George de La Tour a Milano; riapre la mostra dedicata al geniale artista lorenese (prorogata fino al 27 settembre)

di Sara MAGISTER*

 A Milano la mostra su La Tour lascia davvero un segno nel profondo dell’anima, oltre che negli occhi.

Anzi, l’artista è uno di quelli che più si aguzza la vista per scrutare quello che veramente ci vuole dire, e più la sua freccia penetra nel cuore e nello spirito di chi lo guarda.

Georges de La Tour è oggi considerato uno dei massimi pittori del Seicento francese, ma anche uno dei più misteriosi. I documenti ci dicono che nacque nel 1593 a Vic-sur-Seille, in Lorena, e che a suo tempo fu un apprezzato e ricercato persino dal re di Francia Luigi XIII. Proprio il re in persona lo nominerà suo pittore ordinario nel 1639, e gli concederà di risiedere nelle gallerie del Louvre, dove avrà occasione di eseguire dipinti anche per il cardinale Richelieu. Il suo genio, poi dimenticato per secoli, verrà riscoperto solo di recente e ancora molte sono le domande lasciate aperte sulla sua poetica.

I saggi inclusi nell’ottimo catalogo ne parlano diffusamente: dove ha imparato La Tour, ad esempio, a usare la luce in quella maniera così magica? E da chi ha tratto l’interesse per un realismo spesso portato all’estremo? Da Caravaggio, durante un suo eventuale, ma non documentato, viaggio in Italia? Oppure dalla tradizione artistica della sua stessa terra di origine? Certo è che l’artista ha rielaborato queste fonti in maniera originale, approfondendo il suo sguardo per portarlo oltre il visibile, in quella zona d’ombra in cui spesso immerge i suoi soggetti.

Georges de La Tour, San Giovanni Battista nel deserto, 1649 ca., olio su tela, Vic-sur-Seille, Musée départemental

Una delle caratteristiche principali di La Tour è il denso silenzio in cui avvolge i suoi soggetti sacri. Ed è proprio il suono sordo del silenzio, a catturare subito l’attenzione del visitatore nell’opera che apre il percorso di mostra, la Maddalena, ma anche in quella che la chiude, il san Giovanni Battista nel deserto. La Maddalena penitente, o meglio la santa in meditazione sulla vanità degli effimeri e fugaci piaceri del mondo, era un soggetto particolarmente apprezzato dalla Chiesa tridentina. Frutto di una sintesi di personaggi in realtà diversi citati nei vangeli, era identificata con la prostituta poi convertita e penitente, divenendo un potentissimo exemplum sull’importanza della contrizione e della penitenza nel perdono dei peccati, e su come la salvezza fosse possibile per tutti, persino per i peggiori peccatori. Un tema assai frequente quindi, ma che nel 1635-40 La Tour, e il suo eventuale committente, interpretano in maniera del tutto nuova.

Perché nulla, in apparenza, sembra denotare come Maddalena questa fanciulla dai capelli bruni e liscissimi. I santi di La Tour, infatti, non hanno mai l’aureola, e spesso nemmeno i volti idealizzati, o i colori o le vesti classiche che la tradizione di solito gli associa. Sono invece raffigurati come persone vere, semplici e umili, con le mani grosse e callose di chi lavora sodo, vestiti con i polverosi abiti dei moderni popolani. Lo si vede bene in mostra nei tre esemplari appartenenti alla strepitosa serie degli Apostoli del 1615-1620, un tempo affissi nella cattedrale di Albi, ove spiccano in particolare il san Filippo e il san Giacomo Minore.

Georges de La Tour, San Filippo, 1625 ca., olio su tela, Norfolk, Chrysler Museum of Art
Georges de La Tour, San Giacomo Minore, 1625 ca., olio su tela, Albi, Musée Toulouse-Lautrec

A renderli speciali sono il contesto in cui sono messi, i loro sguardi distaccati dal mondo, le sottili azioni che compiono, e i loro gesti. Dettagli sottili ma importanti, questi, che ci fanno intuire che questi uomini o queste donne non sono soli, e che qualcosa di molto profondo e speciale sta avvenendo dentro la loro anima.

