mi si passi l’espressione) ars ad rei publicae gerendae rationem et prudentiam. In altre parole, penso che i papi dell’Ottocento, soprattutto Gregorio XVI e Pio IX, vedessero nella Congregazione dei Virtuosi al Pantheon un significativo ausilio nelle relazioni internazionali con il fervido mondo della politica, degli intellettuali di area liberal-cattolica e addirittura con un noto appartenente alla Massoneria, di cui parleremo più avanti; e questo  proprio perché nelle aspettative della Curia romana i Virtuosi, cattolici esemplari, potevano nel crogiuolo ideale del miscére utile dulci rendere visibile all’occorrenza il bene attraverso le forme della bellezza artistica.

In una sorta di vichiano e allegorico “ricorso” storico all’arte come variante ideologicamente metatetica, a distanza di tre secoli dalla nascita dei Virtuosi nel 1542, la Chiesa era ancora una volta protagonista dell’uso dell’arte per motivi politici. Per quanto ci riguarda, l’aveva fatto dapprima Paolo III in piena Riforma cattolica, su sollecitazione del monaco Desiderio d’Adiutorio (vedi fig. 4). Papa Farnese, infatti chiamò degli artisti sotto la volta del Pantheon non per realizzare opere d’arte o per “fare accademia”, attività che invece, dal 1577 in virtù di un Breve di Gregorio XIII e ancor più dal 1593 con Federico Zuccari al vertice avrebbe svolto l’Accademia di San Luca, ma, in polemica con i Protestanti, per praticare la virtù della caritas christiana ad maiorem Dei gloriam, per di più nel segno di s. Giuseppe, simbolo per antonomasia dell’umiltà, cui infatti era stato emblematicamente dedicato il primo Sodalizio dei Virtuosi. La seconda volta fu nell’Ottocento, sempre in una situazione di frequenti e gravi crisi politiche, allorché i papi ricorsero ancora ai Virtuosi, vedendo nelle ragioni dell’arte un’eletta mediazione politico-diplomatica ed un forte richiamo alla riconciliazione.

Pertanto, guardando più nei particolari gli eventi in cui nel XIX secolo si svilupparono le ideologie laiche scaturite dall’Illuminismo e imposte momentaneamente e contraddittoriamente dall’avventura napoleonica, si può spiegare il fatto che i Papi, soprattutto dagli anni Trenta di quel secolo, vedessero nei Virtuosi al Pantheon, Istituzione estranea alle vicende politiche e alle dialettiche artistiche ma unitiva sul piano della morale cattolica, la possibilità di realizzare attraverso l’arte e la cultura il difficile incontro con altre coscienze, soprattutto quelle ormai diffuse di pensiero liberale. E credo che per raggiungere questo fine la scelta dei papi dell’Ottocento, ispiratasi, per così dire, al principio classico dell’unicuique suum, cadde sulla Congregazione giuseppina dei  Virtuosi anziché sull’Accademia di San Luca proprio perché i sodali del Pantheon, costituiti (1542/43) in piena Riforma cattolica cinquant’anni prima degli accademici lucani (1577), guidati da Federico Zuccari dal 1593, avevano come ragione sociale proprio l’esercizio delle virtù del cattolicesimo, in particolare la carità finalizzata alla riconciliazione; San Luca era invece l’Accademia con i fini pertinenti tale identità. Credo che per questo fatto, soprattutto partire dal IV decennio dell’Ottocento fra le file dei Virtuosi si potevano incontrare, nominati ad honorem, ministri, ambasciatori, dignitari delle corti europee, addirittura generali di eserciti di potenze diverse e talvolta contrapposte, come Gemeau, Oudinot e Radetzski; e perfino teste coronate, come, nel 1843, il re dei Francesi Luigi Filippo e l’appena ventenne imperatore Francesco Giuseppe I, acclamato Virtuoso d’onore il 2 gennaio 1851.

In tale contesto di aperture, meraviglia tuttavia la nomina fra i Virtuosi, che fors’anche oggi definiremmo anticonformistica, avvenuta il 9 dicembre 1862, della principessa ucraina Carolina Elzbieta Iwanowska. Scrittrice, saggista, consorte del principe Nicolaus zu Sayn Wittgenstein, ma anche amante dal 1848 di Franz Lizst, reduce a sua volta da una storia con la contessa Marie de Flavigny d’Agoult divorziata dal conte Charles Louis Constant d’Agoult, dalla quale Liszt aveva avuto tre figlie, la Iwanowska seguì Liszt a Roma e tentò anche di sposarlo, invano, perché il grande musicista prese l’abito talare nel 1865.

Accanto a queste nomine “particolari” nel periodo che stiamo esaminando furono cooptati fra i Virtuosi in una sorta di bilanciamento delle presenze anche parecchi ecclesiastici di fama, a ribadire il ruolo di guida ecumenica del papa e dei suoi collaboratori anche attraverso le forme apologetiche della bellezza artistica e la riflessione critica sull’evolversi del fervido pensiero filosofico contemporaneo rispetto alla tradizione del Cattolicesimo; un pensiero che, dopo il relativismo libertario di Kant, vedeva in Hegel un riferimento verso il sapere attraverso il contraddittorio dialettico.

Così, il 7 giugno 1833 divenne Virtuoso d’onore il primo vescovo di Charleston, John England, già Accademico d’onore di San Luca e «fondatore di una società letteraria in America».[4] Ricordo quindi, nominato Virtuoso per acclamazione il 12 ottobre 1850, il cardinale Nicholas Patrick Stephen Wiseman, arcivescovo di Westminster, animatore dei rapporti fra le chiese cattolica e anglicana e fra gli artefici della conversione di John Henry Newman, creato poi da Leone XIII cardinale del titolo di San Giorgio in Velabro e proclamato beato da Benedetto XVI il 19 settembre 2010. L’elenco dei porporati prosegue con il cardinale Francesco Tiberi, giurista e Prefetto del supremo Tribunale della Segnatura Apostolica dal 22 febbraio 1837, Virtuoso per acclamazione il 18 settembre 1838, insieme a monsignor Ignazio Giovanni Cadolini, arcivescovo di Edessa e poi creato cardinale da Pio IX nel 1843.[5] Il 15 febbraio 1839 fu la volta del cardinale Angelo Mai, celeberrimo filologo classico, pluriaccademico e onorato da Giacomo Leopardi con la famosa Canzone a lui dedicata. In precedenza, ancora sotto il pontificato di Gregorio XVI, nel 1833 c’era stato l’ingresso di tre porpore, anch’esse  proposte dal Reggente De Fabris: il monaco camaldolese Placido Zurla, interlocutore dei Virtuosi durante il grande evento della ricognizione del sepolcro di Raffaello nel Pantheon avvenuta in quello stesso anno, quindi il cardinale Camerlengo Pietro Francesco Galeffi; infine, il già ricordato cardinale Agostino Rivarola distintosi per la dura repressione dei moti carbonari nelle Romagne nel 1825, che l’anno dopo gli valse un attentato, per cui fu trasferito, per la sua sicurezza, a Roma, dove, nominato Diacono di Santa Maria ad Martyres, divenne protettore della Congregazione dei Virtuosi.

