Gianni Papi ad About Art: “Orazio Borgianni? Non fu caravaggesco, ma è un genio!” Prosegue con successo a Palazzo Barberini la prima mostra sull’artista.

P d L

La chiusura di ogni inziativa espositiva causata dalla terribile pandemia oltre a mettere in grave crisi tutto il settore legato alla cultura e al turismo ha certamente compromesso il lavoro di quanti avevano preparato eventi di grande rilievo, come si presentava ed in effetti è, questa che si espande in sei sale di Palazzo Barberini. Dedicata per la prima volta ad Orazio Borgianni, un pittore che visse gli anni della grande rivouzione caravaggesca, curata da uno studioso come Gianni Papi che più di altri ha fatto luce su molti interpreti e su tante vicende del caravaggismo, l’esposizione presenta 35 opere e rilancia la figura di un artista di prima grandezza noto a molti ma anche da alcuni sottovalutato. La conversazione che il curatore ci ha gentilmente concesso introduce crediamo in modo esauriente alla mostra e presenta non poche novità destinate a far discutere.

-Dopo la lunga e dura pausa ora l’esposizione su Orazio Borgianni finalmente riapre al pubblico, con l’artista che torna al centro dei tuoi studi dopo tanti anni trascorsi dalla monografia

R: Si, sono passati ben 27 anni, la monografia risale al 1993

-La prima domanda che ti pongo riguarda la scelta delle opere che competono solo alla fase romana dell’artista che copre circa un decennio dal 1605 al 1615, anno della sua morte; perché questa scelta?

R: Per due motivi; da un lato è stata una decisione presa con la Direttrice della Galleria Barberini, Flaminia Gennari Santori, di non allestire una mega mostra ma inserire una trentina di dipinti che poi, grazie alla sua disponibilità sono diventati trentacinque; quindi, dovendo operare una scelta che tenesse conto di questo, per me era assolutamente essenziale privilegiare la fase romana; perché? Ma perché – e qui è il secondo ordine di motivi – è questa a mio parere la fase determinante della produzione di Orazio Borgianni, cioè quella in cui egli apre una linea di naturalismo del tutto originale e che influenzerà una serie di artisti di primo piano che per questo ho ritenuto di presentare in mostra con alcune delle loro opere.

-Tu fai riferimento ad una linea di naturalismo del tutto originale inaugurata dal Borgianni, e allora se ti chiedessi se come artista rientra nella schiera dei seguaci di Caravaggio cosa risponderesti?

Ottavio Leoni, Ritratto di Orazio Borgianni, Vienna, Graphische Sammlung, Albertina, inv. 827

R: La domanda è giusta e la mia risposta è che definire Borgianni come un seguace di Caravaggio o comunque un caravaggesco rappresenta una forzatura; questo è in realtà un luogo comune che prevale ormai da anni ma che è giunto il momento di rimettere in discussione; si tratta di un’idea novecentesca affermatasi in seguito agli studi di Roberto Longhi che certamente hanno avuto un grande rilievo e che hanno giustamente influenzato anche gli studi successivi; Longhi com’è noto inserisce Borgianni nella triade che a suo parere era la più prossima al maestro lombardo, ossia Saraceni, Orazio Gentileschi e appunto Borgianni, individuata come il cuore del stesso del caravaggismo, gli autentici protagonisti. Ora sono passati molti anni da allora e le ricerche sono proseguite; nel frattempo molte sono le novità intervenute, per cui su questi tre artisti abbiamo una conoscenza assai più articolata e dialettica, oltre che sul fenomeno del caravaggismo e del naturalismo in generale.

-Intendi dire che occorre aprire una porta nuova sulla fase del naturalismo, oltre il lessico caravaggesco?

R: Intendo dire che ridurre tutto all’influenza di Caravaggio è limitativo e che ad esempio, per rimanere ai tre artisti che Longhi amava in particolare, occorre dire che non è possibile oggi definirli come i più vicini al genio lombardo.

-Se è così allora quali possono essere invece considerati tra gli artisti dell’epoca quelli autenticamente caravaggeschi?

