“How to talk dirty and influence people”. Successo al Teatro Ghione per “LENNY. Ipotesi di un omicidio”

di Marco FIORAMANTI

Roma, Teatro Ghione

LENNY. Ipotesi di un omicidio

di Giuseppe Pavia

con Antonello Avallone e Riccardo Bàrbera, Giulia Di Quilio, Giuseppe Renzo, Francesca Cati e Flaminia Fegarotti – Scene di Alessandro Chiti – Regia di Antonello Avallone.

“HOW TO TALK DIRTY AND INFLUENCE PEOPLE”

Ogni uomo che muore risorge in un altro che nasce. La parola che non trova asilo nella bocca dell’uomo è già la morte! Senza resurrezione.

Giuseppe Patroni Griffi (da “Prima del silenzio”)

Si chiamava Leonard Alfred Schneider (1925-1966), in arte Lenny Bruce, ebreo americano, stand-up comedian, comico cabarettista irriverente, autore satirico, mito della controcultura hip anni ’60-’70.

Imponente, magica e di grande efficacia la scenografia di Alessandro Chiti: Night club newyorkese, cinque enormi lettere, quelle di L E N N Y, maiuscole a caratteri cubitali, distanziate tra loro, si stagliano a luci led sulla scena come frammenti della Broadway. Imperniate nel loro centro, ruotate dagli stessi attori, svelano le quinte dello spettacolo. Le prime due, sulla sinistra, si trasformano nel camerino rosso fuoco della spogliarellista – specchio illuminato a cornice, tavolo trucco e appendiabiti per i costumi – dove Lenny è abituato a intrufolarsi e approcciare le burlesquer di turno ma stavolta s’innamora, corrisposto, della splendida showgirl Honey Harlow-Bruce (Giulia Di Quilio). Sulla destra le ultime due lettere aprono all’angolo bar dove Hogan, procuratore distrettuale di New York (Riccardo Bàrbera) s’incontra con il manager di Bruce (Giuseppe Renzo). Lo spettacolo è organizzato per quadri scenici rigidamente conclusi, ognuno con un lungo applauso.

Così commenta Antonello Avallone, regista e protagonista dello spettacolo, fedelissimo -nell’atteggiamento e nei gesti – alla realtà del vero Lenny:

È una storia ed un personaggio che mi hanno sempre affascinato. Un percorso tortuoso, pieno di insidie per affermare la libertà di parola e di pensiero di tutti, a favore delle minoranze di qualsiasi tipo e per combattere le ingiustizie sociali.

http://www.badliteratureinc.it/2025/01/21/lenny-bruce-il-vate-della-stand-up-comedy/

Lenny osava dire cose che anche oggi risulterebbero oscene. Fu arrestato decine di volte per aver detto cose considerate “pericolose”. I suoi monologhi ricordano proprio il freestyle, flussi di coscienza a ruota libera che non risparmiano morale e politica, religione e razze, droghe e aborto, Ku Klux Klan ed ebraismo.

Quando sale sul palco neanche Bruce sa come andrà a finire (Ho sempre un sacco di cose in testa ma non so esattamente quando le dirò).

C’è qualche lurido Negro qui stasera? Volete accendere le luci per favore, e i camerieri e le cameriere possono smettere di seguire per un momento? Grazie, grazie, grazie, e spegnete i riflettori. Allora: “Che cosa ha detto? C’è qualche lurido negro qui stasera”? Io so che ce n’è uno, perché lo vedo lavorare, laggiù. Vediamo… ecco là due luridi negri. E fra quei due negri c’è un giudio usuraio. E… là c’è un altro giudio, due usurai e tre luridi negri. E c’è anche uno ‘spaghetti’, giusto? Mhm? Ooh, ecco un altro ‘spaghetti’. E, uh! Ecco là un greco traditore… e poi un paio di spagnoli unti… e poi anche tre ubriaconi irlandesi vestiti bene… E poi c’è un tipo nero, nero, nero, moro… brutto. Un lurido negro. Ho tre usurai qui, qualcuno dice cinque usurai, siamo a cinque usurai. Qualcuno dice sei spaghetti? Ho sei spaghetti, qualcuno dice sette negri? Ho sette negri! Aggiudicato. Io passo con sette negri, sei spaghetti, cinque ubriaconi irlandesi, quattro greci traditori e tre usurai. Stavi per spaccarmi la faccia, vero? Ehehe, e con questo siamo arrivati al punto. Ovvero che è la repressione di una parola quella che le dà violenza, forza, malvagità. Attenti. Se il presidente Kennedy apparisse in televisione e dicesse: “Vorrei farvi conoscere tutti quanti i negri del mio gabinetto”. E se continuasse a dire: “Negro, negro, negro, negro”, a tutti i negri che vede. “Moro, moro moro moro, negro negro negro”, finché negro non significa niente, mai più. Allora non vedreste più piangere un bambino di colore di sei anni perché qualcuno a scuola lo ha chiamato “Negro”.

All’apertura del sipario lo troviamo disteso a terra, senza vita. Diagnosi: acuto avvelenamento da morfina causato da overdose accidentale. Aveva 40 anni. Suicidio? Omicidio? “Nell’ambiente si diceva che la scena sia stata costruita ad hoc dalla polizia”.

Di certo il politicamente scorretto ha sempre dato fastidio al potere in quell’America puritana di quegli anni. Le morti misteriose dei tossicodipendenti lasciano sempre forti dubbi. Penso al volo di Chet Baker da una finestra del quarto piano del Prins Hendrik Hotel di Amsterdam, quel venerdì 13 maggio dell’88…

Marco FIORAMANTI  Roma 12 Ottobre 2025