Accertato dunque soprattutto il significato politico-diplomatico delle ricordate “difficili” assunzioni fra i Virtuosi nell’arco dei primi sette decenni dell’Ottocento, altre cooptazioni di patrioti rivoluzionari avvenute subito dopo la fine del potere temporale dei papi confermano ormai una volontà prevalentemente riconciliatoria. Fra giugno, luglio e dicembre del 1871, furono infatti chiamati nella Congregazione dei Virtuosi pittori e scultori filomazziniani ed ex garibaldini. Proposti da Pietro Camporese come soci di merito corrispondenti, il 26 giugno entrarono nel Pantheon Pompeo Randi e Vitaliano Vitali, il 10 dicembre Eugenio Agneni. Randi era un ex combattente nella I guerra d’indipendenza; Vitali, fu condannato a vent’anni di carcere per la sua attività sovversiva da scontare nel carcere di Paliano; Eugenio Agneni, garibaldino, cooptato il 10 dicembre e tra i promotori della spedizione di Mentana [6], nel 1849 aveva fatto parte della Repubblica Romana, battendosi a Velletri e ricevendo l’elogio di Garibaldi. A Parigi, dove fu chiamato per affrescare alcune sale del Louvre, fu arrestato perché vicino a Felice Orsini, l’autore del fallito attentato a Napoleone III il 14 gennaio 1858, cui l’imperatore scampò ma che si risolse in una strage.

Ma anche due architetti ex rivoluzionari entrarono nella Congregazione del Pantheon: Giovanni Montiroli, che aveva fatto parte della Repubblica Romana del 1849, e l’ex garibaldino Giambattista Filippo Basile; Montiroli, il 21 febbraio 1869, addirittura un anno prima che Roma fosse conquistata dai bersaglieri, mentre Basile divenne Virtuoso di merito corrispondente parecchio tempo dopo, il 9 dicembre 1877. Confermano questo indirizzo della Congregazione dei Virtuosi privo di ermetiche chiusure ideologiche altre due nomine avvenute in pieno Regno d’Italia, il 12 novembre 1876, di due intellettuali meridionali ex allievi di Basilio Puoti, dichiaratamente di fede liberale e di solida statura morale: il deputato di sinistra Bruto Fabricatore e il sacerdote filoliberale Vito Fornari. A ben guardare, rileviamo che la pratica della riconciliazione, sostanziale per un Sodalizio cattolico, era già avvenuta molti anni prima dei fatti che raccontiamo. Si tratta di un caso clamoroso, quello dell’architetto Giuseppe Bàrberi, figura geniale quanto spregiudicata e per certi aspetti sfortunata sia nella professione che negli affetti familiari. Presente nei due Sodalizi pontifici dei Virtuosi al Pantheon dal 12 giugno 1785 e di San Luca dal successivo 22 luglio, Bàrberi scelse di far parte della Repubblica Romana del 1798, ricoprendo la carica di Edìle per nomina napoleonica, con Paolo Bargigli, Giuseppe Camporese e Andrea Vici; per dimostrare la sua fedeltà al nuovo regime, giunse al punto di distruggere pubblicamente il diploma pontificio con la sua nomina a cavaliere, scegliendo il suo nuovo nome di Tisifonte. Ma anche questa fede giacobina il Bàrberi la ritrattò per ottenere dopo la sua morte le esequie secondo il rito cattolico, che gli fu tributato dai Virtuosi unitamente agli Accademici di San Luca nella chiesa di S. Andrea delle Fratte nel dicembre 1809; dai verbali societari dei Congregati del Pantheon risulta che il 28 dicembre di quell’anno il reverendo Menichelli, che era stato il confessore del Bàrberi, consegnò al Reggente dei Virtuosi del tempo, il potente scultore e restauratore Vincenzo Pacetti, una copia della ritrattazione dell’abiura del Bàrberi. Il fatto dovette segnare la coscienza dei Virtuosi al punto che, ancora a distanza di nove anni, con Napoleone ormai prigioniero a Sant’Elena, si riparlò di quel fatto nella riunione societaria del 9 agosto 1818, essendo ancora Reggente Vincenzo Pacetti, che fece leggere (il Segretario Antonio Brunetti non ne dice i motivi) la «Ritrattazione di vera Religione della Nostra S. Fede fatta dal Defonto Cav.e Giuseppe Barberi», testo quindi depositato nell’archivio congregazionale.[7]

In questa vivace e internazionale galleria affollata da teste coronate, ecclesiastici, politici progressisti e conservatori, ex patrioti rivoluzionari e artisti moralmente spregiudicati, dagli anni Trenta dell’Ottocento fino alla fine del potere temporale di papi e oltre, spiccano diverse presenze di studiosi di varie discipline e di artisti; presenze che testimoniano il progressivo mutamento dei fini sociali dei Virtuosi dall’esclusiva pratica originaria delle virtù cattoliche verso un assetto caratterizzato dai fini pedagogici dell’arte tipici delle Accademie nella formazione dei giovani, ma anche dall’apertura all’incontro con i valori della filantropia laica. Si aggiunga a questo il prestigio internazionale ottenuto dai Virtuosi con l’episodio della ricognizione del sepolcro di Raffaello nel Pantheon voluto dal Reggente Giuseppe De Fabris con il sostegno di Gregorio XVI e realizzato fra il giugno e l’ottobre del 1833 (fig. 5, 6).

5, I resti di Raffaello dopo la ricognizione del 1833
6, I resti di Raffaello dopo la ricomposizione nel sepolcro

Un episodio che fece registrare momenti di tensione fra i Virtuosi e l’Accademia di San Luca, in aggiunta a quello della detenzione da parte di quest’ultima di un cranio in una teca ritenuto del fondatore della Congregazione del Pantheon, Desiderio d’Adiutorio (fig. 7), creduto dapprima di Raffaello e poi restituito ai Virtuosi, dopo una lunga trattativa, il 14 marzo 1893 con l’urna marmorea che lo conteneva[8].

7, Reliquiario del cranio di Desiderio d’Adiutorio

Per quanto sappiamo dai documenti dell’archivio dei Virtuosi fino al 1877, i due Sodalizi, ambedue pontifici fino al 1870, non ebbero situazioni conflittuali permanenti, tanto è vero che amministrarono congiuntamente immobili e sostanze ereditate da benefattori o da soci. A questo si aggiunga il fatto che dal 1543 fino ai nostri giorni molti artisti sono stati congregati del Pantheon e accademici di San Luca, con personalità che hanno ricoperto le cariche di Reggente e poi di Presidente dei Virtuosi, come pure di Principe e poi di Presidente dell’Accademia lucana; in tal senso, resta esemplare il caso di Federico Zuccari, primo Principe di San Luca ma anche, in via eccezionale, Reggente Perpetuo dei Virtuosi. E ancora il caso di Giovanni Silvagni, cooptato Virtuoso l’11 dicembre 1831 e divenuto Presidente di San Luca nel 1844. Inoltre, se un nuovo socio proposto per la Congregazione del Pantheon figurava già nelle file degli Accademici di San Luca, per costui non veniva fatta l’istruttoria conoscitiva sulle sue qualità artistiche e morali, anche perché, ma solo dal 1622 per volontà di Urbano VIII, spettava al Sodalizio di San Luca il privilegio di decretare chi potesse essere chiamato artista. Ricordo infine che in occasione dell’assegnazione di parte dell’eredità Stanzani, di cui riparleremo tra poco, l’Accademia di San Luca, guidata dal suo Presidente Enrico Wolf, nonostante le imprecisioni del testatore nel dichiarare con chiarezza i beneficiari del suo lascito, riconobbe esplicitamente il diritto dei Virtuosi sull’eredità, sottolineando il fatto che i colleghi del Pantheon potevano definirsi Accademia perché effettivamente erano un’«istituto di Belle Arti».

