” … di nascosto portatosi a Roma … diedesi ad osservare di soppiatto e a copiare di nascoso le più bell’opre di Rafaelle”. Il mondo svanito di Simone Cantarini

di Sergio GUARINO

Simone Cantarini (1612 – 1648) – Un giovane maestro tra Pesaro, Bologna e Roma, a cura di Luigi Gallo, Anna Maria Ambrosini Massari, Yuri Primarosa, Urbino, Galleria Nazionale delle Marche, fino al 12 ottobre

L’auspicio – abbondantemente citato – risale al 1950 e spetta a Francesco Arcangeli:

Verrà, qualche volta, una buona giornata anche per Simone Cantarini, un nome ignoto ai più[1].

Settantacinque anni di ricerche, studi e approfondimenti non sono passati invano e, anche se ancora non si possiede una canonica e analitica “monografia di riferimento”, Simone Cantarini gode oggi di una diffusa ammirazione, sia pure tuttora non così ampia come meriterebbero (o meglio, senza condizionale: meritano) le sue belle e numerose opere:

“una quantità di disegni che si stima in migliaia, centinaia le pitture, decine di incisioni e, malgrado non se ne sia identificata alcuna, anche diverse statue in terracotta”[2].

Queste cifre diventano davvero impressionanti se si considera la breve vita dell’artista, nato a Pesaro nel 1612 (riceve il battesimo il 12 aprile) e morto il 15 ottobre 1648 a Verona, dove si era recato per riprendersi da un calamitoso stato di salute, abbandonando un disgraziato soggiorno lavorativo alla corte di Mantova (non si esclude l’avvelenamento).

Come di recente ricordato proprio su questa rivista [3], la profezia iniziale di Arcangeli venne presto ripresa da Andrea Emiliani, che a Cantarini dedicò una parte della sua tesi di laurea (1957) e quindi una serie di contributi, che si sarebbero poi scalati fino al 2012[4], favorendo in tal modo le ricerche degli anni ottanta e novanta del secolo scorso[5], confluite nei saggi e nelle schede delle due mostre monografiche del 1997 a Bologna e a Pesaro[6]. Furono queste, a loro volta, la base fondamentale per le pubblicazioni successive – oltre cinquanta, escludendo le schede dei cataloghi di esposizioni in cui erano presenti opere del Cantarini nonché saggi e schede della rassegna in corso a Urbino, di cui si dirà più avanti, e numerose citazioni non indicizzate – avendo come nodali tappe intermedie le rassegne realizzate nel 2012 in occasione del quarto centenario della nascita[7].

Il fervore degli studi trova la sua principale ragion d’essere nell’eclatante fascino delle opere del pittore pesarese, armoniosamente equilibrate tra afflato poetico e nobile realismo, dove si intrecciano meditate riflessioni sul colore della tradizione veneta e sul classicismo emiliano (che Simone libera da ogni enfasi), spaziando dalla pala d’altare al ritratto, dagli episodi biblici ai temi profani, con inedite e spesso geniali varianti rispetto a consolidate iconografie.

Tuttora non sappiamo di lui quanto vorremmo. Le lacune sulla sua vita e sulla scansione del suo percorso artistico, che persistono malgrado la mole dei contributi, sono dovute all’apparente buona educazione (o reticenza?) di Carlo Cesare Malvasia, che nella Felsina pittrice, giunto alla biografia di Cantarini[8], dichiara esplicitamente di limitarsi a quanto dall’artista operato a Bologna:

lasciandone l’intero, e perfetto racconto a chi le Vite dei pittori Urbinati e Pesaresi così degnamente ha intrapreso”,

vale a dire, come scrive poco più oltre, a “Gioseffo Montani“, ovvero Giuseppe Montano, che secondo diverse fonti non portò a termine l’impresa [9]. Ancora adesso, nelle proposte cronologiche delle opere di Simone, le datazioni oscillano in “blocchi” di due-tre anni, circostanza abbastanza inconsueta soprattutto se riferita, come nel suo caso, alla quasi totalità della produzione.

