di Nica FIORI
Porto Empedocle, uno degli scali più frequentati della costa sud-occidentale della Sicilia, in origine era solo un borgo marinaro chiamato Marina di Girgenti, come appare in un acquerello settecentesco di Louis Ducros. Verso il 1830 il suo porto, con al centro la maestosa torre costiera attualmente nota come Torre Carlo V, cominciò ad assumere notevole importanza nelle esportazioni dello zolfo, per cui molti commercianti vi si trasferirono contribuendo a far nascere un vero centro abitato, dotato di chiesa, palazzi, magazzini, botteghe, tanto che nel 1853 divenne un comune autonomo denominato Molo di Girgenti.

Un decennio più tardi assunse il nome attuale di Porto Empedocle, in onore del filosofo agrigentino Empedocle (V secolo a.C., a lui si deve la teoria cosmogonica dei quattro elementi, mescolati e separati dai due principi Amore e Odio), che in Sicilia è ricordato anche nella località Torre del Filosofo, vicinissima alla cima dell’Etna, perché, secondo una leggenda, Empedocle si sarebbe gettato a capofitto nel grande cratere vulcanico, volendo far credere alla gente di essere stato accolto in cielo, ed essere pertanto venerato come un dio, salvo poi essere scoperto perché il vulcano avrebbe rigettato indietro uno dei suoi sandali, che erano di ottone.

Già fonte di ispirazione per Luigi Pirandello (1867-1936), che era nato a Girgenti (ora Agrigento), Porto Empedocle ha dato i natali 100 anni fa ad Andrea Camilleri (1925-2019), sceneggiatore, regista, drammaturgo e scrittore di successo, ed è qui, dove è vissuto fino all’età di 24 anni prima di trasferirsi a Roma, che sono stati ambientati molti suoi romanzi, anche se l’autore ha preferito ricorrere a nomi di fantasia, come “Vigata” e “Montelusa”. Questi sono stati definiti da Camilleri “luoghi semifantastici”, in quanto “esistono come struttura toponomastica di base”, per tenere in qualche modo sotto controllo i personaggi, ma con i confini variabili in funzione delle esigenze della narrazione. Se Montelusa (nome usato in precedenza da Pirandello) può essere identificato con Agrigento, Vigata con le sue strade, il faro, la spiaggia di Marinella, il molo di levante, il commissariato di via Lincoln, e i suoi ristoranti che fanno da sfondo ai gialli del commissario Salvo Montalbano (ma già prima vi sono ambientati altri romanzi, come La pensione Eva, che tratta il tema dell’iniziazione al sesso del giovane protagonista Nené), corrisponde in gran parte a Porto Empedocle.

Montalbano è certamente il personaggio che ha dato la fama a Camilleri, sia in Italia sia all’estero, molto prima che comparisse in televisione, e giustamente Porto Empedocle lo ricorda con una scultura iperrealista, che ha i tratti di Pietro Germi, secondo il desiderio di Camilleri.

Abituati come siamo a vedere la fiction della RAI interpretata da Luca Zingaretti nel ruolo del commissario, il monumento di Porto Empedocle può trarre in confusione, comunque la scelta del calvo Zingaretti, del quale lo stesso Camilleri ha riconosciuto le grandi capacità recitative, si è imposta nell’immaginario del pubblico televisivo, così come l’ambientazione in luoghi diversi da quelli pensati dall’autore.
Per motivi paesaggistici il regista Alberto Sironi ha preferito spostare l’immaginaria Vigata – compresa la casa di Marinella, la cui location è a Punta Secca, nella Marina di Ragusa – da Porto Empedocle in una delle zone della Sicilia di maggior impatto architettonico qual è il Val di Noto, un ampio territorio che si estende nell’area sud-orientale dell’isola, delimitato a nord dal corso del Simeto e a ovest dal Salso.
La scenografica città di Noto, che dà il nome al territorio, è situata alle pendici degli Iblei ed è cara a tutti gli amanti del barocco. Spostata dal suo sito originario dopo il terribile terremoto dell’11 gennaio del 1693, è stata ricostruita da cima a fondo più vicina alla costa ionica, rinascendo, come la fenice, più vitale di prima. Cesare Brandi l’ha definita “un giardino di pietra”, perché una meravigliosa pietra dorata, estratta nelle vicinanze, ha permesso di realizzare una gamma inesauribile di ornamenti fantasiosi, mostri e sirene che si protendono dalle linee sinuose dei suoi spettacolari edifici settecenteschi, e lo stesso si può dire delle città di Scicli e di Modica, particolarmente riconoscibili nella fiction televisiva.


