E nacque l’Eur. “Tradizione vs modernita”; quando Piacentini sconfisse i giovani razionalisti.

di Francesco MONTUORI

Migranti sull’About

di M. Martini e F. Montuori

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Protagonisti del film di Pasolini Uccellacci Uccellini, Toto’ e Ninetto Davoli errano per il suburbio e la campagna romana; dialogano con un linguacciuto corvo marxista sul loro destino: sullo sfondo gli enorme palazzi marmorei dell’E’42 appaiono, abbandonati alla loro totale solitudine, simboli  della distanza dalla realtà e dalla vita. Pasolini coglie la sostanza di fondo della nuova città protesa verso il mare: lo spazio vuoto (fig.1).

Fig 1

Oggi, a più di ottanta anni dalla sua fondazione, nuovi ed impegnativi edifici hanno riempito quei vuoti su cui galleggiavano gli edifici originari voluti dal regime fascista; così mentre della parte monumentale originaria si intravvede tutt’ora una vaga intenzionalità e coerenza, gli edifici del dopoguerra che hanno riempito quei vuoti ci appaiono insignificanti, privi di qualità e di carattere.

Sappiamo da tempo che non e’ possibile trasferire il giudizio politico sul regime fascista ad un giudizio estetico sulle sue realizzazioni monumentali. Giudizio che non può essere emesso che a partire dai problema dell’oggi : come la vediamo dunque oggi questa nuova città?

Giò Ponti

Giò Ponti, visitando il cantiere che veniva sorgendo in aperta campagna (fig. 2)

Fig 2

scriverà un resoconto per il Corriere della Sera del maggio 1939. Lo intitolò “L’E’42 Città Favolosa”. Ponti e’ colpito dalla magia del sito, veramente stupendo. Giò Ponti rivendica l’originalità e la modernità dell’E’42, il suo potere evocativo, simbolico, di pura rappresentazione architettonica. Non di comunicazione, ma di pura astrazione si tratta: la nuova città “è una città straordinaria … e nasce dai monumenti che conserveranno il suggello di una visione puramente ideale ed astratta … La città dell’E’42 sarà favolosa, teatro di architetture favolose; chi vedesse in esse un positivo ritorno a partiti classici … s’è ingannato. Non è certo l’architettura romana che torna, ma è l’architettura italiana che ferma in un lirico gesto l’evocazione dell’architettura antica.” Come in certi paesaggi architettonici di De Chirico le architetture dell’E’42 appaiono visioni evocative attraversate dal silenzio.

Architetture che vennero magistralmente reinterpretate, negli anni ’60, nel film L’eclisse da Michelangelo Antonioni. Qui Vittoria (Monica Vitti) si separa dal suo compagno (Francisco Rabal); il loro addio è freddo, indolore, quanto il loro rapporto era stato apatico. Vittoria sola e avvilita si aggira per l’Eur: lunghi silenzi, architetture metafisiche riflettono l’incomunicabilità dei sentimenti che turbano Vittoria (fig. 3).

Fig 3

Cronologia.

Nel 1935 Bottai, ministro della cultura, autore della prima Legge urbanistica tuttora vigente, propone a Mussolini di candidare Roma per l’Esposizione Universale del 1942 e di celebrare così, solennemente, il ventennale della marcia su Roma. Il senatore Vittorio Cini verrà incaricato per la creazione di un apposito ente autonomo; guiderà dal nuovo Palazzo per Uffici presto realizzato (fig. 4) un imponente macchina organizzativa di cui gli edifici della grande esposizione costituiranno le strutture della nuova città. Un programma di sicura presa propagandistica e di preciso spessore storico, artistico e tecnico.

Fig 4

L’area prescelta e’ quella delle Tre Fontane a sud-ovest di Roma; leggermente ondulata permetteva da un lato un facile collegamento con il mare, dall’altro si riconnetteva verso il centro della Capitale con le altre realizzazioni del regime: la zona archeologica della Terme di Caracalla; via dei Trionfi, che collegava il Circo Massimo con il Colosseo; via dei Fori Imperiali e piazza Venezia. Cardine della nuova città sarà la via Imperiale che collegherà Roma al mare dando vita ad una struttura urbanistica “più nobile, più romana, più imperiale”.

