Eleonora D’Aquitania e la centralità della donna nella Rinascenza del XII sec.

di Annarosa MATTEI*

Scrittrice

Ricordare oggi una donna colta e libera come Eleonora d’Aquitania fa molto riflettere sulla condizione femminile attuale, certamente avanzata rispetto ai suoi tempi ma, al di là dell’apparenza, ancora oscurata da mostruosi atti di violenza e depotenziata da radicati pregiudizi. Proprio in questo senso è sorprendente come una donna di un’epoca remota, assai più faticosa e difficile della nostra, sia riuscita a promuovere una radicale rinascita culturale fondata sulla centralità della figura femminile.

Eleonora è stata duchessa d’Aquitania e due volte regina. Amante e protettrice della poesia e delle arti, che coltivava lei stessa con passione, è stata protagonista della rinascenza del XII secolo insieme alle sue figlie e figli.

Nel mio libro, L’enigma d’amore nell’occidente medievale, proprio a lei e alla sua famiglia sono riservate alcune pagine. Ne riporto qui alcune per ricordare alle donne e agli uomini di oggi che la civiltà della cortesia e della fin’amor nacque intorno a lei nel segno della magistrale funzione femminile nel processo di formazione di ogni essere capace di gentilezza.

Quanto si è già accennato sulla storia del potente ducato di Aquitania e sul suo radicamento nella tradizione romana, sull’influenza della cultura mozarabica spagnola nell’area pirenaica e provenzale, sui rapporti con la civiltà islamica a seguito delle crociate, sull’arricchimento della classe feudale e sulla conseguente scoperta degli intrattenimenti raffinati e del lusso, riguarda tutta la società aristocratica dell’epoca ma tocca in modo particolare le dame di alto lignaggio. Alle signore dei castelli capita spesso, mentre i mariti combattono e muoiono in Terra Santa, di ritrovarsi sole e libere ad amministrare i loro feudi e a gestire in prima persona la vita di corte conquistando autonomia e autorevolezza.

Dalla seconda metà dell’undicesimo secolo il processo di rinnovamento mentale e comportamentale, avviato dalla diffusione dei riti della fin’amor e maturato nel secolo successivo, non a caso definito dagli storici un secolo di ‘rinascenza’, si concentra all’interno delle grandi corti signorili, dove alcune aristocratiche dame gestiscono le fila del discorso amoroso promuovendone personalmente la circolazione.

Il caso di Eleonora – Aliénor in lingua d’oc, Eléanor in lingua d’oïl – duchessa di Aquitania, regina di Francia e poi regina d’Inghilterra, è quello più esemplare per comprendere la profonda mutazione del costume e della condizione femminile, che si registra soprattutto nelle corti del Mezzogiorno francese per una serie complessa di ragioni storiche e geografiche.

Eleonora d’Aquitania, in un ritratto di Joos van Cleeve

Eleonora, nipote di Guglielmo IX, duca di Aquitania, il trovatore più antico di cui si abbia notizia è l’ultima erede di un vasto dominio. La nobile dama vive e si forma a Poitiers, dove nasce tra il 1120 e il 1122. Donna leggendaria per la sua cultura, per i suoi amori, per i costumi assai liberi e soprattutto per l’indomabile energia con cui vive un’esistenza lunga, romanzesca, mobile e inquieta, segnata da forti interessi artistici, letterari, politici. Va a cavallo, legge e scrive in latino, conosce la musica, la matematica, la letteratura, si circonda di poeti.

Dal castello di Poitiers, noto per la vivacità culturale e per la festosa gaiezza fin dai tempi del suo bisavolo, la quindicenne Eleonora si trasferisce a Parigi, a seguito del matrimonio con l’altrettanto giovane Luigi VII, re di Francia.