R: Secondo me sono quelli che vengono citati nella “schola” di Caravaggio, ossia Cecco, Ribera, Manfredi e Spadarino. A differenza di questi grandissimi artisti, Borgianni assume invece secondo me il rilievo di una personalità autonoma, capace di sviluppare un lessico suo, particolare, originale, autonomo, in cui l’influenza di Caravaggio è semplicemente una componente, ma non tale – per rispondere alla tua domanda – da poterlo inserire tra i suoi seguaci o definirlo tale. Borgianni ha una caratura sua, originale, ed è creatore di un linguaggio altrettanto originale che trasmette, che influenza altri artisti.

-Insomma, l’aspetto più rilevante della mostra sta proprio nell’aver messo a fuoco questa caratteristica, cioè l’individuazione di una direttrice naturalistica autonoma rispetto al caravaggismo tradizionale, se possiamo dire così, che anzi se ne distacca e si pone al di fuori o a latere.

R: Diciamo meglio, che si pone in alternativa; si tratta di un naturalismo fatto di tante componenti in cui certo fa la sua parte quella caravaggesca, ma che affonda le radici nel Cinquecento e soprattutto è da sottolineare l’importanza a mio parere determinante della componente emiliana. Mi riferisco in particolare a Lelio Orsi, a Correggio, a Parmigianino, a Ludovico giovane, come pure all’esperienza veneta, penso in primis a Tintoretto, come pure a Bassano, a cui si aggiunge El Greco durante gli anni spagnoli.

-Si tratta però, come tu stesso riconosci, di esperienze nate in soggiorni non documentati, a parte quello spagnolo, ma comunque su questo aspetto torneremo, mi preme adesso insistere su questo che mi pare l’elemento determinante della mostra, che concerne Borgianni creatore oltre che fautore di una linea naturalistica che tu definisci alternativa a quella caravaggesca e alle influenze che ciò determina

Guido Cagnacci, Madonna col Bambino, Olio su tela, cm 82 × 63
collezione Koelliker, inv. LK1507

R: Secondo me è una linea piuttosto evidente che nasce come dicevo da una complessità culturale; su questa linea si porranno personaggi di primo livello, quali Lanfranco, Vouet, Serodine e altri che ho voluto inserire in mostra come Gramatica, Guerrieri, Bassetti o come Cagnacci (sia pure in un periodo ristretto della sua attività, quello romano) e Bononi, ma c’è anche Vignon con un dipinto che ho giudicato assai significativo sotto questo aspetto,  ed anche Tanzio, il quale sebbene fosse a Napoli, tuttavia nulla vieta che possa aver potuto approcciare Borgianni in un soggiorno romano.

 

Carlo Bononi,
Compianto sul corpo di Cristo, Olio su tela, cm 51 × 68
Cagliari, Crobu Inc.

-Viene però da chiedersi, considerata quest’ampia serie di artisti che costituiscono secondo la tua ricostruzione una sorta di cerchia borgiannesca distinta dai componenti della “schola”, e considerato che più o meno tutti si incrociano a Roma in quegli anni fatali seguiti alla scomparsa del Merisi, se sia del tutto corretto inserirli in contesti artistici pur facenti capo al naturalismo e tuttavia alternativi, partendo peraltro dalla considerazione, che mi pare scontata, che non ci fosse stato Caravaggio neppure loro ci sarebbero mai stati.

R: A mio avviso è del tutto evidente che Caravaggio influenza i pittori che vengono classificati nella sua “schola: è chiaro il debito nei suoi confronti di Cecco e più ancora di Spadarino, mentre è vero che per Ribera si dovrebbe aprire un altro discorso che però ci porterebbe troppo lontano, dato che a sua volta lo Spagnoletto fornisce una sorta di aggiornamento del naturalismo che influenzerà una moltitudine di pittori. Ma coloro che sono influenzati palesemente dai componenti della “schola” del Merisi appena citati operano in parallelo rispetto a coloro nei quali riconosco invece l’influenza di Borgianni. L’unica eccezione può essere rappresentata da Serodine, perché almeno per un certo periodo credo che abbia avuto uno spiccato interesse per Ribera, mentre poi nel terzo decennio recupererà un linguaggio più caldo, assai più pittorico che a mio avviso gli deriva da Borgianni e naturalmente si aggiorna anche su Guercino. Del resto non ti sto dicendo una novità, è un parere espresso a suo tempo anche da Longhi.

-Possiamo dire insomma che Borgianni grazie a questa mostra si presenta come un vero e proprio caposcuola capace di elaborare un lessico autonomo e dagli esiti particolarmente fecondi?

R: Sì, secondo me lo si può dire

Orazio Borgianni, Autoritratto, Galeria Nazionale d’Arte Antica Palazzo Barberini (sx) ; e Orazio Bogianni, Autoritratto, Accademia nazionale di San Luca (dx)

E probabilmente questo proprio in forza delle varie componenti che s’inseriscono nella sua formazione dove però ad esempio non hai citato Raffaello.

R: Ma certo, c’è anche la rivisitazione di Raffaello, ma nel complesso il fascino del Cinquecento è come se per lui richiamasse a una sorta di gusto per il passato, per il secolo precedente, ma, e vorrei sottolinearlo, non inteso come atteggiamento retrò, non è un recupero che significa guardare indietro, al contrario, lì sono le premesse e l’origine di un linguaggio nuovo.

-Per tornare alla esposizione, dicevi che per scelta precisa non compaiono quadri se non del periodo romano di Borgianni, tuttavia c’è da ritenere che ad esempio la fase non certo breve trascorsa in Spagna non sia stata estranea alla elaborazione del suo linguaggio, o sbaglio?

R: E’ abbastanza evidente che i quadri spagnoli non risentano del clima caravaggesco né che abbiano rapporti di alcun tipo con le opere del Merisi, poiché sarebbe cronologicamente impossibile, visto che il periodo spagnolo abbraccia un arco di anni che va dal 1598 al 1605, circa sette otto anni, durante i quali Borgianni non può certo aver visto le novità caravaggesche. Invece proprio a cominciare dalla produzione spagnola si può evincere quanto possa essere stata importante l’esperienza emiliana, tramite Lelio Orsi e gli altri pittori che nominavo poco fa e che certamente egli deve aver studiato, come pure ci vedo esiti derivati da Niccolò dell’Abate, con quei paesaggi che tendono al fiabesco, al fantasmagorico.

Ed El Greco?

R: Anche El Greco fa parte del bagaglio culturale di Orazio; credo che sicuramente abbia meditato sui capolavori del toledano, pensiamo al Crocefisso di Toledo, o a quello di Cadice; e in ogni caso è nota la presenza di Borgianni a Toledo.

-È risaputo peraltro che in Spagna ebbe committenti molto importanti, in particolare Francisco de Castro e poi Juan de Lezcano e altri…

R: È vero ma fai attenzione, si tratta di rapporti che poi sviluppò a Roma sia tramite quei grandi committenti spagnoli ma anche tramite gli ordini religiosi, perché sono spagnoli sia i Trinitari che i Mercedari, che gli commissionano le due fondamentali pale con protagonista San Carlo.

Orazio Borgianni, San Carlo Borromeo visita gli appestati, Olio su tela, cm 300 × 141 Roma, Curia Generalizia dell’Ordine della Mercede

Te lo facevo notare perché invece in Italia Borgianni non rientra tra i pittori al servizio delle grandi famiglie italiane, mi riferisco, tanto per fare dei nomi straconosciuti, ai Barberini, ai Borghese, ai Giustiniani, agli Aldobrandini e così via che si contendevano i migliori artisti su piazza; perché a tuo parere?

R: In collezione Giustiniani esistevano alcuni dipinti di Borgianni, né va sottovalutata la commissione da parte di un committente molto interessante, che dovrebbe venire approfondito, come Tommaso Melchiorri, per il quale Borgianni esegue quel capolavoro sfortunatissimo che è la cosiddetta pala di Sezze (ma in origine probabilmente nella chiesa di san Francesco a Ripa), vale a dire l’Apparizione della Vergine a San Francesco, datata 1608, che è poi l’anno della morte – dai risvolti misteriosi e inquietanti – di Tommaso.

Orazio Borgianni, Visione di san Francesco (o La Vergine che consegna
il Bambino a san Francesco), Olio su tela, cm 170 × 130
Sezze (Latina), Antiquarium Comunale
Ministero dell’Interno – Fondo Edifici di Culto

-Un altro punto non facile da spiegare è la decisione del trasferimento in Spagna fra il 1597 e il 1598.