Il 15 dicembre 1936 Mussolini, dopo un lungo sopralluogo, confermerà la scelta dell’area delle Tre Fontane. Viene nominata la “Commissione degli urbanisti” incaricata di redigere il piano regolatore della nuova città; ne faranno parte Pagano, Piacentini, Piccinato, Rossi e Vietti, quattro architetti del movimento razionalista e un accademico d’Italia, Piacentini, già grande mediatore del compromesso della Città Universitaria e che si appresterà, solo un anno dopo, a realizzare la demolizione della spina di Borgo e ad aprire la nuova via della Conciliazione.

Pagano, direttore della rivista Casabella e animatore del gruppo dei razionalisti, ricorda l’entusiasmo che animò inizialmente il gruppo dei progettisti: “gli architetti si sono messi al lavoro con l’entusiasmo che un impresa del genere non poteva mancare di suscitare”.

Al lavoro dunque.

Nel mese di aprile del 1937 veniva presentato al capo del Governo un progetto di massima che il 28 aprile veniva approvato nel corso di un esame sul posto; una simbolica piantagione di tre pini nel sito in cui sorgerà il grande cubo del Palazzo della Civiltà Italiana (oggi il cosidetto Colosseo quadrato, sede della fondazione Prada …), símbolo architettonico della nuova città. Ancora Pagano annotera’

“Sul terreno concreto del lavoro, l’autorità di Piacentini, accademico d’Italia, si e’ immediatamente fusa con gli entusiasmi degli altri colleghi e la collaborazione e’ stata totale e veramente efficace”. La città nuova “potrà inorgoglirsi delle sue tradizioni e considerare l’architettura moderna come espressione concreta del rinnovato clima italiano”.

Ma i problemi insorgono quando si passerà alla fase esecutiva del progetto. Piacentini punta progressivamente a un ruolo dirigente e di supervisione. Egli era rimasto saldamente convinto della necessità di coniugare rinnovamento e tradizione: si rifaceva all’antico come repertorio di forme, nella ormai logora riedizione tramandata dall’eclettismo ottocentesco; considerava il moderno come uno stile fra gli altri e lo identificava nelle opere degli architetti della generazione pre-funzionalista, (Bahrens, Poelzig, Fahrenkamp), come scrisse nel suo testo programmatico Architettura d’oggi. I Quattro giovani razionalisti guardavano al contrario ad un architettura moderna (quella di Mies van der Rohe, Gropius, Le Corbusier) legata al movimento razionalista internazionale e, secondo loro, coerentemente in grado di esprimere il rinnovamento del regime fascista. Non era stato forse Mussolini, nel 1934, un sostenitore della nuova Stazione di Firenze e di Sabaudia, città di fondazione?

Ma il 1934 era ormai lontano. Dopo la conquista di Addis Abeba Mussolini aveva proclamato l’Impero e si erano posti importanti problemi di comunicazione e di propaganda: il principale fra questi era la costruzione del centro imperiale di una città fascista in grado di esprimere la potenza dell’Italia rinnovata e saldamente legata alla romanità.

In questo quadro contraddittorio dove, come sempre e’ stato nel nostro paese, si ripresenta il tema tradizione versus modernita’, Piacentini spezza il gruppo dei cinque e si fa nominare Soprintendente all’architettura dell’E’42 con funzioni di direzione e controllo: il gruppo dei razionalisti viene emarginato e sulla rivista Quadrivio uscirà un articolo di Pensabene che interpreta così la nuova situazione: “Le idee dell’ebreo Mendelsohn e dei comunisti May e Gropius, al pari di quelle del ginevrino Le Corbusier, e’ chiaro che non debbono riguardare l’Italia.”

Piacentini rivede a fondo la soluzione urbanistica dell’E’42 e redige nel 1938 un nuovo progetto definitivo. Nel suo piano tutto torna: ogni piazza ha il suo fondale, ogni veduta prospettica richiama una prospettiva equivalente; si impone alla nuova città un ritmo e un taglio monumentali “degne di quelle pagine urbanistiche che dalle epoche passate ci sono state tramandate.”