Il termine “Val” ricorda la ripartizione della Sicilia in tre regioni amministrative o “valli” (al singolare vallo), adottata dagli Arabi e rimasta fino al 1812. Sempre agli Arabi è dovuta l’introduzione nella zona di coltivazioni più redditizie rispetto al periodo preislamico, come quelle del gelso, del cotone, della palma e del carrubo, tuttora presenti. Nel XV secolo gran parte del territorio della regione era compreso nella contea di Modica, potente stato feudale, ma nei due secoli successivi, in seguito ad una forte crisi economica, gran parte delle terre vennero date in enfiteusi, favorendo così la formazione di un ceto agrario. Una fitta rete di muretti a secco, eretti per delimitare le diverse proprietà e colture, caratterizzano ancora oggi il paesaggio, mentre i centri abitati principali sono tutti legati alla ricostruzione settecentesca, avvenuta dopo il terremoto del 1693, che ha dato a quest’area un ulteriore elemento di omogeneità.
Secondo l’UNESCO, che ha inserito il Val di Noto nella World Heritage List (Lista del patrimonio dell’Umanità), le città di Modica, Noto, Caltagirone, Militello in Val Catania, Catania, Ragusa, Palazzolo Acreide e Scicli, ricostruite nello stesso luogo o vicino alle città distrutte dal sisma
“rappresentano una considerevole impresa collettiva, portata con successo ad un alto livello di architettura e compimento artistico”.
La motivazione della scelta prosegue evidenziando il genio esuberante dell’architettura locale, che viene considerata come “l’apice e la fioritura finale dell’arte barocca in Europa” e le particolari innovazioni urbanistiche di una zona perennemente a rischio di terremoti ed eruzioni vulcaniche (come nel caso di Catania, più volte raggiunta dalla lava dell’Etna).
Indubbiamente l’inserimento nel 2002 di queste otto città siciliane nella lista dell’UNESCO ha determinato un immediato incremento del turismo internazionale, ma già da prima alcune di esse erano state valorizzate da registi cinematografici e televisivi. Ragusa, per esempio, è stata celebrata, sia pure in senso ironico, da Pietro Germi nel film “Divorzio all’italiana” e da Giuseppe Tornatore in “L’uomo delle stelle”, mentre Luigi Zampa ha privilegiato Modica in “Anni difficili”. La macchina da presa ha scoperto e messo in luce gli angoli più segreti che di norma sfuggono a un visitatore superficiale, anche perché queste città andrebbero osservate dall’alto, magari in elicottero, visto che hanno una conformazione “ad alveare”, con le case agganciate l’una al tetto dell’altra in un pittoresco sovrapporsi di vicoli e gradinate su più livelli. Eppure in questo intreccio viario non mancano ambienti urbani ariosi, magnifici, che non presentano più quella dimensione ridotta che era tipica del periodo feudale. Si avverte l’aspirazione a dare agli edifici più importanti un significato e un valore pienamente barocchi, con l’uso di scenografiche composizioni completate da balconi, altane e belvederi riccamente decorati. Palazzolo Acreide vanta, in particolare, la balconata barocca più lunga del mondo (30 m), con innumerevoli mascheroni ai quali è attribuita una funzione apotropaica.


Ognuna di queste città possiede un patrimonio storico, monumentale e naturalistico degno di rilievo. Caltagirone è famosa soprattutto per le smaglianti ceramiche che, oltre a essere vendute come tipici souvenir, caratterizzano l’arredo urbano, compresa una lunghissima scalinata, a testimonianza di un’arte che risale alle origini della città. A Militello troviamo un cospicuo numero di architetture interessanti, tra cui il notevole complesso della chiesa e del convento di San Benedetto, iniziato nel 1614 e completato nel 1725. La fortuna del paese è legata all’arrivo di Giovanna d’Austria, nipote di Carlo V, che vi si trasferì in seguito al matrimonio con Francesco Branciforte.
A Scicli ci colpisce la chiesa di San Bartolomeo, che si sviluppa su tre piani con andamento piramidale. Lo stesso andamento lo troviamo nella chiesa di San Paolo a Palazzolo Acreide, nel duomo di San Giorgio a Modica e in quello di Ragusa Ibla, pure dedicato a San Giorgio.