R: In effetti non è facile da spiegare la scelta di andarsene in Spagna alla vigilia del Giubileo del 1600. Come spiegarlo? Evidentemente Orazio dovette rendersi conto di avere la strada sbarrata, di essere ancora poco noto come pittore, tra i tanti che arrivavano e frequentavano Roma in quel torno di anni; e in ogni caso andare via dalla capitale pontificia a ridosso del Giubileo resta una scelta poco chiara oltre che illogica dato che quell’evento avrebbe potuto portare occasioni di lavoro certamente più a Roma che in Spagna.

Quando Borgianni rientra in Roma instaura una solida amicizia con Giovan Battista Marino (che infatti gli dedica notevoli pagine nella Galeria), il quale nel campo letterario è un po’ un irregolare, in effetti sta tentando un rinnovamento del linguaggio e dello stile poetico-letterario che fallirà, essendo contrastato dai Barberini (è noto che il pontefice Urbano VIII si piccava di essere un valente poeta); possiamo immaginare che lo stesso accada a Borgianni anch’egli impegnato nell’introdurre un rinnovamento del lessico pittorico che come si è visto non produsse granchè nel campo della grande committenza romana?

R: Quello che si può pensare secondo me è che una tendenza al rinnovamento dei linguaggi artistici in senso lato possa certamente aver favorito l’instaurarsi o anche il consolidarsi di certi legami, di certe amicizie; non mi sono occupato direttamente io di questi aspetti, ma c’è un saggio illuminante di Yuri Primarosa in catalogo, proprio a questo riguardo; per parte mia posso ribadire che Borgianni sia stato un pittore sicuramente anomalo nell’ambito degli artisti che gravitavano nella cerchia del caravaggismo – probabilmente più carenti come risorse intellettuali. Borgianni invece ebbe frequentazioni assai prestigiose in tal senso: penso all’Accademia degli Umoristi, a Battista Guarini (del quale eseguì due ritratti), ad esempio. Ipotizzare che egli abbia potuto valersi di esperienze di questo tipo per la sua crescita artistica è tutt’altro che un’idea peregrina.

-Sempre rimanendo in questo discorso che in qualche misura affronta il contesto nel quale Borgianni si forgiò ed operò ti chiedo se i quadroni raffiguranti San Carlo Borromeo riflettano anche una componente concettuale con cui l’artista ebbe a misurarsi.

R: Non c’è dubbio, basti pensare che i due grandi dipinti vennero realizzati per i due ordini religiosi dei Trinitari e dei Mercedari; è da ritenere peraltro che entrambi gli ordini fossero interessati ad omaggiare il più presto possibile il cardinale lombardo che aveva certamente segnato un’epoca e che era stato canonizzato da poco, nel 1610. Borgianni è il primo artista a ritrarlo in queste vesti per la chiesa dei Trinitari, probabilmente nel 1611, e con ogni probabilità il dipinto non dovette essere molto apprezzato dall’ordine – qui mi rifaccio ad una osservazione di Marco Gallo che ritengo molto giusta  – dal momento che la Trinità è stata situata dall’artista proprio in alto, in posizione defilata, così che forse non è un caso che la pala venisse poi sostituita (quando fu realizzata chiesa la borrominiana di San Carlino alle Quattro Fontane) e collocata in locali secondari.

Orazio Borgianni, San Carlo Borromeo in adorazione della Trinità, Olio su tela, cm 217 × 151 Roma, Chiesa di San Carlo alle Quattro Fontane Proprietà dell’Ordine dei Trinitari

-Una cosa che colpisce relativamente alla vicenda umana di Orazio Borgianni, oltre al tradimento dell’amico Celio su cui ti chiederò qualcosa, è la totale antipatia, non saprei come altro definirla, mostrata nei suoi confronti dal biografo Giulio Mancini.

R: E’ così, ed è davvero molto strano che non ne faccia mai parola nelle sue Considerazioni e neppure in altri scritti ed io ho una mia idea al riguardo, anche se non sono però il solo a pensarla così, cioè che il biografo, picchiato duramente dal Borgianni in una circostanza che sembra ricordata nella biografia di Baglione, non gliel’avrebbe mai perdonata; è incredibile ad esempio che parlando dei quadri nella Chiesa di Sant’Adriano non faccia il minimo cenno al suo quadro (cioè il San Carlo che visita gli appestati) mentre ricorda precisamente quello del Saraceni.