Se ciò non bastasse a dimostrare l’infondatezza storica e metodologica di un’eventuale ipotesi di rivalità fra i due Sodalizi, resta il fatto che ambedue, fino al 1870, dovettero rendere conto delle attività sociali all’Autorità pontificia loro sovraordinata; e questa, sul piano dell’organizzazione dicasteriale interna e, soprattutto, del magistero pastorale, non avrebbe consentito che riguardo agli assetti artistici e culturali esistessero situazioni di costante tensione fra due Istituzioni pontificie, per di più a Roma, il cuore del Papato, proprio perché evidentemente  incompatibili con la finalità cattolica del labor ad maiorem Dei gloriam. Ciò non mette in dubbio, beninteso, il dato oggettivo, per cui le rivalità personali sono state sempre presenti, talora in forma drammatica, in ogni contesto di artisti, che tuttavia quasi mai, almeno per quanto riguarda i Sodalizi pontifici, hanno riguardato gli assetti identitari delle associazioni e le loro attività. Tanto è vero che, durante lo scavo del sepolcro raffaellesco fra l’estate e l’autunno del 1833 sia il Reggente dei Virtuosi Giuseppe De Fabris che il Presidente di San Luca Gaspare Salvi, nonostante le inevitabili tensioni personali suscitate dalla drammatica e ambìta impresa e le recriminazioni sulla sua primogenitura ideale, si impegnarono attivamente e concordemente nelle varie e delicate operazioni di recupero della cassa con le spoglie di Raffaello; e neppure risulta dagli atti d’archivio che ci furono atteggiamenti sopraffattori, diffamatori o calunniosi fra i protagonisti. Viceversa, dal verbale congregazionale dei Virtuosi del 17 settembre 1833 apprendiamo che al momento della richiesta di partecipazione alle notevoli spese sostenute dai Virtuosi per la ricognizione del sepolcro raffaellesco, il Presidente Salvi offrì generosamente e per primo fra i partecipanti cento scudi, anche se, riferisce il verbale del 20 settembre 1833, fu rilevata

«quella specie di gelosia e di malo umore dimostrato in ogni circostanza opportuna alla Congregazione dal Presidente dell’Accademia ridetta e da alcuni membri di essa»[9];

uno stato d’animo, questo, che indusse il Salvi a non accettare la nomina a Virtuoso che gli era stata offerta dal Presidente De Fabris in riconoscimento della sua partecipazione alla riesumazione dei resti mortali di Raffaello.

Ritornando sull’argomento delle entrate dal quarto decennio dell’Ottocento nella Congregazione del Pantheon non di artisti ma di intellettuali, incontriamo un nutrito stuolo di cultori delle arti a vario titolo, direttori di Accademie straniere, archivisti, bibliotecari,  filologi, papirologi, geografi, esperti di dagherrotipia, ma anche figure di aristocratici mecenati o anticonformisti; come il duca Lorenzo Sforza Cesarini, cooptato il 6 maggio 1839, nonostante fosse convinto sostenitore dell’unità d’Italia, insieme alla moglie inglese, Caroline Shirley, e ancora, il 15 agosto 1841, un mecenate come il principe di Fondi Giovanni Andrea di Sangro. Mentre un anno prima, il 15 febbraio 1840, al di là degli ideali dell’arte, della religione e del Risorgimento, troviamo una cooptazione di natura evidentemente utilitaristica, quella del commendatore Pio Grazioli, rampollo di una ricca e intraprendente famiglia romana di commercianti, marito di Caterina Lante Montefeltro Della Rovere, della quale ottenne di aggiungere il nobilissimo cognome al suo; nominato barone da Gregorio XVI e successivamente duca da Ferdinando II delle due Sicilie e da Pio IX, Grazioli avrebbe fondato la Cassa di Risparmio di Roma e fatto ricostruire nel 1851 la chiesa di S. Giovanni della Malva in Trastevere[10].

E ancora il 26 novembre 1843, con Giovanni Pietro Campana si confermò l’indirizzo utilitaristico nelle cooptazioni. Il Campana infatti, già Direttore generale del Monte di Pietà e socio dal 1841 della Pontificia Accademia di Archeologia, nonché, tre anni dopo (1846), anche della Commissione Generale di Antichità e Belle Arti, fu collezionista di un’importante raccolta di opere d’arte e d’archeologia; raccolta che tuttavia andò dispersa in varie sedi europee dopo la sua condanna nel 1858 a vent’anni di carcere (pena commutata da Pio IX nell’esilio), per via della sua mala gestione del Monte di Pietà e dello stabilimento tipografico con un debito di circa un milione di scudi.[11]

Ma la cooptazione più inaspettata, per di più avvenuta stando ai verbali congregazionali senza difficoltà, fu quella dell’architetto Ludovico Stanzani, il quale per iniziativa del Reggente perpetuo De Fabris, che l’aveva conosciuto durante un viaggio in Russia, dove Stanzani risiedeva fin dalla giovinezza nel distretto di Kiev, divenne Virtuoso di merito corrispondente insieme alla moglie, la pittrice polacca contessa Michelina Dziekonska, il 13 dicembre 1857 sotto il pontificato di Pio IX. Quell’ingresso dovette suscitare qualche perplessità, perché Stanzani era affiliato alla Massoneria anche se non era l’unico fra i neo Virtuosi nell’Ottocento alla vigilia dell’unità d’Italia, tanto più perché il suo ingresso fra i Virtuosi avvenne in deroga alla consueta procedura, che prevedeva l’approvazione delle nuove cooptazioni da parte del Consiglio della Congregazione. Comunque sia, quell’ingresso si rivelò utile per i Virtuosi, perché Stanzani nelle sue disposizioni testamentarie lasciò una cospicua parte della sua eredità al Sodalizio del Pantheon. Infatti, dal testamento, redatto a Kiev sotto l’invocazione della Trinità il 19 giugno 1872, apprendiamo che dispose in vantaggio dei Virtuosi al Pantheon il ricavato della vendita della sua casa con annesso terreno

«per dividere ogni anno gli interessi di tal capitale fra tre posti perpetui di allievi alla detta accademia (è la Congregazione dei Virtuosi, n.d.r.), cioè uno per la pittura, uno per la scultura ed uno per l’architettura».[12]

Stanzani, sensibile alle esigenze della formazione dei giovani e grato alla Russia che l’aveva ospitato con decoro, dispose  quindi un lascito annuale

«al secondo Ginnasio governativo di Kiev pel perpetuo mantenimento in tale stabilimento di un allievo a corso completo»[13].

E ancora in ulteriore vantaggio dei Virtuosi Stanzani stabilì che

«qualunque siasi attivo, esso (dopo aver pagato le spese di un decoroso funerale) dovrà essere inviato alla suddetta accademia di Roma (i Virtuosi al Pantheon, n.d.r.), ed i frutti siano annualmente spesi a profitto di allievi dello stesso stabilimento; tutto ciò in memoria di che io avevo l’onore di essere membro onorario di detta accademia»[14].

I meriti di Stanzani verso la cultura sono ulteriormente confermati da questo passaggio del suo testamento:

«La collezione di pietre e di numismatica, state raccolte durante la mia vita intera con mia propria fatica e spese, dispongo sia destinata al gabinetto Archeologico di Roma, ed il mio album di modelli dell’architettura antica russa, raccolto e disegnato da me stesso, sia mandato all’Accademia suddetta».[15]