Cercamon (da Wikipedia)

Per vivacizzare l’atmosfera austera della corte capetingia Eleonora invita giullari e trovatori, come il guascone Cercamon, brillante autore di canzoni, tenzoni, sirventesi, pastorelle, assai poco gradito al marito e ai severi dignitari di corte. La giovane segue il re nella seconda crociata (1147-49), assai criticata per la leggerezza dei suoi modi e del suo stesso abbigliamento, facendosi accompagnare dal trovatore Jaufré Rudel, oltre che da un ricco seguito, attraversando in lungo e in largo, per due anni e mezzo, i territori mediterranei, dall’impero bizantino all’Asia minore all’Italia. Nel 1152, dopo quindici anni, il matrimonio con Luigi VII è annullato per sospetto adulterio con una capziosa procedura fondata su un presunto rapporto di consanguineità, che, risalendo indietro di parecchie generazioni, consente ai potenti del tempo di sposarsi più volte con il beneplacito della Chiesa.

La trentenne Eleonora, senza alcun indugio, trascorse solo poche settimane, sposa un giovane che ha circa dieci anni meno di lei, Enrico II Plantageneto, conte d’Angiò e duca di Normandia, che nel 1154 assume la corona d’Inghilterra. Eleonora, portando in dote un enorme patrimonio territoriale costituito dai feudi di Aquitania, Guascogna, Poitou, ne consegna la titolarità prima a Luigi VII e poi a Enrico II, senza immaginare che, accrescendo i domini continentali del re d’Inghilterra, pone le basi del lungo conflitto destinato a opporlo per un secolo al re di Francia.

La vita di Eleonora, sin dalla prima giovinezza, è un’avvincente parabola, ricca di amori, avventure, colpi di scena che la vedono di volta in volta trionfatrice o vittima, come quando è rinchiusa per quindici anni nelle fortezze inglesi di Enrico II per avere appoggiato, nel 1173, la rivolta dei figli contro il padre. Il prediletto di Eleonora, poeta egli stesso, è il valoroso e leggendario Riccardo Cuor di Leone, su cui lei vigila incessantemente, andando in suo soccorso nei momenti di necessità con tenacia e dedizione, sostituendolo nel governo durante la sua partecipazione alla terza crociata (1189-92) e in altri momenti d’impegno militare. Le figlie – valga solo il caso di Maria di Champagne – non sono da meno della madre, di cui ripercorrono il cammino, favorendo la diffusione dell’arte e della poesia in altri territori e in altre corti europee.

Eleonora muore ottantenne, nel 1204, dopo aver visto morire il marito e gran parte dei suoi figli, compreso l’amato Riccardo. Il monumento funebre, nell’abbazia di Fontevrault, la ritrae severa e composta, mentre tiene un libro aperto tra le mani. L’immagine della cultura cortese, da lei amata, promossa e sostenuta, non potrebbe essere più eloquente. Cosa c’è scritto nel libro? Poesie? Il codice d’amore di Andrea Cappellano? Quel libro, qualunque cosa contenga, è di per sé l’oggetto reale e simbolico della nuova cultura cortese, il segno di una svolta decisiva nei difficili percorsi d’integrazione della donna, che studia, legge e scrive e dice di se stessa attraverso il linguaggio della poesia e dell’amore.

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Ovunque risieda, dal prediletto e avito castello di Poitiers, alle corti d’Inghilterra e di Normandia, è proprio la nobile Eleonora a sollecitare questi passaggi culturali con la sua munifica attività di mecenatismo, proteggendo e ospitando artisti e poeti, sollecitando con i suoi stessi spostamenti la circolazione degli uomini e delle idee. Tutta la sua famiglia partecipa in modo manifesto a questo processo di maturazione e diffusione della cultura cortese con un’azione continua e capillare.

Il figlio più amato, Riccardo Cuor di Leone, è egli stesso un poeta e un fine cavaliere, lodato da molti trovatori, nelle cui vidas è spesso ricordato.  Gaucelm Faidit, in un compianto scritto in occasione della sua morte, avvenuta nel 1199, per le ferite ricevute nel corso dell’assedio al castello di Chaluz, nel Poitou, fa una commossa rievocazione del signore “savis” (saggio) e “cortès” (cortese), lodandone le virtù, più evidenti che mai in un tempo definito “fals sègle truan” (secolo falso e ingannatore).