-Ecco, non può forse aver giocato in questo anche il Celio, in qualche modo, anche lui sicuramente interessato ad una damnatio memoriae del suo ex amico?

R: Non saprei proprio dirlo, le Vite del Celio ancora non le conosciamo ma non mi risulta ad oggi che ci possa essere stato un così stretto legame tra il pittore e il biografo tale da indurre quest’ultimo a ignorare completamente Borgianni. Resto del parere che la causa del totale oscuramento sia da ricercarsi nello scontro fisico, di cui probabilmente fu vittima Mancini; d’altra parte sul caso Celio / Borgianni sappiamo solo ciò che riporta Baglione: fu il Celio a screditare Borgianni presso un alto prelato spagnolo per sottrargli il Cavalierato del Portogallo che gli era stato promesso, insinuando che Orazio gli avesse rifilato delle copie e non dipinti originali e che quindi lo avesse raggirato. E fu lui così a fregiarsi del cavalierato.

-In effetti l’episodio di questo autentico tradimento è noto, però mi sono spesso chiesto per quale motivo Borgianni, che non era certamente uno che porgeva tranquillamente l’altra guancia, non abbia reagito, ed anzi sia finito in una depressione devastante.

R: Quello che invece io mi chiedo è perché il notabile spagnolo abbia potuto credere alla panzana di Gaspare Celio, visto che Borgianni aveva frequentato per anni la Spagna dove come sappiamo aveva intessuto e coltivato amicizie e relazioni importanti, addirittura col de Castro, cioè nientemeno che l’Ambasciatore del sovrano spagnolo a Roma; sarebbe bastato che quello s’informasse magari proprio presso l’ambasciatore stesso per smontare l’accusa. Quanto alla tua domanda, la risposta sta in quello che ci dice Baglione con parole che trovo davvero belle “Molto spesso –cito a memoria- una persona piena di energia fisica, di bellezza e di intelligenza, quando viene presa dallo sconforto non reagisce più”; ed effettivamente è così, per cose di poca importanza si reagisce, ma quando si subisce un torto tanto grave, da qualcuno che è tuo amico poi, allora è probabile che non si abbia più forza ed energia per opporsi e si cede alla depressione.

-Altra cosa che mi fa pensare è che Borgianni in pratica non ha seguaci; perché?

Orazio Borgianni, Martirio di Sant’Erasmo, Olio su tela, cm 131 × 97, Milano, collezione Luca Tagliapietra

R: Borgianni non ha avuto una sua bottega, è vero, o quanto meno non risulta; perché? Perché evidentemente è un pittore che non si faceva aiutare, lo dimostrano i 18 suoi quadri esposti qui a Palazzo Barberini, tutti certamente e completamente di sua mano. Dopo di che è vero che si conoscono altre versioni di uno stesso soggetto, pensiamo al Martirio di Sant’Erasmo, al San Cristoforo, alla Sacra Famiglia, al Compianto sul Cristo morto e così via che forse non si possono considerare tutte autografe e in certi casi occorre parlare di artisti che abbiano riproposte alcune sue immagini; d’altra parte, come si diceva, molte cose ancora non le conosciamo a fondo, siamo ancora a livello di studio, per cui il criterio con cui giudicare un lavoro suo è quello dell’alta qualità dato che non ci sono elementi per sostenere che un artista ics o ipsilon abbia lavorato al suo fianco, quindi di fronte alla qualità elevata si può giudicare se un dipinto sia una sua replica o una copia di qualche altro pittore.

Giovanni Serodine, Elemosina di san Lorenzo, Olio su tela, cm 303 × 171, Casamari (Frosinone), Museo dell’Abbazia

Ora, per entrare proprio nel cuore della mostra, tu sei convinto che Borgianni abbia creato un lessico alternativo nell’ambito del naturalismo e che fu capace di influenzare una cerchia di artisti di gran livello; ti chiedo:  si tratta di influenze di tipo stilistico ed anche concettuale quelle che Borgianni trasmette? Mi spiego meglio: di fronte al capolavoro di Serodine, come l’Elemosina di san Lorenzo, viene da credere che oltre al dato stilistico sia convenuto anche un richiamo di tipo concettuale, comparativo; è così?

R: Certamente, secondo me sono molto evidenti i richiami a quelle componenti pauperistiche di Borgianni che io vedo assai presenti nella pala di Casamari, che tu citi, di Serodine; penso in particolare alla pala di Savona, o a quella dei Mercedari. Ma non minore importanza ha la pennellata di Borgianni, così mossa e morbida, con quella sua capacità di tocco che – non posso non ribadirlo – gli deriva dall’esperienza emiliana, con quella pittura quasi vellutata, fatta di pennellate luminose e vellutate, un invito alla libertà, allo sperimentare, che pare fondamentale per l’esperienza di Serodine.

-Hai detto di Serodine ma nella esposizione hai messo accanto ai quadri di Borgianni anche opere di altri artisti di grande rilievo nell’ambito della pittura seicentesca in generale, autentici maestri di primo livello. E allora mi viene da chiederti: chi tra costoro a tuo avviso è quello che si può dire abbia recepito di più la lezione di Borgianni?

R: Secondo me Lanfranco, che prende davvero molto da lui, e poi anche Simon Vouet, certamente anche per Vouet Orazio fu determinante. E abbiamo già ricordato Serodine.

Giovanni Lanfranco, Davide con la testa di Golia, Olio su tela, cm 127,5 × 152,5 Firenze, Fondazione di Studi di Storia dell’Arte Roberto Longhi
Simon Vouet, Circoncisione, Olio su tela, cm 290 × 191 Napoli, Museo e Real Bosco di Capodimonte

-Mi ha colpito però l’assenza tra tanti grandi di un pittore non meno importante e di rilievo come Domenico Fetti; ci sono ragioni particolari per le quali hai ritenuto di non esporre alcuna sua opera qui a Palazzo Barberini?

R: Hai colto un aspetto importante; e a dirti la verità il problema me lo sono posto, tanto che sono stato molto incerto se inserire anche un’opera di Fetti perché anche lui deve aver avuto dei rapporti, e tuttavia io più che elementi borgianneschi vi vedo in prevalenza degli elementi toscani, legati all’influenza del Cigoli, di cui Fetti fu allievo, oltre se non soprattutto del Rubens; ecco, Fetti mi sembra collegabile più entro questa direttrice anche se poi appare prossimo in qualche misura a Marcantonio Bassetti che invece è presente con un dipinto in questa esposizione; insomma, come vedi questo tema Borgianni – Fetti  è ancora da approfondire.

-D’accordo, ti chiedo due cose inerenti questa esposizione; come è nata? Come ti sei regolato per la richiesta delle opere? Ci sono state difficoltà nel reperirle?

R: Devo riconoscere gran merito alla direttrice di Palazzo Barberini, Flaminia Gennari Santori, che ha aderito subito all’idea che le avevo prospettato di realizzare una esposizione su un grande artista come Borgianni, mai fatta prima, che obiettivamente non era così scontato si facesse, dato che si presentava come un evento super scientifico, se posso dire così, quanto meno non di quelle mega mostre che possono attirare moltitudini di spettatori; nel nostro caso si tratta di proporre un evento che è il risultato di una ricerca che va avanti da anni e che ha come scopo un ulteriore sviluppo degli studi, considerando quanto ancora c’è da chiarire, come in parte abbiamo visto. E dunque ho stilato una lista di opere che ritenevo essenziali, all’inizio erano trenta poi divenute trentacinque, anche qui grazie al placet della Direttrice, e le richieste sono state tutte accettate, ad eccezione di una che non è stato possibile avere, ovvero il David che atterra Golia dell’Accademia di San Fernando di Madrid, sia pure con dispiacere da parte dell’istituzione spagnola, perché già promesso a altra esposizione, cioè quella di Vienna-Amsterdam.

-Non voglio trascinarti in polemiche, m pare però che ci sia stato un secondo diniego …

R: Se fai riferimento al dipinto della Galleria Doria Pamphilj (il San Rocco ndR), l’avrebbero concesso a patto che avessi lasciato come autore Carlo Saraceni, mentre secondo me si tratta di un’opera di Borgianni, e siccome tengono a mantenere l’attribuzione a Saraceni, del resto ribadita nel recente catalogo dei dipinti della Galleria curato da Andrea G. De Marchi, a questa condizione non è stato possibile accordarsi.