Come si vede, nel testamento figurano inesattezze formali, che avrebbero potuto dal punto di vista giuridico rendere nullo il lascito. Innanzitutto, riferendosi ai Virtuosi, Stanzani parlava di una «Accademia di Roma delle Belle Arti detta di S. Giuseppe in via S. Luca», mentre essi erano riuniti in forma di Congregazione con sede nel Pantheon e non in una via di San Luca, per altro inesistente a Roma; viceversa, l’Istituzione romana, denominata erroneamente accademia da Stanzani che la riferiva alla Congregazione dei Virtuosi, sarebbe potuta apparire l’Accademia di San Luca, la quale avrebbe potuto rivendicare i benefici del legato Stanzani. Insomma, gli elementi per un ipotetico contenzioso potevano esserci, se il Sodalizio lucano avesse reclamato il lascito Stanzani. Ma questo, in delusione di eventuali cacciatori contemporanei di gossip in vicende del passato dei Virtuosi e di San Luca, non avvenne, come apprendiamo da una lettera del 15 giugno 1874 del Presidente dell’Accademia lucana Enrico Wolf, di riscontro ad interlocutoria del Prefetto della Provincia di Roma, che gli chiedeva se ritenesse che il Sodalizio di San Luca avesse titolarità alcuna sul legato Stanzani.  Ebbene il Wolf, in chiusura della lettera, da esemplare galantuomo di quei tempi, riconosceva parlando a nome dell’Accademia di San Luca il valore dell’opera svolta dai Virtuosi al Pantheon sul terreno difficile della formazione dei giovani artisti inauguratasi parecchi anni prima sotto il governo dei papi con i Premi Gregoriani e d’Esercizio, così che era doveroso accettare per i Virtuosi il titolo di Accademia attribuitole, sia pure imprecisamente, da Stanzani:

«Leale com’ella (scil. l’Accademia di San Luca) s’è pregiata sempre di essere, e nobilmente alienissima dall’invadere qualsivoglia altrui proprietà, non tardò guari a convincersi che l’eredità dello Stanzani non le apparteneva punto: sia perché il testatore non era accademico di S. Luca, e perciò non poteva esser membro com’egli afferma “dell’onore ricevuto di essere eletto socio”; e sia perché non è mai stato in Roma una via di S. Luca dove trovasi una accademia di S. Giuseppe. Ora è certissimo che lo Stanzani era invece, come architetto, socio onorario della Congregazione artistica di S. Giuseppe al Pantheon e certissimo è perciò che la corporazione da lui nominata erede non è l’Accademia di S. Luca, con cui egli non ebbe mai a far nulla, ma si è la predetta di S. Giuseppe, benché creduta per errore aver sede in Via di S. Luca, che in Roma non fu giammai.
  Avendo pertanto la Congregazione Generale a pieni voti giudicato, con tutte le formalità statutarie, non appartenere all’Accademia di S. Luca siffatta eredità, non mancò la Presidenza (scil. di San Luca) con lettera del 13 del mese suddetto di ottobre n. 11213 di farne subito relazione a S.E. il Sig. Ministro degli Affari Esteri, a cui il Sig. Castiglia, Console italiano in Odessa, et esecutore testamentario dello Stanzani, aveva dato notizia di tutto invocandone le opportune istruzioni. Sicché essa pregò il Sig. Ministro a compiacersi notificar autorevolmente d’ufficio al Sig. Console, che l’eredità Stanzani non appartiene affatto all’Accademia di S. Luca, ma s’appartiene evidentemente alla Congregazione di S. Giuseppe al Pantheon, detta da molti pur anche, specialmente di là da Roma, “Accademia” perché istituto di belle Arti di cui lo Stanzani cotesto pregiavasi di esser socio».[16]

Ma perché Stanzani fu accolto in un Sodalizio cattolico come i Virtuosi al Pantheon e per di più in pieno Ottocento, quando le idee massoniche erano un essenziale riferimento ideologico e storico-politico per gli avversari della Chiesa di Roma? Allo stato attuale, stante anche l’esiguità delle notizie su Stanzani, non c’è una risposta documentata[17], mentre sull’argomento Massoneria, i Papi hanno sempre seguito un indirizzo coerente, che ricapitoliamo sommariamente.

La prima condanna pontificia risale alla Lettera apostolica In eminenti apostolatus specula, del 28 aprile 1738, di Clemente XII, che prefigura la scomunica per il cattolico, laico o ecclesiastico, che si fosse affiliato alla Massoneria, con assoluzione solo in punto di morte concessa dal papa. Condanna rinnovata il 18 marzo 1751 da Benedetto XIV, con la Bolla Providas Romanorum. In tempi più prossimi ai fatti che stiamo trattando, troviamo Leone XII, il quale, il 13 maggio 1825, con la Bolla Quo graviora, rinnovò la condanna unitamente a quella della Carboneria. E così pure fece Pio IX, durante il cui regno era avvenuta la cooptazione (1857) di Ludovico Stanzani; papa Mastai Ferretti, infatti, il 25 settembre 1865, non con una Bolla ma con l’Allocuzione Multiplices inter, sostenne l’indiscutibile ecumenicità del suo provvedimento contro la Massoneria:

«E se vi sono taluni i quali credono che le costituzioni Apostoliche, pubblicate con la pena di anatema, non abbiano alcun vigore in quelle regioni ove le suddette sette sono tollerate dal potere civile, costoro di certo grandemente s’ingannano […]»;

allocuzione ribadita alcuni anni dopo, il 21 novembre 1873, con la lunga e articolata Enciclica Etsi multa luctuosa, in cui Pio IX definì la Massoneria e le società segrete «la sinagoga di Satana».[18]

Alla luce di questi fatti possiamo quindi dedurre che le proibizioni da parte ecclesiastica hanno sempre riguardato l’affiliazione di cattolici alla Massoneria, ma non  il contrario e cioè l’adesione di massoni ad Istituzioni cattoliche; in altre parole, l’ingresso di Stanzani fra i Virtuosi dimostra che fu lui ad accettare l’appartenenza ad un’Istituzione cattolica, anche se il verbale della sua entrata non ne descrive i particolari, da ricondurre probabilmente al sacramento della Confessione e  ad una sua operosa disposizione caritativa. In tal senso, dobbiamo riconoscere che il Lascito Stanzani fece sì che i Virtuosi costituissero un Pensionato per giovani artisti, dal cui bando, tuttavia, a datare dal 22 febbraio 1875, ormai in pieno Regno d’Italia, sentiti gli avvocati Augusto Cataldi e Giuseppe De Sanctis, fu tolta la clausola dell’appartenenza alla religione cattolica dei giovani concorrenti, presente ovviamente nei precedenti bandi concorsuali pontifici; fatto che non avvenne, si badi bene, per disposizione del massone Stanzani, ma per inevitabile ossequio da parte dei Virtuosi verso la nuova realtà del Regno d’Italia, nella cui classe dirigente c’erano molte ed importanti presenze massoniche. Per di più, il Sodalizio del Pantheon, avendo ottenuto fin dall’8 settembre 1871 dal Regio Ministero della Pubblica Istruzione del Regno d’Italia sia l’approvazione dei propri concorsi sia finanziamenti per la propria attività, non avrebbe potuto ignorare l’ideologia liberale sottesa al nuovo Stato monarchico.

8, G. Galli, ritratto di Ludovico Stanzani. firmato e datato 1900

In conclusione, la vicenda Stanzani dimostra ancora una volta la disposizione dei Virtuosi al confronto politico-diplomatico e la conseguente capacità di accogliere fra le proprie file nel segno della riconciliazione ed anche dell’utilitarismo una grande figura di filantropo che fu benefattore soprattutto dei giovani aspiranti alle carriere artistiche. In ossequio a questi fatti dettati soprattutto dal desiderio di riconciliazione, il Virtuoso scultore Guido Galli, a distanza di molti anni dalla scomparsa di Stanzani firmò nel 1900 per la Congregazione del Pantheon un busto di gesso con l’immagine del benefattore su una basetta decorata d’alloro e dotata di squadra e compasso in ricordo dell’identità massonica dello Stanzani (fig. 8); una scultura che ritrovai nel 2007, durante il mio mandato di Presidente dei Virtuosi, in un magazzino del Sodalizio in Palazzo della Cancelleria e che, tenendo conto della vicenda storico-artistica descritta, feci restaurare su mio progetto e direzione del lavoro, per esporla quindi nell’allora sede operativa dei Virtuosi in via della Conciliazione, 5.[19]

