di Maria BUSACCA
Cambi di Identità: approfondimenti iconografici intorno ad una stampa settecentesca
Tante le incisioni della “Collezione Tosoni” esposte nella chiesa di San Francesco Borgia a Catania nella mostra dal titolo “La Sicilia dei cartografi” di cui è stata data ampia carrellata nell’articolo pubblicato su questa rivista lo scorso 18 maggio [1].

Nella sezione in coda dedicata ai Santi, è trattata una stampa con Sant’Anastasia che merita qui un approfondimento per chiarire le vicende di elaborazione artistica ad essa legate. La firma in basso a sinistra, “Ant. Friz sc.”, riporta come sculptor Anton Fritz [2], le cui scarne notizie coprono pochissimi anni di attività a Roma quale disegnatore ed incisore dal 1715 alla prima metà del XVIII secolo (G. Milesi, p. 102). I lavori di Fritz, notevoli per esecuzione, accuratezza nei dettagli e precisione del segno incisorio, ebbero molta diffusione, riprova ne è che altro esemplare a bulino si conserva col n. inv. S-FN14236 nel Gabinetto Disegni e Stampe nel “Fondo Petrini” – volume PET6 (Misure foglio: mm. 181 x 125) [Immagine: 392846] -, di proprietà del Ministero per i Beni e le Attività Culturali (fig. 1).
Il segno è nitido, la volumetria della Santa inginocchiata in preghiera su un libro aperto emerge in primo piano, avvolta in abito dal panneggio rigoroso mentre volge lo sguardo alla sua destra, dove in una visione mistica si manifesta la scena del suo martirio. Circondata da militari la figurina inginocchiata con i polsi legati che si intravede nello sfondo guarda la se stessa ormai glorificata dalla palma del martirio e dall’aureola sul capo, e si abbandona al rogo che di lì a poco la consumerà. In basso entro il cartiglio il testo recita:
“S. Anastasia V(irgo) et M(artirys), quae tempore Diocletiani in Insula / Palmaria per manus, et pedes extensa, et ligata prope igne / ad palos, martyrium consummavit. Ex Adone Vien.”.
Sant’Anastasia subì il martirio del rogo legata mani e piedi il 25 dicembre nell’anno 287 sotto Diocleziano nell’isola di Palmaria secondo il Martyrologium di Adone di Vienne, da cui è tratto il testo didascalico: Sant’Adone (800 ca.; † 16 Dicembre 876) fu un monaco francese poi nominato vescovo di Vienna, che nel tentativo di completare i precedenti Martirologi di Beda e di Floro non esitò a ricorrere a fonti non verificate o quantomeno fantasiose, finendo per confezionare un’opera ricca di falsi storici ma che ebbe notevole successo. Non essendo identificabile perciò con certezza la citata isola di Palmaria quale luogo del martirio, si è pensato si trattasse dell’isola di Palmaiola situata nel canale di Piombino, località di cui la santa è patrona.
La particolare attitudine della figura, il disegno severo, il segno nitido e l’articolazione della scena sembrano caratteristiche ormai superate se si considera l’arco cronologico di esecuzione, che avrebbe privilegiato il gusto tutto Rococò per i volumi spumeggianti e le linee sinuose; qui invece solo la lieve torsione del capo rivela un moto dell’animo, mentre nella scena circostante anche gli elementi naturali sono in una sorta di quiete e di nitidezza di veduta.

Spingendosi indietro di qualche secolo in altro ambito geografico si rintraccia infatti il precedente in una stampa a bulino realizzata dall’incisore Johann Sadeler (il Vecchio) che sigla in basso a sinistra: “Sadler excud(it)”, su disegno di Maerten de Vos che si firma quale inventore: “M. de Vos figura(vit)”, conservata nella Collezione Valparaiso (Giovanni Guerrieri), data di stampa 1583-87 (misure 184×126 mm.) [3] (fig. 2); di scuola fiamminga il disegno originale, rigido nelle forme e preciso nella geometria dell’intaglio.
Maerten de Vos (Anversa 1531 – 1603) fu un pittore formatosi ad Anversa presso il padre Pierre de Vos, quindi spostatosi in Italia soggiornò a Roma e a Firenze e a Venezia fu allievo del Tintoretto. Rientrato in patria, fu iscritto maestro ad Anversa nella compagnia dei pittori; lavorò spesso con l’incisore Johann Sadeler (o Jan; Bruxelles 1550 – Venezia 1600), membro della più importante famiglia di incisori fiamminga, attivo ad Anversa che allora era il centro internazionale della stampa per produzione e distribuzione.
Vediamo dunque in cosa l’incisione tardo cinquecentesca differisca dalla nostra: la scena in secondo piano nella versione fiamminga è totalmente diversa, la figurina della martire si lancia tra le fiamme con slancio mistico inseguita dai carnefici mentre la Santa in primo piano rivolge lo sguardo in alto ma con un’espressione del viso più coinvolta, la fronte accigliata.
Proprio i tratti del viso e le mani tradiscono l’età avanzata: non si tratta di una giovanetta ma di una donna matura, cosa che emerge ancor di più da stretto raffronto dei particolari (fig. 3);

ai piedi oltre al libro aperto ci sono strumenti del martirio, le tenaglie e un cilicio fatto di rami secchi (fig. 4), l’albero antico ha il tronco nodoso e nel declivio alla sua destra solo rocce, senza ciuffetti erbosi.

Le divergenze sono chiarite nell’iscrizione in basso che recita:
“Carnem calcavit, vitam complexa pudicam, / Equale rogo in caelos fertur APOLLONIA.”
La stampa presa a modello ritrae infatti Sant’Apollonia, martirizzata già in età avanzata nel 248 ad Alessandria, secondo la Historia ecclesiastica di Eusebio di Cesarea, anch’essa arsa sul rogo ma dopo aver patito l’asportazione dei denti, cui alludono le tenaglie sul terreno che sono state cancellate insieme al cilicio nella versione con Sant’Anastasia, dove anche il paesaggio con l’albero frondoso dal tronco liscio come il collo della Santa ne sottolinea la giovane età, mentre l’espressione del volto è addolcita di pia rassegnazione.

Il riutilizzo del disegno con le modifiche effettuate per la diversa identificazione del soggetto deriva quasi certamente dalla conoscenza diretta dell’opera alla sua fonte; nello stesso foglio in cui è la Santa Apollonia fiamminga della Collezione Valparaiso sono contenute infatti due incisioni (fig. 5): in alto Apollonia che già conosciamo, in basso Anastasia ritratta con fattezze giovanili in ricchi abiti, sotto un pergolato con rose rampicanti.
Gli autori sono gli stessi, disegnatore De Vos e incisore Sadeler, ma l’atteggiamento di Anastasia, che volge lo sguardo in cielo a mani giunte in una dimensione quasi elegiaca sarà sembrata priva del Pathos necessario a scuotere l’animo del fruitore.
Essendo a conoscenza quindi dell’illustre precedente, Fritz sceglie di appropriarsi del riferimento iconografico originario sovvertendolo con l’apporto di modifiche tali da cambiarne il soggetto e firmandosi come sculptor unico e solo realizzatore dell’opera finisce col renderla a sua volta originale, sebbene tratta da un disegno risalente a più di un secolo prima.
Maria BUSACCA Catania 25 Maggio 2025
NOTE