“Gli stemmi di Santa Maria del Popolo” in un raffinato volume di Maria Teresa Cantaro

di Rita RANDOLFI

Gli stemmi di Santa Maria del Popolo di Maria Teresa Cantaro

I repertori sono sicuramente tra i volumi più consultati dagli studiosi, in quanto facilitano enormemente la ricerca fornendo i dati essenziali da cui partire per approfondire la conoscenza. La storia dell’arte non fa eccezione rispetto ad altre discipline scientifiche, e  suona come ridondante il sottolineare quanto i tomi del Forcella, gli indicatori dell’Ottocento, gli elenchi dei quadri esposti alle mostre di S. Salvatore in Lauro della De Marchi,  ma anche il lavoro sugli Stati delle Anime degli anni giubilari settecenteschi curati dalla Debenedetti, tanto per citarne alcuni,  siano diventati “il pane quotidiano” di chi si occupa della ricostruzione di personalità artistiche, di committenti, di quelle micro-storie che costituiscono la trama e l’ordito della grande storia.

In questo filone si inserisce il libro Gli stemmi di Santa Maria del Popolo, scritto da Maria Teresa Cantaro, edito da Palombi. Come l’autrice stessa ha spiegato nell’introduzione, il volume è il   frutto di un interessante progetto che si è sviluppato in due momenti diversi. La prima ha coinvolto la stessa Cantaro come docente di  storia dell’arte, la prof.ssa Graziella Marcoccio, docente di rilievo architettonico  e gli studenti della VA e VB  a.s. 1997-98 del liceo  artistico romano, “Alberto Savinio”, successivamente intitolato a  Giorgio De Chirico, che, in collaborazione con i funzionari  Anna Maria Pedrocchi e Stefano Petrocchi dell’Ufficio  Catalogo della Soprintendenza ai Beni Artistici e Storici di Roma,   sono stati impiegati in una campagna  di  rilevamento grafico degli stemmi presenti nella chiesa di S. Maria del Popolo, utilizzando la scheda OA, oggetti d’arte, messa a punto dall’Istituto Centrale del Catalogo e della Documentazione.

La seconda fase di analisi e raffinato studio storico, artistico e araldico è stata condotta individualmente dall’autrice, che ha ripreso in mano questo materiale “grezzo”, già depositato presso l’archivio della Soprintendenza di Roma, e incrociando i dati raccolti con fonti di varia natura, ha dato vita ad un libro che ripercorre la storia di quattro secoli di araldica a partire dallo stemma più antico 1432 fino a quello più recente del 1868. La catalogazione degli stemmi è preceduta da due paragrafi: in uno sono analizzate le diverse tipologie di supporti, nell’altro si illustrano tutti i simboli, le insegne, le differenti forme degli scudi gentilizi.  Ogni scheda ripercorre sinteticamente le notizie biografiche essenziali del personaggio e della casata cui appartiene il blasone, che viene descritto accuratamente, con la specifica del materiale in cui è realizzato e dell’artista che lo ha eseguito. La documentazione iconografica è affidata ai centododici disegni a rilievo elaborati dagli ex alunni, tredici in tutto, ognuno con il suo tratto distintivo. I restanti capitoli forniscono notizie di rapida consultazione, un repertorio araldico e gli elenchi cronologici degli stemmi e degli autori.