Fig. 1. Simone Cantarini, Ritratto di Guido Reni, 1637 ca., Bologna, Pinacoteca Nazionale

Il punto critico è ben noto. La fonte primaria rimane la citata biografia pubblicata nella Felsina pittrice, da integrare all’occorrenza con gli scritti inediti del canonico bolognese. Malvasia ha conosciuto personalmente l’artista, lo ha incontrato, possiede alcuni suoi lavori: ma il suo idolo rimane Reni e questo rappresenta uno scoglio insuperabile. Cantarini si sposta difatti a Bologna a poco più di vent’anni, dopo aver già prodotto in area marchigiana, e si affilia alla folta bottega di Guido, di cui esegue un ritratto meritatamente celebre (fig. 1)[10].

Simone però non è un artista inesperto e presto scalpita, cerca proprie strade, diventando progressivamente sempre più consapevole del proprio talento. La rottura è nell’aria e avviene nel 1637 (la fonte è ovviamente Malvasia), in occasione della Trasfigurazione per la chiesa di Forte Urbano di Castelfranco Emilia[11], una commissione barberiniana mediata dallo stesso Reni, che il pesarese realizza nello studio del pittore bolognese. Arriva Guido e – come sua consuetudine all’interno di un consolidato modus operandi di una bottega con una gerarchia ben chiara – corregge il san Pietro: Simone, risentito, volta il quadro e poi, definitivamente, le spalle al divino maestro. Potrà tornare a Bologna solo alcuni mesi dopo la morte di Reni (18 agosto 1642), vale a dire alla fine del medesimo anno o (più verosimilmente) nei primissimi tempi del 1643, grazie anche ai buoni uffici – vi erano altre questioni, economiche e di non piccolo conto –del cardinale Antonio Barberini junior, da lui ben conosciuto (si veda in seguito), legato pontificio a Bologna di fresca nomina, presente in città dal dicembre 1642. Nella città emiliana Cantarini apre una bottega – arrivano da lui Flaminio Torri, Lorenzo Pasinelli e altri – che mantiene fino alla chiamata presso la corte ducale dei Gonzaga a Mantova (1647), dove però gli avvenimenti, come si è detto, prendono una brutta piega, prostrandolo e portandolo a morire a soli 36 anni.

Gli eventi storici, la morte così precoce e l’indubbia suggestione di Malvasia – che ha strada facile nell’attribuire quasi ogni colpa a Simone e alla

“Superbia, tanto abominevole nei soggetti anche più grandi … assai più detestabile negli Artefici benché eccellenti[12]

– avevano fatto ruotare inizialmente intorno a Guido Reni la lettura critica del pittore pesarese, presto apparsa riduttiva e inadeguata (si spiega così la duplice mostra del 1997, non potendosi più circoscrivere l’artista alla sola Bologna): la ricostruzione sempre più analitica del catalogo di Cantarini, mentre ne scopriva i profondi aspetti poetici, ne sottolineava in parallelo la attenta, meditata conoscenza delle ricerche pittoriche coeve (e precedenti), non riconducibile ad una sola corrente, ponendo la questione dei suoi rapporti – e della sua eventuale, sia pure effimera, presenza fisica – con la città di Roma, in anni così cruciali.

Tutto questo viene adesso affrontato (già dal titolo) nella mostra Simone Cantarini (1612 – 1648) – Un giovane maestro tra Pesaro, Bologna e Roma (Urbino, Galleria Nazionale delle Marche, fino al 12 ottobre 2025), ben concepita e ottimamente allestita, curata da Luigi Gallo, Anna Maria Ambrosini Massari e Yuri Primarosa, organizzata dalla Galleria Nazionale della Marche in collaborazione con le Gallerie Nazionali Barberini Corsini, che sarà conclusa nei giorni 13-14 ottobre 2025 da un convegno a Pesaro coordinato da Ambrosini Massari e Primarosa. Una rassegna monografica, va detto subito, da vedere e studiare, così come è da rivedere – non solo per Piero e lo Studiolo (che da soli valgono il viaggio) – il museo che la ospita, dove proprio in questi giorni si vanno completando le iniziative digitali e comunicative (avviate nel 2024 grazie a finanziamenti PNRR) con una nuova sala di postazioni multimediali.

Divisa in sei sezioni [13], la mostra è accompagnata da un catalogo accuratamente edito da Officina Libraria, con diversi contributi e con le schede delle cinquantasei opere esposte (solo alcuni lavori sono di altra mano, per opportuni confronti), illustrate da diverse fotografie di raffronto, una corretta bibliografia e un prezioso indice dei nomi (ma, hélas, non delle schede e soprattutto delle illustrazioni, anche se nel caso dei cataloghi di mostre, quasi sempre stampati pochi istanti prima dell’inaugurazione – quando va bene – si tratta forse di una pretesa di fatto non realizzabile).

