Da “Lena ch’è donna di Caravaggio” a “La donna del Caravaggio”. Due testi diversi ed una polemica inesistente

di Alessandra MASU

Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo contributo di Alessandra Masu, a suo tempo autrice del libro-romanzo Lena ch’è donna di Caravaggio (etrgraphiae, 2013) che risponde ad alcune osservazioni critiche circa alcuni passi del suo scritto, contenute nel recente La donna del Caravaggio. Vita e peripezie di Maddalena Antognetti, di Riccardo Bassani (Donzelli, 2021) dedicato alla figura di Lena, nota come la donna di Caravaggio. About Art  pubblicherà nel prossimo numero una recensione dettagliata del volume di Riccardo Bassani e in ogni caso, come sempre,  è a disposizione per chi voglia intervenire a questo riguardo.
Alessandra Masu, storica dell’arte, giornalista e autrice, è presidente dell’associazione culturale “Artemisia Gentileschi”. L’ultimo suo lavoro, per il tipi di Ginevra Bentivoglio EditoriA s’intitola Perché io non voglio più stare a questa vita. La voce di Beatrice Cenci dai documenti conservati negli archivi romani .
Copertina di Lena ch’è donna di Caravaggio (etgraphiae, 2013)

Nel 2013 ho pubblicato per la casa editrice Etgraphiae Lena ch’è donna di Caravaggio. Un personale addio a mio marito Maurizio Marini, morto nell’agosto 2011. Mi aveva sempre colpito il contrasto quasi paradossale tra la mancanza di informazioni certe sulla persona reale e la forza della sua presenza fisica e, direi, emotiva nei dipinti di Caravaggio per cui ha posato. In particolare la Madonna dei Pellegrini della chiesa di Sant’Agostino (Giambattista Passeri, Vite de’ Pittori Scultori ed Architetti…, p. 347 dell’edizione critica curata da Jacob Hess, Lipsia-Vienna 1934).

Quindi ho voluto dire addio a mio marito con una ‘vita’ della modella e donna di Caravaggio, raccontata da lei medesima nello spazio di una sola notte. Un racconto necessariamente di fiction, visto che anche dopo la campagna di ricerche finalizzata alle mostre e pubblicazioni celebrative del quarto centenario della morte di Caravaggio nel 2010, di Lena conoscevamo – di certo – solo il nome di battesimo. O, più precisamente, di faction, dato che ho utilizzato i documenti (sempre citandoli) anche come fonte del vocabolario e del linguaggio di Lena.

Trattandosi di fiction storica, appunto, non potevo che seguire l’idea condivisa dalla stragrande maggioranza degli specialisti e in particolare i contributi pubblicati nel catalogo della mostra documentaria Caravaggio a Roma. Una vita dal vero, tenutasi all’Archivio di Stato di Roma dall’11 febbraio al 15 maggio 2011. E cioè che l’identificazione della Lena citata nella querela Pasqualone del 29 luglio 1605 (“una donna chiamata Lena che sta in piedi [o da piedi] a piazza Navona passato il palazzo overo il portone del palazzo del signor Sartorio Teofilo, che è donna di Michelangelo”) con la cortigiana Maddalena Antognetti  – avanzata da Riccardo Bassani e Fiora Bellini in Caravaggio assassino (Donzelli Editore, Roma 1994) –  non era dimostrata dalle carte (Lena ch’è donna di Caravaggio, p. 13 nota 1).

Le aspre critiche a Caravaggio assassino dei più autorevoli specialisti come, tra gli altri, Maurizio Marini, Sandro Corradini e Maurizio Calvesi, erano rigorosamente di metodo, avendo scoperto diverse, gravi interpolazioni nelle trascrizioni di Riccardo Bassani. Compresa quella della querela di Maddalena Antognetti  contro il suo convivente Gaspare Albertini del 19 luglio 1605 per averla sfregiata: uno dei documenti fondamentali su cui Bassani basava la sua identificazione della “Lena ch’è donna di Caravaggio” con Maddalena Antognetti. Del resto, la tesi di Bassani-Bellini del 1994 non fu accolta nemmeno al di fuori del clima arroventato degli studi caravaggeschi. Nel suo Carnal commerce in Counter-Reformation Rome (Cambridge 2008, pp. 126, 146 e 179), Tessa Storey riprese le notizie relative a Maddalena Antognetti, sua madre Lucrezia e la sorella maggiore Amabilia presentandole come un nucleo familiare di cortigiane, ma non la collega affatto a Caravaggio, come fa invece per Fillide Melandroni, ritratta da Caravaggio su commissione di Giulio Strozzi. Inoltre, piazza Navona non compare tra gli indirizzi dove sono documentate le Antognetti (Storey, cit., p. 146).