Questo importante duomo ragusano ha l’asse prospettico divergente rispetto all’asse della piazza e ciò gli conferisce un aspetto scenografico particolare. La visione d’insieme è resa ancora più suggestiva dall’alta scalinata di 54 gradini, anch’essa divergente rispetto alla piazza e in linea con la chiesa, e dalla spinta ascensionale del corpo centrale, che culmina nella cella campanaria. Sembra di cogliere in questo slancio il desiderio di innalzarsi quanto più possibile verso il cielo. Il duomo è stato edificato sulla preesistente chiesa di San Nicola, dopo il terremoto del 1693, su progetto di Rosario Gagliardi, un architetto nato a Siracusa e attivo soprattutto a Noto. Nel duomo di Modica, pure attribuito in gran parte a Gagliardi, la scalinata di accesso e la facciata torre sono forse ancora più spettacolari, tanto che Maurizio Fagiolo dell’Arco ha dichiarato che questa chiesa potrebbe essere inserita tra le sette meraviglie del mondo barocco.
Venire in questa parte della Sicilia significa immergersi in un’architettura che sembra fatta apposta per glorificare la religione, e insieme commuovere e stupire il visitatore. Il fatto è che gli architetti, (tra cui Gagliardi, Paolo Labisi, Vincenzo Sinatra), che operarono nella ricostruzione delle chiese locali, recepirono le novità barocche che imperavano a Roma (pensiamo a Borromini e Bernini), trasformandole secondo il proprio gusto e sfruttando, in particolare, l’idea della convessità della facciata (particolarmente visibile nel duomo di Modica), per resistere alle scosse sismiche.
Pure grandiose sono alcune dimore nobiliari come Palazzo Arezzo Spuches di Donnafugata a Ragusa Ibla e il sorprendente Castello di Donnafugata (in realtà una villa ottocentesca con un loggiato in stile gotico veneziano) a 15 km dalla città di Ragusa.

Se poi i turisti sono attratti dai resti archeologici, non c’è che l’imbarazzo della scelta. A Modica, per esempio, troviamo le suggestive cave di Ispica, costituite da grotte scavate nella roccia dei Monti Iblei, alcune utilizzate come catacombe cristiane tra il IV e il V secolo. Nell’altopiano calcareo degli Iblei si trova anche l’ipogeo delle Trabacche, diventato noto perché vi è ambientato un episodio della fiction televisiva, nel quale Montalbano scopre i corpi di due amanti assassinati accanto a un cane di terracotta. Questa tomba prende il nome dalla “trabacca”, una sorta di baldacchino con colonne (non aggiunte ma ricavate dallo scavo), dove venivano sepolti i personaggi di alto rango di una comunità scomparsa a seguito dell’invasione araba.

A Palazzolo Acreide l’area archeologica di Akrai conserva l’antico teatro greco, parte dell’abitato e, poco al di fuori dell’area urbana, in contrada Santicello, interessanti rilievi rupestri, detti “Santoni”, raffiguranti in realtà la dea Cibele, il cui culto, di origine frigia, era evidentemente fiorente in questa città, come nella vicina Siracusa.
Ma, giustamente, allontanandosi dal Val di Noto in direzione ovest, è proprio Agrigento, la greca Akragas, ad attirare maggiormente i visitatori odierni, così come aveva attirato nel Settecento il poeta Wolfgang von Goethe, che la visitò nell’aprile del 1787:
“Una primavera splendida come quella che ci ha sorriso stamane al levar del sole, certo non ci è mai stata concessa nella nostra vita mortale. Sull’alto spianato dell’antica roccia, giace la Girgenti moderna (…). Il tempio della Concordia si vede appena spuntare all’estremità meridionale di questo piano tutto verde e tutto fiori; a oriente le scarse rovine del tempio di Giunone; le rovine di tutti gli altri edifici sacri sulla stessa linea …”.

Le pagine dedicate da Goethe alla Sicilia, presentata nel suo Viaggio in Italia (pubblicato in forma definitiva nel 1829) come “terra sovranamente classica”, sede privilegiata della bellezza e del mito, devono avere certamente contribuito a inserire quest’isola tra le tappe del Grand Tour. Quanto a Camilleri, la Valle dei Templi di Agrigento, così vicina al luogo natio, era uno dei suoi paesaggi del cuore, così come l’incantevole Scala dei Turchi, una bianca scogliera di marna (un insieme di argilla e carbonati) a pochi chilometri da Porto Empedocle, che era un tempo un facile approdo per i pirati saraceni.

L’archeologia industriale, anch’essa seducente per le sue atmosfere metafisiche, è invece di casa a Sampieri, una frazione di Scicli, dove si trova la Fornace Penna, che Montalbano chiama “mannara” (fattoria) e che Alberto Angela, nella puntata di Ulisse. Il piacere della scoperta, dedicata alla Sicilia di Montalbano, andata in onda il 18 febbraio 2025 su Rai Uno, paragona a una cattedrale abbandonata. Si tratta di un grande stabilimento del primo Novecento, che produceva mattoni e tegole esportati in tutto il Mediterraneo.

Questo edificio industriale venne abbandonato nel 1924, dopo solo dieci anni di attività, in seguito a un incendio doloso, ma, pur aggredito dalle intemperie e dalla salsedine nel corso di un intero secolo, mantiene tutto il fascino della sua grandiosa architettura, con in più il mistero che puntualmente si cela al suo interno in un episodio della fiction televisiva.
Nica FIORI Roma 23 Febbraio 2025