L’intento, già dichiarato nella premessa (Simone Cantarini: l’arte nuova in una patria perduta) da Luigi Gallo – che del museo urbinate è il direttore – è quello di ricondurre il percorso pittorico del pesarese in un preciso contesto storico, che prende avvio con la definitiva annessione del ducato di Urbino allo Stato della Chiesa nella primavera del 1631, in parallelo con la produzione iniziale di Cantarini. Nello stesso anno 1631 Simone incontra a Pesaro il ventiquattrenne cardinale Antonio Barberini junior, legato pontificio nell’ex-ducato roveresco, che subito ritrae in due diverse versioni[14] (fig. 2 e fig.3), ritornando poi sul medesimo soggetto qualche tempo dopo, nella tela della Galleria Corsini[15] (le tre opere sono esposte insieme, ed è uno dei meriti della mostra):

Fig. 2. Simone Cantarini, Ritratto del cardinale Antonio Barberini junior, 1631 ca., Roma, Gallerie Nazionali, Palazzo Barberini
Fig. 3. Simone Cantarini, Ritratto del cardinale Antonio Barberini junior, 1631 ca., Roma, coll. priv.

come si è già accennato, oltre dieci anni più tardi il prelato avrebbe avuto modo di favorire l’artista in occasione del suo rientro bolognese.

Ora, il punto è che Antonio Barberini sta avviando, in questi anni, la sua parallela attività di mecenate e collezionista, ricordata nel catalogo nel testo di Paola Nicita (Dal cielo di Urbino alla Reggia del Sole: note sul collezionismo del cardinale Antonio Barberini) e sembra quasi inverosimile che non abbia almeno consigliato a Cantarini un passaggio romano che invece, secondo Malvasia, sarebbe avvenuto molto più tardi e “di soppiatto[16].

Siamo ancora al 1631, con un artista certamente già dotato, che si è formato in patria sulle opere di Federico Barocci, che muore nello stesso anno in cui Cantarini nasce, e di Guido Reni, di cui Simone può facilmente conoscere le opere “marchigiane”: nel 1621 giunge per la Cappella Gabrielli della chiesa di San Pietro in Valle a Fano l’Annunciazione del pittore bolognese, poi spostata nel locale Museo civico; nel 1626, nella medesima chiesa, è collocata la Consegna delle chiavi oggi al Louvre; più avanti arriva a Pesaro la Pala Olivieri (Madonna con il bambino e i santi Tommaso e Girolamo), ora nella Pinacoteca vaticana. Già prima vi era stata la preziosissima esperienza con il veronese Claudio Ridolfi, attivo a Urbino nel terzo decennio del Seicento (alcuni dei suoi lavori effimeri in onore dei Della Rovere aprono la mostra), che lo istraderà verso Venezia nel 1627 (e verso lo studio del colore veneto).

Proprio a ridosso del soggiorno veneziano, in anni precocissimi, è stata datata negli ultimi tempi (e confermata nella scheda in catalogo) da parte di Anna Maria Ambrosini Massari l’Adorazione dei Magi ora a Bologna (coll. Unicredit, fig. 4), anticipandone la cronologia al 1628-1630, sulla scorta di una annotazione del 1675 in cui Alessandro Fava – che senza dubbio conosceva bene Cantarini, possedendone ben 12 opere – ricorda come il 2 dicembre 1666 avesse comprato da Lorenzo Pasinelli, antico allievo del pittore

una tavolina d’altare con l’Adoratione de Maggi … La tavola è bellissima et è sul gusto Venetiano fatta à Venetia quando vi studiava.
Fig. 4. Simone Cantarini, Adorazione dei Magi, 1632-1634 ca. (qui proposto), Bologna, coll. Unicredit

Non è in realtà facile, almeno per chi scrive, ritenere che un artista, sia pure del livello di Simone, possa aver raggiunto una maturità pittorica così avanzata in tempi così giovanili, soprattutto nel confronto con le opere immediatamente successive.

