di Marco FIORAMANTI
“ELETTRA, O DELLA COLPA”, MITO E TORMENTO NEL MONDO CLASSICO*
Roma, Teatro Arcobaleno fino al 23 marzo
ELETTRA, da Sofocle
Drammaturgia e regia Giuseppe Argirò- Con Micol Pambieri, Elisabetta Arosio, Melania Fiore, Vinicio Argirò
ARCHETIPO CONTEMPORANEO
Lo spirito di vendetta: amici, su nient’altro finora gli uomini hanno meglio riflettuto.
Friedrich Nietzsche

All’aprirsi lento del sipario la macchina del fumo lancia nell’aria l’odore di morte che, dall’inizio dei secoli, riverbera nella mente dell’uomo il dramma dell’odio e della morte violenta.
Il grande tavolo da pranzo in legno – unico oggetto al centro della scena – esce dalla coltre di nebbia del Tempo, diventa luogo infinito, trascendente.
Ai suoi piedi giace disperata Elettra (un’intensa e coinvolgente Micol Pambieri), vestita a lutto.
Assetata di vendetta per l’assassinio del padre Agamennone, voluto da sua madre Clitemnestra per mano dell’amante Egisto, cugino del re, al fine di usurparne il trono, Elettra trama con suo fratello Oreste – ben interpretato dal giovane Vinicio Argirò – per uccidere sua madre. ‘Sangue chiama sangue’, sono parole che ritornano più volte in scena. Sarà di Oreste il gesto finale, violento del pugnale assassino, a porre fine a una vendetta annunciata.


A partire dal testo di Sofocle, il regista, Giuseppe Argirò, presenta il mito di Elettra con “una drammaturgia originale, originata dalla coincidenza di più testi”.
L’intera rappresentazione è costantemente carica di pathos. Clitemnestra, nei panni rosso sgargiante di una strabiliante Elisabetta Arosio risulta perno della scena, esplode ritmicamente dal buio e grida al mondo le sue diverse realtà.

Scalza, i suoi piedi nudi ci ricordano l’antico, inarrestabile dolore, denunciano la sua disperazione di madre per il sacrificio di Ifigenia e annunciano l’inevitabile catena di assassinii. A chiudere la composizione scenica dei personaggi la sorella di Elettra e Oreste, la bionda Crisotemi (l’ottima attrice Melania Fiore), simbolo di un femminile “marginale” incapace di agire, diviso tra l’amore per la madre e la complicità coi fratelli.
Una rappresentazione molto efficace, quella messa in scena al teatro Arcobaleno, intesa a focalizzare gli eterni – e quindi anche gli attuali – problemi dei rapporti generazionali. Giuseppe Argirò così si esprime nelle sue note di regia: