di Nica FIORI
Frida Kahlo nelle fotografie di Nickolas Muray. La mostra nel Museo storico della Fanteria
Le numerose mostre su Frida Kahlo (Coyoacán, Città del Messico, 1907-1954), l’artista forse più carismatica del Novecento, da diversi anni hanno fatto conoscere in tutto il mondo la sua pittura in gran parte autobiografica, densa del suo vissuto drammatico e allo stesso tempo delle trasformazioni storiche e sociali del suo paese. Lei, che negli autoritratti sfoggiava abiti tradizionali del Messico (in particolare l’abito tehuana di Oaxaca) come simbolo di vicinanza con il popolo, si sentiva figlia della rivoluzione messicana, tanto da giungere a dichiarare di essere nata nel 1910, l’anno di inizio della rivoluzione.
Mentre in Messico la Kahlo ha sempre goduto dell’apprezzamento popolare, a livello internazionale la sua fama era oscurata da quella del marito muralista Diego Rivera (1886-1957), con il quale ebbe un tormentato rapporto, finché negli anni ‘80 del Novecento non è stata riscoperta dalla critica femminista e assurta a oggetto di culto e icona internazionale.
Frida, con il suo fascino esotico e l’eccezionale temperamento, ha influenzato non solo numerosi artisti, ma anche musicisti come i Coldplay, Joaquín Sabina, Madonna, e perfino il nostro Marco Mengoni, che nella canzone La Casa Azul del 2018 s’identifica nel suo ardore creativo:
“Il mondo sta sulla punta delle mie dita / chiuso fra un letto, uno specchio, una gioia labile / cosa hai dipinto para mí chiquita / ho mescolato in silenzio colori e lacrime / ed è un disegno che si confonde già / l’ombra di un segno che mi nasconde ma / sento la notte che bacia i miei piedi / anche se non la vedi, / sapessi il rumore che fa (…)”.
Il riferimento è alla “Casa blu” (diventata una casa-museo già nel 1958) nel sobborgo di Coyoacán, dove la pittrice era nata e dove trascorse gran parte della sua vita, contrassegnata all’età di 17 anni da un terribile incidente, che la costrinse a lungo in un corsetto di gesso prima di riprendere a camminare. La giovane aveva la schiena spezzata, ma riuscì a risollevarsi, grazie soprattutto alla voglia di dipingere (la madre aveva collocato uno specchio sopra il letto, perché lei potesse raffigurarsi con i pennelli), mentre nel corso della sua vita non poté mai portare a termine una gravidanza, per via degli organi genitali compromessi (oltretutto dovette subire nel tempo diversi ricoveri e operazioni e perfino l’amputazione di una gamba nel 1953). Ma Frida amava la vita e cercò di viverla in tutti i sensi.

Alla sofferenza fisica si aggiunse quella psicologica, quando nel 1939 divorziò dal marito Diego Rivera (sposato nel 1929), che era giunto a tradirla addirittura con la sorella di lei.
Sempre secondo le parole di Mengoni:
“Ho disegnato un amore che sembra vero / Una pozzanghera illusa d’essere cielo / Ed una lacrima fine che non si può vedere / Una collana di spine la strada fatta insieme”.
In realtà nella vita di Frida, pur così legata a quella di Diego, tanto da sposarlo una seconda volta dopo il divorzio, ci sono state altre relazioni amorose, in particolare quella con Nicholas Muray, il fotografo di origine ungherese (naturalizzato americano), cui si deve l’immagine fotografica più nota di Frida Kahlo, quella sulla panchina bianca, scattata a New York nel 1939.

Ed è proprio questa foto (diventata poi una famosa copertina della rivista Vogue), accostata a un abito uguale a quello indossato dalla Kahlo, ad accogliere i visitatori della mostra Frida Kahlo through the lens of Nickolas Muray, ospitata nel Museo Storico della Fanteria dell’Esercito Italiano fino al 29 giugno 2025.
Si tratta di un’immagine che indubbiamente esalta la sua bellezza ispanica, anche se qualcuno potrebbe obiettare che non rientra nei canoni classici di beltà muliebre, per via di un eccesso di peli sopra la bocca e nelle sopracciglia che appaiono congiunte. Sarebbe bastata una pinzetta per eliminarli, ma lei amava apparire per quello che era e anzi i suoi autoritratti sembrano proprio esaltare questa originalità del suo volto, che la rende particolarmente magnetica. Non per niente, come scrisse in una lettera al suo “caro dottore” Leo Eloesser:
“Bellezza e bruttezza sono un miraggio, perché gli altri finiscono per vedere la nostra interiorità”.
L’esposizione, prodotta da Navigare srl, da una iniziativa del Ministero della Difesa – Difesa Servizi S.p.A, con il patrocinio di Regione Lazio, Città di Roma e Ambasciata del Messico in Italia, è curata da Vittoria Mainoldi. L’intento è quello di restituire un’immagine della femminilità e della personalità di Frida Kahlo, attraverso lo sguardo di chi condivise con lei una profonda amicizia e una relazione romantica per circa dieci anni.