A ciò si aggiunga la difficoltà di identificare una tela di tali dimensioni (cm 208.5 x 154.5) con la definizione di “tavoletta“, laddove si concorda invece con la studiosa – che almeno da tre decenni indaga l’attività del pesarese e apre il catalogo con l’articolato contributo Caos Calmo: unicità di Simone Cantarini – sul fatto che il termine “tavola” impiegato poco dopo dal Fava fosse invece generico per descrivere una pala d’altare: l’opera infatti era, a tutta apparenza, destinata originariamente ad un luogo di culto (questo attenua la possibilità di includerla tra i dipinti passati da Cantarini all’allievo Pasinelli).

Fig. 5. Simone Cantarini, Immacolata Concezione e santi, 1632-1634 ca., Bologna, Pinacoteca Nazionale

Il trasferimento a Bologna nell’affollato studio di Guido Reni è una certezza storica (meno sicura è la data iniziale, forse il 1634), anche se rimane da spiegare come mai il pittore bolognese (secondo Malvasia) non avesse subito compreso che il giovane era tutt’altro che inesperto, risultando arduo pensare che non ne avesse già udito parlare, visto che a questa data Simone aveva nel proprio catalogo lavori del livello dell’Allegoria della Pittura [17] – rintracciata un quarto di secolo or sono – o la bellissima Immacolata Concezione (fig. 5), dove l’iconografia della “Donna vestita di sole” è rafforzata dalla presenza di san Giovanni in atto di redigere l’Apocalisse: la tela, dal 1823 nella Pinacoteca Nazionale di Bologna, era stata commissionata verosimilmente per una chiesa di Pesaro e, almeno per chi scrive, rappresenta il più alto prodotto di Cantarini prima del trasferimento felsineo[18].

La straordinaria capacità disegnativa del pesarese [19] e la sua abilità nella traduzione grafica spinsero certamente a Reni a cercare di rendere Simone il suo principale interprete nelle stampe: qualcosa in effetti avvenne, come dimostra ad esempio la celebre Madonna con il bambino che tiene al filo un uccellino, un’incisione dichiaratamente esemplata sullo stile di Guido e forse su una sua idea (figg. 6- 7 )[20].

Fig. 6. Simone Cantarini, Madonna con il bambino che tiene al filo un uccellino, 1635-1637, acquaforte
Fig. 7. Studio di Guido Reni, Madonna con il bambino che tiene al filo un uccellino, 1637-1640 ca., Roma, coll. priv.

Sono certamente anni intensi per Simone, che non si affatica solo nello studio di via delle Pescherie ma trova modo e tempo per quadri come il Ritratto di Eleonora Albani Tommasi (fig. 8) o il Lot e le figlie (fig. 9),

Fig. 8. Simone Cantarini, Ritratto di Eleonora Albani Tommasi, 1635-1638, Urbino, Galleria Nazionale delle Marche, in comodato dalla Collezione Banca Intesa Sanpaolo
Fig. 9. Simone Cantarini, Lot e le figlie, 1635-1636 ca., Modena, Cantore Galleria Antiquaria

che apre il tema – di cui in questa sede è possibile fare solo un cenno – dell’interessante e di certo non marginale questione dei “doppi” realizzati dall’artista, affrontata in mostra e nel catalogo con compiuti esempi[21], tra cui vanno almeno ricordate le due versioni della Sacra Famiglia, entrambe oggi a Roma (e sulle rive del Tevere verosimilmente eseguite), rispettivamente nella Galleria Colonna (fig. 10) e nella Galleria Corsini (fig. 11).

Fig. 10. Simone Cantarini, Sacra Famiglia, 1640-1642 ca., Roma, Galleria Colonna; Fig. 11. Simone Cantarini, Sacra Famiglia, 1640-1642 ca., Roma, Gallerie Nazionali, Palazzo Corsini

Fig. 12. Simone Cantarini, Madonna del Rosario, 1637-1640, Brescia, Pinacoteca Tosio Martinengo

Non riusciamo in realtà ancora a comprendere pienamente l’impatto su Simone della rottura con Guido, che rimarrà comunque, almeno per qualche tempo, una presenza costante nel suo immaginario, come prova la Madonna del Rosario oggi a Brescia (fig. 12), forse una delle prima opere realizzate durante il breve (?) rientro in patria dopo il fatidico 1637.