” Mòrtz es lo reis, e son passat mil an/ Qu’anc tant pròs om non fo, ni no’l vi res / Ni mais non èr nulhs òm del sieu semblan, / Tant larcs,  tant rics, tant arditz, tals donaire,

(…)

Ai! Valens reis sénher, e qué faràn/ Oimais armas ni fòrt tornei espés,/ Ni richas cortz ni bèlh  don aut e gran, / Pòis vos no’ i ètz, qui n’eratz capdelaire”

(Morto è il re e mille anni sono passati da quando ci fu e si conobbe un uomo così valoroso, e giammai ce ne sarà  uno simile a lui, così munifico, così prode, così ardito, così prodigo (…) Ahimé! O valente signor re, che diverranno ormai le armi, i rudi tornei dove ci si preme, le ricche corti e i doni grandi e magnifici , poichè voi non ci siete più,  voi che ne siete il maestro).

Riccardo è un re poeta, come il suo antenato, Guglielmo IX, duca di Aquitania, e scrive indifferentemente in due lingue, francese e occitanico. Come il bisavolo, si trova a gestire la difficile situazione politica dei territori aquitani che il re di Francia, Filippo Augusto, intende riportare sotto il suo dominio. La vita di Riccardo Cuor di Leone è assai movimentata, per i continui viaggi, le campagne militari, la crociata, le guerre contro il padre, contro il fratello, Giovanni senza terra, e i suoi tentativi di usurpazione.

Di lui sono rimaste due poesie, un sirventés in francese, in cui rimprovera a due trovieri di non appoggiarlo nella lotta contro Filippo Augusto, e una rotrouenge (in provenzale retroensa, varietà di canzone da ballo) scritta durante la sua prigionia in Austria in francese e in occitanico.(5) Siamo nel 1192, quando Riccardo, costretto a rientrare dalla Crociata per affrontare gli intrighi del fratello  e del suo alleato, Filippo Augusto, re di Francia, viene fatto prigioniero dal duca d’Austria e consegnato, l’anno successivo, all’imperatore di Germania, Enrico VI, suo nemico, che lo libera solo dopo il pagamento di un pesante riscatto raccolto grazie all’impegno della madre Eleonora.

Nella chiusa della rotrouenge, Riccardo, che attende di essere rimesso in libertà dai suoi alleati, così si rivolge alla sua sorellastra, Maria di Champagne:

“Suer comtessa , vòstre prètz sobeiran / Sal Dieus, e gart la bèla qu’ieu am tan / Ni per cui soi ja pres” 

(Sorella Contessa, che Dio guardi il vostro merito sovrano,/ e che egli protegga la bella Dama che io amo tanto/ e per la quale io sono una prima volta prigioniero).   (Bec, 1979, pag 229)

La “suer comtessa”, Maria, figlia di Eleonora e di Luigi VII, dal 1164 moglie di Enrico I, conte di Champagne, scrive in francese e in latino, sostiene le arti e la letteratura come sua madre, tanto che trasforma la corte di Troyes in un fiorente centro culturale. Grazie all’attivo mecenatismo di Maria, Troyes, snodo di straordinari incroci di tradizioni, mentalità e costumi diversi, diventa uno dei centri della ‘rinascenza’. Proprio a Troyes, infatti, la libertà dei comportamenti e delle idee provenienti dall’area sudoccidentale, combinandosi con il patrimonio mitico bretone e le tendenze classicistiche e conservatrici espresse dalla cultura francese del Nord, genera temi, forme e procedimenti espressivi del tutto nuovi secondo un’originale alchimia.

Si deve in gran parte a Maria e ai suoi autori prediletti, ospiti della sua corte, la diffusione su larga scala della dottrina d’amore anche oltre i confini del territorio francese: il De amore di Andrea Cappellano e i favolosi romanzi cavallereschi di Chrétien de Troyes, scritti su sua commissione, sono, infatti, le opere chiave dell’intera civiltà cortese, capaci di trasmetterne i temi e i riti incidendo in modo duraturo sul gusto e la sensibilità, non solo del suo tempo, ma anche dei secoli successivi.

Annarosa MATTEI  Roma 10 gennaio 2021

*Da: L’enigma d’amore nell’occidente medievale, La lepre edizioni, 2017, pg.85-87; 148-150