Gli scudi araldici, oltre che preziosi suggeritori dell’identità dei committenti, sono un vero e proprio manufatto artistico, scolpito talvolta da grandi nomi, come Andrea Bregno, Isaia da Pisa, Antonio Pollaiolo, Andrea Sansovino, Giacomo della Porta, Gian Lorenzo Bernini, Raggi Guidi, Scipione Tadolini, Giuseppe Tenerani, fratello del più noto Pietro ecc.  tal altra da scalpellini qualificati che seguono le direttive dei maestri, ma aggiungono il loro tocco creativo, conformandosi allo stile dell’epoca in cui vivevano.  Risalgono ai secoli XVI e XVII i cosiddetti stemmi parlanti, costituiti da cognomi trasformati in immagini o oggetti che assumono valenza iconica di una famiglia. La maggior parte degli scudi gentilizi (circa duecento campionati in novantacinque schede),  la cui datazione è desunta dalle iscrizioni che li accompagnano, corredano monumenti funerari e appartengono ad esponenti della curia: cardinali, vescovi, protonotari apostolici, ma non mancano armi di laici come giuristi, giureconsulti  o artisti, tra cui, ad esempio,  Gaspare Celio Il ruolo sociale rivestito dai detentori dei blasoni viene svelato  da altre insegne, come cappelli,  elmi, gonfaloni, croci, attributi vari, mentre oltre a quelli sulle tombe,  sono stati presi in considerazione anche  altri  stemmi visibili  su architetture, balaustre, pavimenti, vetrate, paramenti sacri, ma sempre contenuti all’interno di uno scudo. La reiterazione di un emblema dipende, ovviamente, dalla volontà del committente di essere glorificato nel futuro. I più ripetuti quelli dei Della Rovere, titolari di più cappelle all’interno della chiesa, dei Cibo, dei Chigi, di cui è possibile anche studiare l’evoluzione stilistica attraverso i secoli.

Solo undici sono gli stemmi appartenenti a donne, il cui emblema è inquartato, con quello del consorte. Tra tutti spicca la composizione decisamente trasgressiva dello stemma di Vannozza Cattanei, celebre amante del cardinale Rodrigo Borgia, dal quale ebbe ben quattro figli. La relazione proibita fu coperta con tre diversi matrimoni. All’interno dell’unico scudo sopravvissuto alla distruzione, voluta da Giuliano Della Rovere, per cancellare il ricordo della donna, compaiono sia gli elementi araldici dell’amante che del terzo marito, cosa alquanto inconsueta e quindi evidentemente permessa dal Papa stesso.  La chiesa romana ospita anche alcuni scudi gentilizi di famiglie provenienti dall’estero, Spagna, Portogallo, Francia, Polonia, Boemia, Russia. In questo panorama lo stemma di Teresa Pelzer donna e straniera, sposata con Antonio Cerasi, discendente di quel Tiberio committente di Caravaggio, costituisce un unicum, in quanto ripetuto per ben due volte sul monumento funebre, scolpito da Giuseppe Tenerani, che la ritrae con in braccio il figlioletto, la cui nascita decretò la sua precoce dipartita all’età di soli ventisei anni.

Il manufatto araldico non può prescindere dalla storia dell’edificio sacro, motivo per cui le lastre tombali medievali, per lo più reimpiegate nel pavimento, risultano poco leggibili e talvolta scomparse del tutto a causa del calpestio dei fedeli. Altri scudi sono stati invece volutamente cancellati, per garantire una sicura damnatio memoriae di personaggi scomodi o sconvenienti; è il caso della già menzionata Vannozza e del suo amante, il cardinale Rodrigo Borgia, divenuto pontefice con il nome di Alessandro VI. Notizie circa gli stemmi perduti o quasi del tutto abrasi dal tempo, si evincono in ogni caso dal Forcella e da altri fonti letterarie.

Il progetto  di sperimentazione iniziale, che aveva lo scopo di entusiasmare ed  avvicinare gli allievi di un liceo artistico allo studio dell’araldica  e al rilievo dal vivo, si è trasformato in uno strumento prezioso di conoscenza, fondato su una disciplina che il dott. Francesco Paolo Magnanti alla presentazione del volume, ospitata nella splendida cornice della Biblioteca Casanatense, ha definito dell’immediatezza, in quanto rivelatrice con un immagine di un’individualità, una storia, un ruolo politico. È grazie dunque al sogno avveniristico di due docenti e alla caparbietà della Cantaro che la storia dell’arte dispone di questo nuovo e importante contributo, e questo è ciò che accade quando la scuola diventa una fucina di idee innovative per appassionare i giovani alla ricerca.

Rita RANDOLFI     Roma  6 ottobre 2019