Da questo momento in poi le certezze si fanno più rarefatte, almeno fino al rientro a Bologna: in questi anni dovrebbe cadere il soggiorno romano, che nel proprio attento studio (“Cose vedute dal naturale che innamorano”: Simone Cantarini tra ideali reniani e naturalismi post-caravaggeschi) Yuri Primarosa propone di fissare, con valide ragioni, al 1639-1642[22] – rimanendo aperta la questione (quasi misteriosa) dell’assenza di opere di Cantarini nelle chiese e nelle collezioni romane, dove i suoi lavori compaiono più tardi, forse con l’esclusione dei Barberini[23].

Il ritorno a Bologna vede Simone a capo di una più tradizionale bottega, con l’arrivo dei già ricordati allievi (cfr. il contributo di Angelo Mazza, Nella bottega bolognese di Simone Cantarini: Flaminio Torri, Giulio Cesare Milani, Lorenzo Pasinelli), di cui Flaminio Torri è il più anziano e dotato, mentre Lorenzo Pasinelli, a sua volta poi confluito nella bottega di Flaminio, si dimostrerà fedele continuatore dell’opera del maestro.

Fig. 13. Simone Cantarini, San Girolamo in meditazione, post 1642 (qui proposto), Inghilterra, collezione privata

A questo periodo si può pensare di spostare – portando in avanti la cronologia sin qui proposta – l’esecuzione di tele quali la doppia versione del San Girolamo in meditazione, dove in particolare l’esemplare di collezione privata inglese (fig. 13) appare come una riflessione sulla “seconda maniera” di Guido, sviluppata dal pittore bolognese negli ultimi anni di vita (1638-1642). Era questa forse un’occasione aspettata da anni da parte di Simone: poter dimostrare ai committenti bolognesi le sue autonome qualità e nel medesimo tempo – dopo la lite, la fuga, il rientro a Pesaro, il viaggio a Roma a studiare Raffaello e l’antico e adesso il ritorno in una città autenticamente amata – riannodare, almeno dentro di sé, l’inquieta nostalgia per un mondo svanito.