-E’ un peccato perché ti avrebbe consentito tra le altre cose di mettere bene a fuoco il rapporto intercorso tra i due artisti, che tra l’altro hai ritenuto che abbiano collaborato al dipinto raffigurante la Madonna col Bambino e sant’Anna.

Pittore prossimo a Orazio Borgianni (Giovanni Serodine?) Ritratto di Carlo Saraceni, Olio su tela, cm 63 × 47 Roma, Accademia Nazionale di San Luca,
inv. 557

R: Esattamente, del resto l’amicizia tra i due è largamente documentata; pensa ad esempio a quando vengono processati perché accusati entrambi di aver armato la mano del sicario che aggredì Giovanni Baglione sui gradini di Trinità dei Monti, oppure quando testimoniano assieme a favore di Agostino Tassi nel noto processo per lo stupro di Artemisia Gentileschi, senza contare che entrambi hanno avuto rapporti stretti con la Spagna, in particolare con Toledo dove Saraceni manda sue opere; insomma sono molte le circostanze che li accomunano; a questo aggiungi la questione dell’ancora misterioso Ritratto di Saraceni dell’Accademia di San Luca eseguito senz’altro da un pittore molto prossimo a Borgianni che secondo me risponde al nome di Giovanni Serodine, un Serodine  ‘giovanile’ naturalmente, visto che il dipinto ha una data del 1616, che potrebbe corrispondere alla data di esecuzione del dipinto. Tuttavia, come sai, le date sui ritratti dell’Accademia sono frutto di una sistemazione settecentesca e quindi devono essere prese con una certa cautela. Rivedendolo in mostra, sono sempre più convinto che si tratti di un ritratto realizzato da Giovanni Serodine.

– E tornando alla pala Barberini di Saraceni con la Madonna col Bambino e sant’Anna?

R: E’ un’idea che io coltivo da tempo in realtà; mi pare che nel dipinto sia evidente, quanto meno lo è per me, che ci siano esiti dissonanti rispetto al linguaggio di Saraceni, che è più piatto, più calligrafico e tornito, mentre nella parte destra in basso del dipinto appare una luminosità differente, un tocco diverso vorrei dire più pittorico laddove compaiono la colomba e la culla; insomma secondo me si tratta di una differenza chiara, tanto che in occasione della mostra ho pensato che fosse il momento di uscire allo scoperto e mettere di fronte al pubblico questa evidenza sostenendo l’idea della collaborazione tra i due anche in ragione della loro amicizia.

Carlo Saraceni con la collaborazione di Orazio Borgianni, Madonna col Bambino e Sant’Anna, Olio su tela, cm 180 × 155, Roma, Gallerie Nazionali di Arte Antica – Palazzo Barberini, inv. 5006

Ma puoi escludere che invece di una collaborazione semplicemente Saraceni possa aver cercato di captare le suggestioni della pittura di Borgianni?

R: Ci potrebbe stare, può essere che Saraceni sia rimasto così attratto dal linguaggio del suo amico da cercare di imitarlo, però mi chiedo: solo in una parte del dipinto e solo questa volta? Sarebbe strano.

In ogni caso non si può negare allora che ci possano essere state altre tele in collaborazione.

R: Se ti riferisci a Saraceni è sicuro (probabilmente non più con Borgianni, ma con altri pittori), ne sono sempre più convinto. Anzi aggiungo che è talmente strano il catalogo delle opere di questo artista che secondo me qualcosa di quanto presentato nella recente esposizione a lui dedicata a Palazzo Venezia andrebbe rivisto. Del resto se vogliamo dirlo in termini moderni per Saraceni, non mi pare illogico pensare – per la grande quantità di commissioni che piovono sul pittore veneziano in quegli anni, dagli esiti piuttosto disparati sul piano qualitativo e stilistico – a una dimensione tipo “factory”.

-Dopo questa esposizione quale può essere una direttrice di ricerca che ti senti di poter consigliare a qualche studioso che volesse approfondire o chiarire i temi che restano in ombra sulla vicenda artistica se non anche umana di Orazio Borgianni?