Nella sostanza dei fatti, al Reggente Perpetuo De Fabris ma anche a Ludovico Stanzani va riconosciuto il merito di aver inaugurato una nuova stagione di concorsi per giovani aspiranti alla pratica dell’arte, che prevedeva un percorso formativo prolungato, un Pensionato vissuto sotto la guida di un professore congregato dei Virtuosi al Pantheon. Fatto, anche questo, che, in aggiunta al felice esito della ricordata ricognizione del sepolcro di Raffaello nel 1833, contribuì a delineare il nuovo profilo della Sodalitas dei Virtuosi da Congregazione ad Accademia; un rango che tuttavia sarebbe stato loro riconosciuto solo parecchi anni dopo, il 19 maggio 1928, da Pio XI, su proposta del cardinale Pietro Gasparri, Protettore dei Virtuosi[20]. In sostanza con il Legato Stanzani si andò oltre i pur benemeriti Concorsi congregazionali bimestrali, detti d’esercizio, e biennali, denominati Gregoriani in omaggio a Gregorio XVI che li finanziava[21]. A differenza di quelle gare, il Pensionato Stanzani fu una sorta di moderno corso di specializzazione, che non prevedeva come in passato solenni premiazioni in Campidoglio, anche perché a metà degli anni Settanta dell’Ottocento era radicalmente mutato il contesto politico-culturale in cui si svolgevano i concorsi dei Virtuosi.

La prima edizione del Pensionato Stanzani ci fu dopo la morte di quel benefattore, il 13 giugno 1875 in palazzo Altemps sotto la presidenza del più volte Reggente dei Virtuosi, l’architetto Salvatore Bianchi, e riguardò architetti, pittori e scultori. Vi parteciparono concorrenti che avrebbero avuto carriere di prim’ordine: fra gli altri, gli architetti Osvaldo Armanni, che si aggiudicò il pensionato e  Camillo Pistrucci, fra i grandi costruttori della Roma umbertina; quindi i pittori Augusto Corelli, Erulo Eroli, che sarebbe diventato un  celeberrimo arazziere capostipite di una fiorente bottega a fianco della chiesa di S. Atanasio dei Greci, Sebastiano Guzzone, Gaetano Previati, grande esponente del Divisionismo, Gioacchino Pagliei, vincitore del concorso di pittura, in cui fu  assegnata una menzione d’onore ad Augusto Corelli; in scultura prevalse Francesco Jerace, mentre un diploma fu dato a Carlo Filippo Chiaffarino. Jerace tuttavia perse il pensionato per le troppe e ingiustificate assenze.

9, G. Pagliei, Ludovico Stanzani, doc. 1875

Il ventitreenne Pagliei, per l’occasione del concorso donò un ritratto del benefattore Ludovico Stanzani, (fig. 9) il 12 dicembre di quello stesso 1875, [22] nella seduta congregazionale in cui furono designati i Professori dei Virtuosi che avrebbero curato la formazione dei giovani: il Reggente Salvatore Bianchi per l’architetto, Francesco Grandi per il pittore e Giovanni Battista Lombardi per lo scultore.[23]

Per documentare il livello dei giovani partecipanti a varie edizioni del Concorso Stanzani ripresento alcuni disegni di Gioacchino Pagliei, Tullio Salvatore Quinzio, Carlo Filippo Chiaffarino, Alessandro Pigna, Francesco Jerace (figg. 10 – 26).[24]

10, A. Pigna, Filosofo antico, Pensionato Stanzani 1885-87 di pittura; 11, A. Pigna, Nudo, 1886 saggio del Pensionato Stanzani;12, A. Pigna, Nudo, 1887; 13, A. Pigna, Nudo, 1886, saggio del Pensionato 1886

14, G. Pagliei, Scena del diluvio; 15, G. Pagliei, Cleopatra ai piedi di Ottaviano, 1875; 16, G. Pagliei, I genitori di Sansone; 17, G. Pagliei, Nudo, Pensionato 1876-79 di pittura

18, G.Pagliei, Flora capitolina, 1875; 19, G. Pagliei, Nudo; 20, G. Pagliei, S. Maria Egiziaca; anzani di scultura, 1876-79; F. Jerace, Flora Capitolina, Pensionato Stanzani di scultura 1876-79.

22, T. S. Quinzio, Resurrezione di Lazzaro, 1881; 23, T. S. Quinzio, Annunciazione; 24, C.F. Chiaffarino, Vecchio, Pensionato Stanzani 1881-84

25, C. F. Chiaffarino, Vecchio con cappello, 1881; 6, C. F. Chiaffarino, Adorazione di Gesù Bambino

In particolare segnalo un dinamico disegno di Gioacchino Pagliei (fig. 27),

fig 27 G. Pagliei, S. Agnese nel lupanare

che il giovane artista avrebbe poi sviluppato in un suggestivo dipinto ad olio su tela (fig. 27bis ).

27 bis, G. Pagliei, S. Agnese nel lupanare, dopo aver rifiutato Procopio, olio su tela

Interessante è il fatto che i temi assegnati ai giovani non si riferivano solo ai nudi caratteristici della pedagogia accademica, ma anche a scene ispirate all’agiografia, alle Scritture, alla storia, al mito.

28, T. O. Sosnowski, Ritratto di Francesco Podesti, firmato e datato 1871

Dunque, nonostante le difficoltà oggettive del fervido contesto storico ottocentesco, fra i Virtuosi al Pantheon, la Santa Sede e gli altri Sodalizi accademici romani ci furono rapporti cordiali e costruttivi, dimostrati, oltre che dal ripetuto apprezzamento dei papi anche dai loro ragguardevoli sostegni economici per le iniziative della Congregazione. Esemplare resta un ultimo episodio, nell’anno di Porta Pia, allorché il Reggente dei Virtuosi, Francesco Podesti (fig. 28), autorizzato dal Ministero del Commercio e delle Belle Arti, dette alle stampe il regolamento per la grande mostra del 1870 dell’Esposizione Romana sull’arte cristiana e il culto cattolico, che si sarebbe svolta nel chiostro di Santa Maria degli Angeli.[25]

Per l’occasione Pio IX costituì una Commissione Generale Consultiva di Belle Arti composta di pittori, scultori e architetti ovviamente dell’Accademia di San Luca e della Congregazione dei Virtuosi al Pantheon, che raccolse opere di varie tipologie realizzate in più di cinque secoli grazie a committenze ecclesiastiche. Ne fecero parte, fra gli altri, Tommaso Minardi, Pietro Ercole Visconti, Ignazio Jacometti, Virginio Vespignani, Francesco Podesti, Giovan Battista De Rossi, Antonio Sarti, Paolo Mercuri, Nicola Consoni, Pietro Galli, Pietro Gagliardi, Francesco Bianchi.

Fu l’ultima manifestazione artistica dei Virtuosi nella Roma dei papi, che si accomiatavano dal loro potere temporale con un evento artistico di grande modernità concettuale, che testimoniava non tanto gli indirizzi stilistici quanto le varie espressioni dell’arte e dell’artigianato promosse dal magistero della Chiesa Cattolica. In quella mostra, che oggi si definirebbe “impegnata”, trovarono infatti posto non solo pitture e sculture, ma anche manufatti artigianali in legno e in cartapesta, frutto delle tradizioni popolari, quindi arredi liturgici, paramenti sacri, decorazioni, manoscritti, opere a stampa, tutti oggetti che ricapitolavano in chiave pluridisciplinare cinque secoli di arte cristiana. Difficile dire se nelle intenzioni degli organizzatori ci fosse una volontà di apertura verso le componenti popolari delle poetiche del Romanticismo; certo è che a tali scelte non dovette essere estranea l’attenzione per i generi pittorici di soggetto veristico presenti nella mostra e frequentati anche dai Virtuosi al Pantheon, come il ritratto dalle caratteristiche introspettive, i paesaggi vissuti nella contemplazione, i brani della vita quotidiana.