Sergio GUARINO  Roma 28 Settembre 2025

NOTE

[1] Francesco Arcangeli, Simone Cantarini: due dipinti, “Paragone”, I, 1950, 7, pp. 38-42. È il primo, breve articolo in cui si affronta, sia pure limitatamente a due opere (una delle quali poi spostata a Flaminio Torri), l’opera pittorica dell’artista, preceduto da due contributi sulla sua attività grafica: le pagine dedicate a Cantarini da Gian Alberto dell’Acqua (Disegni inediti della R. Pinacoteca di Brera, “L’Arte”, 40, 1937, pp. 134-149 e lo studio – davvero pioneristico ma talora dimenticato – di Alfredo Petrucci (Il Pesarese acquafortista, “Bollettino d’arte”, III s., 32, 1938, pp. 41-53).
[2] Massimo Pulini, Le antinomie di Simone Cantarini, “Storia dell’arte”, 2008, 120 pp. 7-40.
[3] Simone D’Andola, Andrea Emiliani e la ‘rinascita’ di Simone Cantarini, About art online, 20 luglio 2025, https://www.aboutartonline.com/il-lungo-viaggio-di-andrea-emiliani-dalla-tesi-di-laurea-alle-mostre-per-la-rinascita-di-simone-cantarini/.
[4] Cfr. Conoscere per conservare – Bibliografia degli scritti di Andrea Emiliani, a cura di Grazia Agostini, Jadranka Bentini, Luisa Ciammitti, Anna Stanzani con la collaborazione di Carla Bernardini, Mirella Cavalli, Emanuela Fiori, Oriana Orsi, SAGEP, Genova 2024.
[5] Per una sintesi sulla situazione degli studi sull’artista all’inizio dell’ultimo decennio del Novecento cfr. Anna Colombi Ferretti, Simone Cantarini, in La scuola di Guido Reni, a cura di Massimo Pirondini e Emilio Negro, Modena 1992, pp. 109 – 154.
[6] Simone Cantarini detto il Pesarese (1612-1648), a cura di Andrea Emiliani, Bologna, Pinacoteca Nazionale e Accademia di Belle Arti, 1997-1998; Simone Cantarini nelle Marche, a cura di Andrea Emiliani e Anna Maria Ambrosini Massari, Pesaro, Palazzo Ducale, 1997.
[7] In ordine di data di apertura: Fano per Simone Cantarini, genio ribelle, a cura di Anna Maria Ambrosini Massari; Pesaro per Simone Cantarini, genio ribelle, a cura di Anna Maria Ambrosini Massari; Rimini per Simone Cantarini, genio ribelle, a cura di Massimo Pulini.
[8] Carlo Cesare Malvasia, Felsina Pittrice, Bologna 1678, ed. 1841, II, pp. 373-384 (Di Simone Cantarini detto il Pesarese e di Flaminio Torre ed altri del detto Cantarini discepoli); le due citazioni successive sono alle pp. 374 e 382.
[9] Si rimanda alle notizie su Montano – nato a Pesaro nel 1641 e morto in patria “grave d’età” dopo un lungo soggiorno romano dedicato al restauro delle opere pittoriche della Basilica di San Pietro – fornite da Valter Pinto, Sì viaggiare. Artisti in movimento e testimonianze “di veduta” nelle Vite di Susinno, “Studi di Memofonte”, 26, 2021, pp. 87-122 (p. 99).
[10] Olio su tela, diam. cm 37, 5, Bologna, Pinacoteca Nazionale (cfr. la scheda di Anna Maria Ambrosini nel catalogo della mostra oggetto del presente scritto, I.14, pp.106-107).
[11] Dal 2009 ricollocato sull’altare della Cappella Paolina nel Palazzo Apostolico Vaticano.
[12] Carlo Cesare Malvasia, Felsina Pittrice, Bologna 1678, ed. 1841, II, p. 373.
[13] I. Incontrare Simone Cantarini. Antefatti rovereschi e felsinei; II. Elegie sacre; III. Santi umanisti e filosofi, oltre Caravaggio e Reni; IV. L’atelier dell’artista: finito e non finito, ombre e luci, ideale e naturale; V. Classicismo e naturalismo. Variazioni sul tema; VI. Poesia e favole antiche: Cantarini profano.
[14] Rispettivamente olio su carta incollata su tela, cm 48 x 36, Roma, Gallerie Nazionali, Palazzo Barberini (acquisizione 2021); olio su tela, cm 80 x 64, Roma, coll. priv.
[15] Olio su tela, cm 59 x 47 (forse di non totale autografia, cfr. la scheda di Yuri Primarosa relativa ai tre ritratti, pp. 98 -101).
[16] Fuggitosene dunque al paese, e di là di nascosto portatosi a Roma, e postosi fuori dell’abitato in casa di certa vecchiarella, diedesi ad osservare di soppiatto e a copiare di nascoso le più bell’opre di Rafaelle, e le statue più famose (Malvasia ed. 1841, II, p.380).
[17] Cfr. la scheda di Anna Maria Ambrosini Massari (I.6, pp. 92-93).
[18] Cfr. la scheda di Maria Maddalena Paolini (II.3, pp. 114-115).
[19] Cfr. il contributo in catalogo di Marina Cellini, Recto e verso. Alcune riflessioni sulla pratica del disegno in Simone Cantarini. È doveroso ricordare, a trent’anni dalla pubblicazione, il notevole impulso allo studio dei disegni di Cantarini fornito dalle analisi sul corposo nucleo grafico del pesarese a Rio de Janeiro, cfr. Disegni italiani della Biblioteca Nazionale di Rio de Janeiro, a cura di Anna Maria Ambrosini Massari e Raffaella Morselli, Cinisello Balsamo, 1995.
[20] Alla stampa di Cantarini – ripresa anche da Sassoferrato – è collegata una tela (fig. 7; cm 98 x 73, Roma, coll. priv.) che sembra esserne la traduzione pittorica, da collocare verosimilmente nell’ambito dello studio di Guido Reni nei tardi anni trenta, in attesa di comprendere meglio il legame con quanto affermato da Francesco Albani in una lettera scritta da Medolla a Orazio Zamboni il 29 luglio 1637 (“Io vedo una Madonna in Roma, che sta in atto di tenere un bambino in braccio, che giuoca con un rondinello attaccato ad un filo, e quella se ne sta mesta con una mano sotto la guancia”).
[21] Si veda in tal senso l’apertura sul tema fornita dal contributo di Massimo Pulini del 2008 citato alla nota 2.
[22] Il 16 aprile 1639 Cantarini è ancora a Pesaro, come documenta la sua presenza alle trattative di matrimonio della sorella.
[23] Sulla questione degli anni romani del pesarese e sulle suggestioni pittoriche si rimanda inoltre al saggio in catalogo di Tommaso Borgogelli, Riflessi del naturalismo romano su Simone Cantarini: Giusto fiammingo e Luigi Gentile.