R: Come abbiamo accennato ce ne sarebbero diversi, a mio parere però il tema dove occorrerebbe davvero fare maggiore chiarezza è quello delle datazioni e delle origini delle sue opere, non si sa molto di quando e per chi molte di queste siano state realizzate se non per via ipotetica, dal momento che la sola di cui abbiamo una certezza cronologica e relativamente alla commissione è la pala di Sezze, per le altre non c’è documentazione cui poter risalire con assoluta sicurezza. Sarebbe quindi importante per chi volesse proseguire gli studi continuare a sondare gli archivi, anche se a dire la verità molto è già stato fatto sotto questo aspetto e non saprei dire cosa potrebbe arrivare di nuovo. Il fatto è che anche rispetto alla mia monografia del 1993 sul fronte delle datazioni dei dipinti non sono emersi dati nuovi e decisivi.

Ci avviciniamo alla fine di questa conversazione, e vorrei riassumere il tuo pensiero scrivendo che con questo evento che hai curato è iniziata la vera rivalutazione di Orazio Borgianni.

Orazio Borgianni, Cristo tra i Dottori, Olio su tela, cm 78,1 × 108 Amsterdam, Rijksmuseum, prestito da Broere. Charitable Foundation, inv. SK-C-1709

R: Spero sia così e puoi scrivere tranquillamente che a mio parere siamo di fronte ad un vero genio dal punto di vista artistico, che si fa apprezzare ed amare anche sul lato umano; pensiamo proprio a quanto sia umana la sua vicenda esistenziale, pensiamo alla triste parabola di un uomo molto bello, secondo la descrizione di Baglione, una sorta di dandy ante litteram (come attesta il meraviglioso Autoritratto giovanile ricomparso in asta proprio nelle ultime settimane di preparazione della mostra), che tiene al suo aspetto, che lo cura; non a caso l’ho posto a confronto con Courbet per quell’atteggiamento un po’ nel segno del narcisismo; ma nello stesso tempo egli non esita a mostrarsi senza nessun filtro, nel pieno di un drammatico decadimento fisico, nell’Autoritratto dell’Accademia di San Luca.

-Come dicevi prima per questo si tratta di oltrepassare certi luoghi comuni che sembrano ancora prevalenti.

R: In parte provengono dalle pagine scritte da Roberto Longhi che, come è noto lo amava, ma che lo rappresentava come esponente della stretta cerchia dei caravaggeschi, cosa che, come abbiamo detto e come spero appaia chiaramente dalla mostra qui a Palazzo Barberini, in verità non fu, o almeno fu solo in parte; d’altra parte l’imprimatur di Longhi, che considerava Borgianni come il suo pittore prediletto, ha comunque contribuito a consolidare la figura di Borgianni e a tenerla in primo piano in un ambito, cioè quello caravaggesco, oggetto spesso di equivoci, come tento ormai da tempo di sottolineare. Poi magari altri pittori dell’epoca hanno potuto godere in questi anni di attenzioni maggiori da parte della critica e quindi hanno tenuto maggiormente la scena, come ad esempio Orazio Gentileschi o lo stesso Saraceni (solo per citare i due pittori che accompagnavano il nostro pittore nella triade longhiana), pittori peraltro che a mio avviso non hanno la qualità e la complessità stilistica che ha Borgianni.

-A proposito di questo aspetto possiamo terminare l’incontro svelando, per quello che puoi, ai lettori di About Art quali eventi hai in cantiere?

R: Se tutto va bene dovrebbe realizzarsi una esposizione a cui sto pensando da tempo, dedicata ad un altro grande artista su cui, come per Borgianni, mai è stata realizzata una mostra, cioè Cecco del Caravaggio.

-Accidenti, sarebbe uno splendido evento; mi auguro che la cosa possa andare in porto e che magari tu riesca a portare in Italia quello che giudico personalmente uno fra i più eccezionali quadri caravaggeschi di sempre, cioè la Resurrezione Guicciardini che ora si trova a Chicago.

R: Purtroppo non credo proprio che questo sarà possibile, perché quel capolavoro da lì proprio non lo muovono; e comunque ora vale la pena di concentrarci su Borgianni che mi auguro davvero che, anche grazie a questa mostra, possa avere i riconoscimenti di artista davvero geniale che merita.

P d L Roma 28 giugno 2020