In definitiva – nel 2013 – non potevo che scrivere: “la Lena di Caravaggio per ora non ha un cognome e un’identità certa” (p. 14 nota 1).

Perciò sono rimasta decisamente sorpresa di essere menzionata nel nuovo lavoro di Riccardo Bassani, La donna del Caravaggio. Vita e peripezie di Maddalena Antognetti  (sempre Donzelli), di fatto una seconda edizione ravveduta e corretta del Caravaggio assassino di ventisette anni fa. Nell’Introduzione (dove – a proposito della precedente disavventura editoriale – nella nota n. 7 riconosce soltanto che “alcuni documenti furono da me trascritti in maniera infedele”), Bassani mi ha accusato di aver creato un personaggio “antistorico”, perché non ho accolto – nel 2013 – la sua ipotesi d’identificazione di Lena con Maddalena Antognetti sostenuta nel discusso Caravaggio assassino del 1994. E nemmeno “di fantasia, (semmai di assemblaggio)”, dimenticando che io – scrivendo fiction – mi sono potuta permettere numerose invenzioni (come la lettera di Caravaggio a Lena da Napoli che è piaciuta tanto a diverse lettrici…). Mentre lui chiama finalmente “interpolazione” le “infedeltà” ammesse nell‘Introduzione solo a p. 352 dell’Appendice documentaria, a nota 216 del doc. 104, ovvero la citata querela Antognetti  contro Albertini. Maddalena dice di essere stata sfregiata nonostante “che avevo lassato l’amicitia de quelli che lui me haveva prohibito”. In Caravaggio assassino Bassani aveva qui aggiunto: “In particulare di Michelangelo pittore”.

In La donna del Caravaggio questo documento, correttamente trascritto, è uno dei caposaldi della rinnovata tesi che  “Lena” sia Maddalena Antognetti, accanto alla lettura di una postilla autografa di Giulio Mancini nel manoscritto delle sue Considerazioni sulla pittura che Bassani legge “Fece delitto. Puttana scherzo et gentilhomo scherzo ferì il gentilhomo et la puttana sfregiano” e soprattutto “va a perdono” anziché “va a Milano”, come era stato letto in passato da Adriana Marucchi e Maurizio Calvesi.

Nella postfazione Fiora Bellini osserva: “È da dire comunque che, nel pur ricco «Dossier» che segue [il saggio di Bassani], non un documento ci fa incontrare Maddalena e Michelangelo insieme”.  Eppure conclude:

“al punto da chiedersi se non vi sia stata, oltre la fisiologica dispersione, una calcolata rescissio actorum perseguita con il disegno di manomettere la storia di quel «pittoraccio» (così l’apostrofava Giovanni Battista Passeri) e della sua «Lena»”.

Lasciando agli specialisti il diritto-dovere di recensire un saggio che vuole essere storico come La donna del Caravaggio, mi permetto di rispondere a Riccardo Bassani che ritengo la sua critica immotivata e inopportuna. Perché la sua Lena e la mia sono apples and oranges (saggio vs narrativa) e, fatto salvo il suo sacrosanto diritto di non apprezzare la mia scrittura, un saggio non è la sede idonea per fare critica letteraria.

La mia personalissima impressione è che il mio libretto sia diventato il bersaglio della pur comprensibile amarezza del dottor Bassani soprattutto perchè i severi giudici di ventisette anni fa hanno pressochè tutti lasciato questo mondo, a cominciare da Maurizio Marini. Che voglio ricordare con gratitudine per avermi fatto partecipare, per quasi due decenni, alle vicissitudini della ‘famiglia’ di Caravaggio. Ahimè, a volte, fin troppo caravaggesca …

Alessandra MASU  Roma 31 ottobre 2021