Il grande asse della Via Imperiale si articola, nel piano di Piacentini, in un sistema di piazze e di decumani ortogonali alla grande arteria: la piazza di ingresso con la Porta Imperiale; la piazza delle due esedre con i palazzi dell’INPS e dell’INA (fig. 5);

Fig 5

il decumano con i due poli simmetrici del Palazzo dei Congressi e dei Ricevimenti (fig. 6) e del Palazzo della Civiltà Italiana (fig. 7);

la piazza Imperiale con l’obelisco centrale sul cui asse trasversale si affacciano il Teatro di Luigi Moretti, mai realizzato, e i porticati dei musei di Arte antica e moderna (fig. 8) che si concludono con l’imponente colonnato e il museo della Mostra della Romanità (fig. 9 e 10);

Fig 10

più avanti il grande asse trasversale con agli estremi il Palazzo delle Forze Armate, oggi Archivio di Stato (fig.11) e, sull’altura di fronte, la Chiesa dei SS.Pietro e Paolo (fig.12), l

a cui cupola e’ seconda solo a quella di San Pietro in Vaticano; l’ardito serbatoio dell’acqua, detto il Fungo (vedi fig. 3) e il lago, una grande piazza d’acqua che si concludeva con l’Arco di Adalberto Libera purtroppo rimasto sulla carta (fig.13).

Fig 13

Quanto all’architettura, conclude Piacentini, essa sarà ispirata al “sentimento classico e monumentale” sia in forme “ardite e grandiose” che “moderne e funzionali”. Dunque un compromesso fra neoclassicismo e razionalismo come era prassi nello stile piacentiniano. Pagano prova a criticare Piacentini di “infantilismo figurativo”: per Piacentini il segreto del classico e’ l’edificio sfrondato dei suoi ornamenti … l’accademia compositiva dei volumi. Colonne dunque, ma senza capitelli; archi, ma privi di modanature e preferibilmente: mai archi e colonne insieme, solo archi su pilastri o trabeazioni su colonne!

Vengono banditi i concorsi per gli edifici più importanti. Pagano la chiamerà “la democratica finzione dei concorsi”. Una procedura che evidenzierà come “cento architetti italiani, vivi, entusiasti e veramente coscienti” – su cui aveva contato Pagano – avevano cambiato bandiera. Tranne le poche significative eccezioni di Terragni, Albini, Gardella che furono semplicemente esclusi dai progetti selezionati.

Le ragioni di una sconfitta.

“I razionalisti italiani sono degli antistorici: inconsapevoli dell’unica realtà necessaria alla loro conquista … così dall’europeismo del primo razionalismo si e’ passati con la fredda intelligenza delle situazioni pratiche alla romanità e alla mediterraneità, fino all’ultimo programma dell’architettura corporativa.”

Così, in tempi non sospetti, Edoardo Persico, critico, architetto, scrittore, nel suo illuminato editoriale “Punto e a capo per l’architettura”, pubblicato nella rivista Domus del 1934. I razionalisti negavano che il patrimonio di forme ereditato dalla storia rappresentasse il terreno fertile per sviluppare il loro pensiero architettonico. Ma, al contrario di come lo consideravano gli accademici – che confondono storia con storicismo, presenza del passato con romanità – si trattava di scoprire quello che nella storia non era stato ancora detto, per fare emergere il suo sapere ancora inespresso. La cultura architettonica italiana, concluderà Persico

“si abitua a tutte le astuzie per celare l’inesistenza di una teoria; così non rimaneva che sostituire l’imitazione formale dei modelli che offre la produzione internazionale o, a scelta, dei paradigmi che offre la tradizione.” 

Se questo e’ vero, il gusto della retorica, cifra stilistica che oggi riconosciamo alla nuova città, non e’ che una conseguenza della necessità dell’imitazione. Così l’E’42 rappresentò per i giovani razionalisti un amara “occasione perduta”.

Francesco MONTUORI   Roma   27 ottobre 2019