 LE DONNE E I VIRTUOSI AL PANTHEON

Ad integrazione significativa dell’argomento delle nomine nella Congregazione mi sembra utile ricordare anche un altro fatto, anch’esso, per così dire inaspettato riguardante le donne, e cioè che le porte del Pantheon sono rimaste loro aperte fin dalle origini del Sodalizio dei Virtuosi. Recenti studi di Anna Lisa Genovese sui documenti dell’archivio storico di questo Sodalizio hanno confermato tale atteggiamento di apertura della Congregazione del Pantheon; tanto è vero che, già il 10 aprile 1580, sotto l’autorevole Reggenza di Federico Zuccari e dell’altrettanto autorevole Secondo Aggiunto Francesco Capriani da Volterra, con l’autorizzazione di una Bolla di Gregorio XIII, furono cooptate quattro consorelle[26]: la principessa Livia d’Aragona, Diana Scultori, moglie del Secondo Aggiunto Francesco Capriani da Volterra, e  Maddalena, «moglie del messer Natal Bonifazi», «Madalena fiorentina», moglie di Paolo Ambrogino[27].

Fra queste l’unica vera artista fu Diana Scultori (nomen omen!), scultrice e intagliatrice in rame, figlia d’arte dell’intagliatore mantovano Giovan Battista Scultori e sorella di Adamo, anch’egli scultore e Virtuoso del Pantheon.[28] Non fu quello un episodio isolato, perché centinaia furono le consorelle ricordate nella Congregazione dall’Archivista dei Virtuosi Paolo Anzani nell’Ottocento; in altri elenchi congregazionali Anzani ne contò settecentocinquantasei fra il 1674 e il 1726, in aggiunta ad altre duecentosessantaquattro nel periodo 1580-1744.[29] Ma l’anno decisivo per il riconoscimento sotto il profilo artistico delle donne fra i Virtuosi al Pantheon fu il 1823, sotto il pontificato di Gregorio XVI, un papa considerato severamente sul piano politico dalla storiografia, il quale, tuttavia, in controtendenza rispetto alla mentalità del suo tempo, approvò la cooptazione di sedici artiste nel Sodalizio. Alcune erano Accademiche di San Luca e vere professioniste: pittrici, miniatrici, ma anche disegnatrici, ricamatrici, maestre di glittica e di incisione a bulino, e tutte, salvo Faustina Bracci Armellini, formatesi senza ascendenti professionali familiari ma per libera scelta della strada dell’arte.[30]

E fu sempre Gregorio XVI a stabilire che i premi da assegnare a giovani speranze dell’arte nel 1842 gravassero annualmente sull’erario pontificio già  per altro appesantito da ingenti uscite e che fossero di 300 scudi quelli detti di Esercizio con cadenza bimestrale, e di 100 scudi quelli biennali, detti Gregoriani  perché da lui istituiti.

29, A. De Angelis, Autoritratto, 1845 ca

Va infine ricordato fra i meriti di Gregorio XVI che, fra il 1838 e il 1844, furono aperti per sua volontà i musei Gregoriano-Etrusco, Gregoriano-Egizio e Gregoriano-Profano.

Il riconoscimento da parte dei Virtuosi del talento artistico delle donne, grazie anche all’illuminata intraprendenza del loro Reggente storico, Giuseppe De Fabris,  ebbe la sua grande affermazione nella terza edizione del Premio Gregoriano; in quell’occasione, il 12 marzo 1846, fu assegnata in Campidoglio la medaglia d’oro ad Amalia De Angelis (fig. 29) , che aveva presentato il dipinto ad olio con l’episodio di S. Lorenzo presenta al Governatore di Roma gli orfani, i poveri e le vedove (fig. 30); sempre in quell’anno la De Angelis ottenne nel Concorso d’Esercizio la medaglia d’argento presentando un disegno con Davide e Betsabea.

30, A. De Angelis, S. Lorenzo presenta al Governatore di Roma i poveri della Chiesa. Documentato 1845

L’evento straordinario dovette tuttavia creare qualche imbarazzo, per altro comprensibile data la mentalità maschilistica di quei tempi, perché nei verbali congregazionali dei Virtuosi non sono ricordati inaspettatamente i vincitori dell’edizione del 1845, che consacrò Amalia De Angelis pittrice nella Città dei Papi, dove, due anni prima, aveva ricevuto anche un altro prestigioso premio nel Concorso Clementino dell’Accademia di San Luca. Ma l’editore Alessandro Monaldi non fece passare sotto silenzio la vicenda della De Angelis e stampò un libriccino dedicato a Gregorio XVI, in cui furono raccolte varie liriche, fra le quali una poesia della Virtuosa d’onore del Pantheon Rosa Taddei dedicata alla De Angelis paragonata alla grande Elisabetta Sirani.[31] In verità, già molto tempo prima di questi fatti, Amalia De Angelis aveva avuto pieno riconoscimento delle sue doti artistiche dai Virtuosi che l’avevano cooptata nella Congregazione; questo risulta dalla seduta congregazionale del 17 maggio 1838 tenutasi nella casa del Reggente Perpetuo De Fabris, in cui è ricordata come Virtuosa di merito insieme alla principessa Carlotta di Danimarca e a Teresa Nelli. La De Angelis divenne famosa a livello internazionale ottenendo la nomina a socia dell’Accademia di Parma il 15 aprile 1846 e quindi dell’Accademia Romana dell’Arcadia, mentre nel 1870 ottenne l’importante committenza da parte dei Padri Trinitari del grande quadro con l’Apparizione della Vergine a Santo Stefano per la chiesa di Brod in Croazia. Ma già qualche anno prima, nel 1837, Teresa Nelli Ossoli aveva ottenuto la nomina a Virtuosa di Merito, ricevendo tuttavia solo nel 1847 una lettera di ringraziamento dal Sodalizio per aver donato due anni prima, nel 1845, un quadro con una veduta di S. Pietro in Montorio da S. Cosimato (fig. 31).

31, T. Nelli Ossoli, Veduta di S. Pietro in Montorio da Porta S. Cosimato, documentato 1845

E ancora una Virtuosa di Merito incontriamo il 21 aprile 1844, presentata da Francesco Podesti che erroneamente la chiamò Carolina: Camilla Guiscardi Gandolfi (fig. 32), la quale, nonostante una sua richiesta di rettifica del nome il 28 ottobre 1844, fu stranamente sempre ricordata nei documenti congregazionali del tempo con il nome di Camilla.[32]

Gli ingressi di artiste fra i Virtuosi continuarono negli anni seguenti. Così, ancora nel 1851, dopo il ritorno di Pio IX da Gaeta, esauritosi l’episodio della seconda Repubblica Romana, troviamo fra i premiati una donna molto giovane, la pittrice Erminia Pompili, che si aggiudicò una medaglia d’incoraggiamento a dispetto dei divieti d’ammissione di ragazze nell’Università romana. In quello stesso 1851 fu accolta fra i Virtuosi di Merito Emile-Françoise Paulien Rouillon, che il 13 marzo 1853 inviò alla Congregazione un suo bellissimo autoritratto (fig. 33).

32, C. Guiscardi Gandolfi, Autoritratto, databile 1845
33, E. F. P. Rouillon, Autoritratto, firmato, datato e localizzato Emilia Rouillon Roma 1852

Ma le difficoltà delle artiste per ottenere il riconoscimento pubblico continuarono con il caso di Erminia Pompili e di Luisa Bigioli. Ambedue vincitrici nella gara di pittura del Premio Gregoriano, dopo diversi rifiuti da parte delle Istituzioni pubbliche romane come la Sapienza e  l’Amministrazione Capitolina ad ospitare la loro premiazione, riuscirono, grazie soprattutto alla perseveranza dell’incrollabile De Fabris, ad ottenere il 2 febbraio 1854 il loro premio pubblicamente nell’Aula massima della prestigiosa sede dell’Archiginnasio romano.[33] Il fatto straordinario fu possibile grazie all’intervento di Pio IX e alla rinunzia al veto posto in un primo momento all’ingresso delle due giovani da parte del cardinale Prefetto degli Studi Raffaele Fornari, sollecitato dall’autorevole Virtuoso Virginio Vespignani.