L’incontro tra Muray e Frida avvenne nel 1931, quando il fotografo, che aveva il suo studio a New York, si recò in Messico in vacanza con il suo amico Miguel Covarrubias, un artista che era stato studente di Diego Rivera. L’innamoramento tra i due fu immediato e, dopo la fase romantica, sopravvisse l’amicizia fino alla morte di lei. In realtà lui avrebbe voluto che Frida diventasse la sua terza moglie, ma lei era troppo attaccata al marito e, anche se si conoscono altre relazioni, fu sempre Diego al centro dei suoi pensieri. Nei primi anni di frequentazione clandestina tra Frida e Nick, ovviamente nei periodi in cui lui si recava a Città del Messico o lei negli Stati Uniti, Muray non la ritrasse con il suo obiettivo, forse per una sorta di pudore. Le prime foto risalgono al 1937 e proseguono fino al 1946, offrendo una singolare prospettiva da amante, amico e confidente.

Sono esposte più di 50 foto, in bianco e nero e a colori, che mettono in luce il profondo interesse della Kahlo per la tradizione messicana e gli aspetti più intimi della sua vita (vi è anche una foto di un bacio tra lei e il marito) e della sua arte, come nella foto che la ritrae mentre dipinge nel 1939 Le due Frida.
Una foto in bianco e nero mostra Frida con lo stesso Muray, che sembra quasi volerla proteggere sostenendola da dietro. In un’altra è lei che mette la sua mano sul collo di lui. Muray fu tra i primi a intuire la grandezza di Frida come pittrice e l’aiutò quando lei, invitata dal surrealista André Breton, fece una mostra a Parigi nel 1939.
Le foto a colori, ancora pionieristiche in quegli anni, ci colpiscono particolarmente per la ricchezza cromatica degli indumenti indossati e per lo sguardo a volte diretto e a volte indirizzato di lato. In un paio di foto appare con una sigaretta in bocca, emblema di una modernità che si ritrova nell’uso del rossetto e dello smalto sulle unghie, mentre contrasta con l’abbigliamento vintage, che la pittrice prediligeva per una scelta anche politica.

L’impressione è che la Kahlo amasse essere fotografata, allo stesso modo delle dive dello spettacolo, tanto che per posare in vere e proprie sedute fotografiche si portava dietro numerosi vestiti, scialli, fiori, gioielli e oggetti di contorno.

Del resto ha posato volentieri anche per altri fotografi e fotografe, tra le quali si ricordano Dora Maar e Tina Modotti. La riscoperta di Frida Kahlo come artista è probabilmente riconducibile alla mostra del 1982 alla Whitechapel Gallery di Londra, in cui le opere della pittrice erano esposte accanto a quelle della fotografa Modotti, ma sono proprio le foto di Muray quelle che, secondo la curatrice Mainoldi, “sono diventate la prima immagine che viene alla mente quando si pensa alla pittrice messicana, sono diventate un’icona. Sono parte integrante della comprensione di chi fosse Frida Kahlo come individuo dietro l’opera d’arte”.
La mostra è suddivisa in 7 sezioni: Fotografie di Nickolas Muray; Lettere; Lo studio di Frida; Abiti; Gioielli; Francobolli; Sala video, con un totale di oltre 100 oggetti che rivelano molteplici aspetti della personalità e dei gusti dell’iconica artista.
In particolare sono stati riprodotti minuziosamente otto abiti tradizionali (ricamati a mano), da lei indossati con i relativi accessori, e sei parure di gioielli realizzati artigianalmente in argento, perle di fiume, coralli, turchesi, conchiglie. Frida adorava accostare e sovrapporre tra loro diversi accessori che abbinava con gonne ricamate e copricapi floreali che mettevano in risalto, così come gli orecchini, le belle trecce da tehuana. Quando partecipava a eventi importanti, tutti si fermavano ad ammirarla, perché sembrava un omaggio vivente alla “messicanità”.



Una sezione è dedicata ai francobolli emessi da numerosi Paesi per ricordare Frida Kahlo, a cominciare dal 2001, con la prima emissione da parte degli Stati Uniti d’America, a testimonianza dell’ammirazione per Frida come artista e come donna, simbolo di forza e tenacia, e inoltre vi è la ricostruzione fedele della stanza-studio di Frida a Coyoacán, con la fotografia che ritrae Muray e Frida nello stesso studio. Ma, proprio a due passi, è collocata la scritta che ricorda la vita di Frida e Diego nella Casa azul, al di sopra di alcune statuine della cultura locale.



Non è presente nessun dipinto di Frida Kahlo, ma vi sono le riproduzioni dei quadri da lei donati a Muray e di altri da lui acquistati, tra i quali risalta particolarmente l’Autoritratto con collana di spine e colibrì del 1940, che sembra far riferimento alla profonda ferita spirituale infertale dal marito.
Nel complesso la mostra è ben articolata e illuminata adeguatamente nelle diverse sezioni espositive. L’unica pecca è la mancata traduzione del testo delle lettere indirizzate da Muray a Frida, fotografate dagli originali conservati nell’archivio Muray: lettere che ovviamente sono scritte a mano in inglese e pertanto non risultano d’immediata comprensione.
Nica FIORI Roma 16 Marzo 2025
“Frida Kahlo through the lens of Nickolas Muray”
Museo Storico della Fanteria dell’Esercito, piazza di Santa Croce in Gerusalemme, Roma
15 marzo – 20 luglio 2025
Orari: dal lunedì al venerdì ore 9,30 – 1,30; sabato, domenica e festivi 9,30 – 20,30.
Biglietto intero: 15 euro. Biglietteria in sede e su ticketone.it.
Informazioni: www.navigaresrl.com