Maddalena è sola in una stanza buia, illuminata esclusivamente da una candela. Ne vediamo la punta della fiamma, ma la sua luce è schermata ai nostri dalla sagoma scura del teschio. Un simbolo chiarissimo, con cui siamo indotti inevitabilmente a fare i conti, se vogliamo capire cosa succede oltre. La strategia compositiva e comunicativa messa in campo da La Tour è geniale, e raggiunge in pieno quello che è il comune obiettivo di tutta l’arte sacra del Seicento: indurre chi guarda alla meditazione, a porsi le stesse domande che anche i santi si sono posti. E a decidere, come loro, sulla sua stessa vita.

1. Georges de La Tour, Maddalena penitente, olio su tela, 1635-1640 ca., Washington DC, National Gallery of Art, Ailsa Mellon Bruce Fund

In quello specchio, simbolo ben noto di vanitas, si era riflessa anche la peccatrice Maddalena, per rendersi bella con la cipria ancora posta lì accanto. Ma ora al posto del suo volto giovanissimo e perfetto lei stessa – e lo spettatore con lei – non vede più quello che lei è, ma quello che sarà, o meglio, quello che è davvero: un essere non eterno nel mondo, destinato a sfiorire, se… una luce non le avesse improvvisamente aperto gli occhi su qualcosa di molto più importante, non le avesse permesso di vedere oltre. La Tour trasforma, infatti, la luce fisica della candela in una fiamma metafisica, che illumina la stanza, ma anche la riscalda, e sul volto di Maddalena crea effetti simili all’alabastro, di fatto trasfigurandone il suo aspetto umano in senso divino. Maddalena non ha paura, il suo volto è sereno e consapevole, accarezza il teschio senza timore, perché quella luce le ha riempito l’anima.

Lo stesso schema di luce filtrata viene adottato da La Tour in un’altra sua opera di fase più tarda e di grande impatto visivo, nonostante lo stato di conservazione non perfetto. Il tema è l’Educazione della Vergine e qui persino Maria è priva dell’aureola,

5. Georges de La Tour (e bottega?), L’educazione della Vergine, 1650 ca., olio su tela, New York, The Frick Collection

ma la luce della candela parzialmente schermata dalla sua mano accende il testo della Bibbia, e il volto immacolato della Vergine: è lei l’eletta, la madre del Salvatore annunciata dalle Sacre Scritture. Ancora una volta, quindi, la luce fisica permette di andare oltre l’ostacolo visivo. E di capire dove si posa la luce della Grazia.

Georges de La Tour, Giobbe deriso da sua moglie, 1650 ca., olio su tela, Épinal, Musée départmental d’Art ancien et contemporain

Un meccanismo comunicativo, questo, che si riscontra anche in un’altra tela dalle grandi dimensioni, quasi tutta occupata dalla figura incombente e imperiosa di una donna che indossa vesti secentesche. La scena raffigura il profeta Giobbe seduto, dolorante per le piaghe lui inferte dalle prove del Signore, ma irremovibile nella sua accettazione del disegno predisposto per lui, mentre la scettica moglie lo tenta nella sua fede, sostenendo in una mano una candela. Questa però trasfigura e riscalda solo il corpo dell’uomo di Dio, non di chi non lo è, o non lo vuole vedere.

A differenza di Caravaggio, La Tour dichiara quasi sempre la fonte oggettiva da cui proviene la sua luce. Ma il risultato concettuale è lo stesso: non possiamo fermarci alla sola valutazione di quello che vediamo in senso materiale, perché è chiaro che materia e simbolo, forma e contenuto, sono qui profondamente connessi.

Sara MAGISTER   Roma giugno 2020

Georges de La Tour, l’Europa della Luce, a cura di Francesca Cappelletti e Thomas Clement Salomon, Milano, Palazzo Reale, 7 febbraio – 7 giugno 2020. Catalogo Skira Editore.

La mostra ha riaperto il 28 maggio, ed è stata eccezionalmente prorogata fino al 27 settembre, con apertura dal giovedì alla domenica. Orari: giovedì: 10-22,30; venerdì, sabato, domenica: 11-19,30. Prenotazione obbligatoria. Info e biglietti sul sito: http://www.georgesdelatourmilano.it
*Per gentile concessione della Direzione de “Il Timone. Mensile di Apologetica”, pubblichiamo anche in questa sede l’articolo di Sara Magister comparso su Il Timone, anno XXII, nr. 195, maggio 2020, pp. 46-48.