L’intervento di quest’ultimo non fu facile, perché il Fornari era sì un ex diplomatico, noto per altro come intransigente Nunzio Apostolico in Belgio e in Francia, come pure stimato canonista e teologo, tanto è vero che Pio IX gli fece presiedere la Commissione per la proclamazione del dogma dell’Immacolata Concezione, ma era anche un conservatore convinto, ovviamente contrario al liberalismo e sostenitore del potere temporale dei papi; un conservatore che avrebbe curato l’istruttoria dei lavori finalizzati alla compilazione del Sillabo, il documento di Pio IX sugli errori del modernismo pubblicato contestualmente alla proclamazione del dogma dell’Immacolata Concezione l’8 dicembre 1864.

In conclusione, i fatti che abbiamo narrato svoltisi in un contesto politicamente fluido e ideologicamente drammatico e talora contraddittorio, con esiti spesso inaspettati confermano soprattutto le spiccate doti politico-diplomatiche dell’infaticabile Reggente Giuseppe De Fabris, il quale, d’intesa con Gregorio XVI e Pio IX, agevolò, fra diverse iniziative anticonformistiche, l’ingresso di giovani donne nel Sodalizio dei Virtuosi, riservando loro  premi artistici e riuscendo anche ad ottenere l’apertura delle porte dell’Archiginnasio romano per la loro premiazione. E non si trattò di un fatto episodico o collaterale: quel massimo riconoscimento pubblico, verificatosi nello Stato Pontificio nella prospettiva della fine del potere temporale dei Papi, costituì un importante contributo per la configurazione di una nuova e più ampia visione sociale e culturale per le donne; un contributo in cui trovò rilevante spazio anche il rinnovato profilo societario dei Virtuosi in chiave accademica, che si era già delineato grazie all’avvenimento di risonanza internazionale del 1833 della ricognizione, sempre per iniziativa del De Fabris, del sepolcro di Raffaello nel Pantheon e della ricomposizione dei resti mortali del grande Urbinate in un’urna marmorea classica donata da Gregorio XVI, che vi fece apporre i propri sigilli[34] (vedi figg. 5, 6). Un’iniziativa tanto più meritoria ed ecumenica, perché dettata unicamente da un grande ideale: il desiderio dei Virtuosi al Pantheon, fedeli all’opera di misericordia cattolica della pietas erga mortuos, di restituire degna sepoltura al sommo Urbinate.

Vitaliano TIBERIA  Roma  9 Marzo 2025

Presidente Emerito Pontificia Insigne Accademia di Belle Arti e Lettere dei Virtuosi al Pantheon

NOTE

[1] Per una prima valutazione del significato delle presenze degli artisti nella Congregazione dei Virtuosi al Pantheon,  sulle aperture politico-diplomatiche alle istanze progressiste nell’Ottocento da parte della Santa Sede e sulla figura dominante di Giuseppe De Fabris rimando al mio La Congregazione dei Virtuosi al Pantheon da Pio VI a Pio IX, Mario Congedo editore, Galatina (LE) 2015, pp. 17-23, 51-129; saggio apparso, per quanto riguarda De Fabris, in “Annali della Pontificia Insigne Accademia di Belle Arti e Lettere dei Virtuosi al Pantheon”, Scripta Manent Edizioni, XIV, 2104, pp. 266-297. Per i successivi riferimenti alle nomine dei Virtuosi citate in questo saggio e per una sintesi storico-critica ragionata sull’identità della Congregazione del Pantheon rinvio, nel succitato volume (Galatina, LE, 2015), a V. Tiberia, pp. 1-129; quindi, per la trascrizione in forma  discorsiva dei verbali congregazionali dei Virtuosi e per le notizie su ciascun personaggio esaminato, si vedano gli apparati filologico-bibliografici di corredo al testo dei verbali trascritti in progressione cronologica, non in forma diplomatica ma in italiano contemporaneo, da Anna Lisa Genovese (anni 1800-1834; 1852-1877) e da Michela Gianfranceschi (anni 1837-1851).
[2] A. L. Genovese, in ibidem, Galatina 2015, p. 753.
[3] Genovese, in ibidem, p. 753.
[4] Genovese, in op. cit., alla nota 1, Galatina (LE) 2015 p. 299.
[5] Gianfranceschi, in ibidem, p. 397.
[6] Genovese, in ibidem, pp. 846, 848.
[7] Ibidem, p. 208.
[8] La complicata vicenda del teschio di Desiderio d’Adiutorio scambiato per quello di Raffaello è stata ricostruita filologicamente da A.L. Genovese, La Tomba del Divino Raffaello, Gangemi Editore, Roma, settembre 2015, pp: 133-142.
[9] Genovese, in op. cit. alla nota 1, Galatina (LE) 2015, p. 319.
[10] M. Gianfranceschi, in op. cit., alla nota 1, Galatina (LE), 2015, p. 446 e nota 710.
[11] Eadem, in ibidem, p. 525 e nota 1007.
[12] Cfr. A. D’Ottone, L’Eredità Stanzani e la storia dell’omonima collezione attraverso i documenti d’archivio della Pontificia Insigne Accademia di Belle Arti e Lettere dei Virtuosi al Pantheon, in “Annali della Pontificia Insigne Accademia di Belle Arti e Lettere dei Virtuosi al Pantheon”, Città del Vaticano 2010, Editrice Pontificia Insigne Accademia dei Virtuosi al Pantheon, pp. 193-2007; Eadem, «L’affare Stanzani». Documenti inediti dagli archivi romani, in 4th Simone Assemani Symposium on Islamic Coins, a cura di B. Callegher e A. D’Ottone Rambach, Edizioni Università di Trieste 2015, pp. 243-277.
[13] Ibidem, p. 194.
[14] Ibidem, pp. 194-195.
[15] Ibidem.
[16] Ibidem, p. 206.
[17] A. D’Ottone, Ludovico Stanzani (1784-1872), in COMPTE RENDU (London: Secrétariat de la Commission internationale de numismatique), 2017, pp. 26-30.
[18] Le condanne continuano con quattro successivi documenti pontifici emanati da Leone XIII, fra il 1884 e il 1890, in cui è condannato anche il movimento socialista per il suo relativismo morale e ideologico; da Benedetto XV nel Codice di Diritto Canonico, promulgato il 27 maggio 1917; da S. Giovanni Paolo II, nel Codice di Diritto Canonico entrato in vigore il 27 novembre 1983. In quest’ultimo documento non si fa riferimento esplicito alla Massoneria; pur tuttavia la condanna delle associazioni massoniche resta immutata nella Dichiarazione sulla Massoneria pubblicata con l’approvazione di papa Wojtila dalla Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede il 26 novembre 1983 a firma dell’allora cardinale Joseph Ratzinger Prefetto di quel Dicastero e controfirmata da Fr. Jérôme Hamer, O.P. Arcivescovo titolare di Lorium.
[19] Il restauro fu eseguito da Rita Fagiolo nel 2008. Per questo ritratto in gesso di Stanzani, firmato e datato sulla spalla sinistra 1900, con incisione sulla base L.co STANZANI, si veda P. Castellani, in V.Tiberia, La collezione della Pontificia Insigne Accademia di Belle Arti e Lettere dei Virtuosi al Pantheon. Dipinti e Sculture. Catalogo a cura di Adriana Capriotti e Paolo Castellani, Scripta Manent Edizioni, Subiaco (Roma) 2016, pp. 364-365, 405. Castellani ha ricostruito l’intera vicenda artistica della famiglia Galli fra i Virtuosi, gli scultori e pittori Pietro, Alberto e Guido, ibidem, pp.356-413.
[20] Nel nostro tempo la protettoria cardinalizia è rimasta limitata ad alcuni Ordini Monastici. Anche i Virtuosi non hanno più un cardinale protettore, ma con le altre Accademie Pontificie fanno parte del Consiglio di Coordinamento delle Accademie Pontificie presieduto dal 26 settembre 2022 dal cardinale J. Tolentino De Mendonça, il quale, da quella data, è anche Prefetto del Dicastero della Cultura e dell’Educazione. Ricordo che il Pontificio Consiglio di Coordinamento delle Accademie Pontificie fu creato da S. Giovanni Paolo II nell’udienza concessa il 6 novembre 1995 al Cardinale Segretario di Stato Angelo Sodano: il primo presidente di questa struttura è stato il cardinale Paul Poupard, dal 2007 Accademico ad honorem della Pontificia Insigne Accademia di Belle Arti e Lettere dei Virtuosi al Pantheon.
[21]  Per i Concorsi Gregoriani si veda lo studio, fondato su documenti dell’archivio storico dei Virtuosi al Pantheon, di A. L. Genovese, Le donne artiste nell’Accademia dei Virtuosi al Pantheon, in “Annali della Pontificia Insigne Accademia di belle Arti e Lettere dei Virtuosi al Pantheon”, XII, 2012, Palombi Editore.
[22] Per questo dipinto, che fu tratto da una delle due fotografie di Ludovico Stanzani inviate ai Virtuosi il 13 febbraio 1873 dal generale Salvatore Castiglia, Console italiano a Odessa, e per un profilo di Gioacchino Pagliei rinvio a A. Capriotti, in. Tiberia, op. cit. alla nota 19, p. 284 e segg.; per la documentazione sull’invio delle foto di Stanzani ai Virtuosi, si veda A. D’Ottone, cit. alla nota 12, p. 196.
[23] Cfr. V, Tiberia, Disegni per i concorsi della Congregazione dei Virtuosi al Pantheon. Il pensionato Stanzani, in “Annali della Pontificia Insigne Accademia di Belle Arti e Lettere dei Virtuosi al Pantheon”, Scripta Manent Edizioni, XV, 2015, pp. 215-238.
[24] Ibidem, p. 218-238. Sulla presenza di questi artisti nella Congregazione dei Virtuosi al Pantheon si veda A. Capriotti, A. Imbellone, in Tiberia, op. cit. alla nota 19 passim.
[25] Genovese, in op. cit. alla nota 1, Galatina (LE), p. 870 e segg.
Per l’evento della mostra romana del 1870 si veda D. Vasta, La pittura sacra in Italia nell’Ottocento. Dal Neoclassicismo al Simbolismo, Gangemi Editore, Roma 2012, pp. 109-111.
[26] A. L. Genovese, Le donne artiste nell’Accademia dei Virtuosi al Pantheon, in “Annali della Pontificia Insigne Accademia di Belle Arti e Lettere dei Virtuosi al Pantheon”, Palombi Editore, XII, 2012, pp. 371-376.
[27] V. Tiberia, La Compagnia di S. Giuseppe di Terrasanta nel XVI secolo, Mario Congedo Editore, Galatina (LE) 2000, pp. 152-153.
[28]  Genovese, cit. alla nota 24, p. 372.
[29]  Ibidem.
[30] Spetta ad Anna Lisa Genovese il merito di aver iniziato con criteri filologici gli studi archivistici sulle artiste fra i Virtuosi al Pantheon. Particolarmente significativo è il suo documentato saggio La premiazione nei Concorsi Gregoriani (1838-1874) delle pittrici Amalia De Angelis, Erminia Pompili e Luisa Bigioli, in “Annali della Pontificia Insigne Accademia di Belle Arti e Lettere dei Virtuosi al Pantheon”, Scripta Manent Edizioni, XIV, 2014, pp. 363-384; e ancora di A. L. Genovese sono i saggi su Amalia De Angelis, Camilla Guiscardi Gandolfi, Teresa Nelli Ossoli, in Tiberia, op. cit. alla nota 19, pp. 210-213, 216-219.
[31]  Eadem, cit. alla nota 30, 2014, pp. 366 e segg.
[32] Genovese,in Tiberia op. cit. alla nota 19, p. 216.
[33] Eadem, cit. alla nota 30, pp. 369-370, in cui la Genovese analizza le differenze involutive prima e dopo la seconda Repubblica Romana intervenute nelle pubbliche Istituzioni nei confronti delle donne artiste o studiose, ricordando che le donne poterono entrare nelle Università solo dopo la promulgazione del Regio Decreto 3 ottobre 1875 a firma di Ruggiero Bonghi,  coltissimo ministro della Pubblica Istruzione, cattolico e militante nella destra storica; questi, fra l’altro, istituì a Roma, nel 1875, la Biblioteca Nazionale Centrale e la Direzione Generale degli scavi e dei musei, dando così inizio ad un itinerario che cent’anni dopo avrebbe portato, per iniziativa del Repubblicano Giovanni Spadolini, all’istituzione del Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, successivamente modificato numerose volte fino all’attuale denominazione di Ministero della Cultura, MIC.
Per un’ampia ricapitolazione storico-critica del tema delle donne artiste a Roma, si veda ora AA.VV., Roma Pittrice. Artiste al lavoro tra XVI e XIX secolo, a cura di I. Miarelli Mariani e R. Morselli con la collaborazione di I. Arcangeli, catalogo della mostra, 25 ottobre 2024 – 4 maggio 2025, Edizioni Officina Libraria, Roma 2024. Il catalogo offre una vasta panoramica sulla presenza delle donne nell’arte a Roma con un cospicuo corredo fotografico. Segnalo tuttavia che nella sezione Itinerari in cui sono elencati i monumenti funebri di artiste in chiese romane non è citato il recente repertorio di A. L. Genovese, Monumenta. Memoriali di artisti nelle Chiese di Roma, Edizione a cura dall’Autrice, Roma 2023-24, volume di 550 pagine pubblicato anche in formato digitale in “About Art on line”, maggio 2024 e collocato nel 2023-24 in esemplare cartaceo nella Biblioteca Nazionale Centrale, nella Biblioteca dell’Istituto Nazionale d’Archeologia e Storia dell’Arte, nella Biblioteca dell’Accademia di San Luca; sul repertorio di A. L. Genovese, si veda anche la mia recensione, Ricordi di esistenze di artisti nelle chiese romane, in “About Art on line” 28 aprile 2024.
[34] Sul recente progetto di riapertura del sepolcro di Raffaello nel Pantheon rinvio a V. Tiberia, Un ricordo per Raffaello nel Pantheon, in “About Art on line”, 12 aprile 2020; AA.VV., Enigma Raffaello Fortuna, contrasti: il mistero della morte del Sanzio, a cura di P. Baldi, A. Militello, editrice Skira, Losanna 2021; V. Tiberia, Raffaello all’obitorio. Nuove considerazioni sui Virtuosi al Pantheon e sui resti del grande Urbinate, in “About Art on line” 13 dicembre 2021; Idem, Omaggio al più grande Virtuoso…virtuale del Pantheon, in L’Amore divino e profano. Uno sguardo diverso su Raffaello, convegno a cura di Y. D. Schlobitten, C. Bertling Biaggini, C. Cieri Via, Città del Vaticano 27-29 settembre 2021, Editrice Schnell & Steiner, Ratisbona 2023, pp. 45-60.