di Nica FIORI
BEATO ANGELICO: la straordinaria mostra a Firenze dedicata al grande protagonista della pittura quattrocentesca nelle sedi di Palazzo Strozzi e del Museo di San Marco
“Fu fra’ Giovanni semplice uomo e santissimo ne’ suoi costumi … Si esercitò continuamente nella pittura, né mai volle lavorare altre cose che di Santi … Fu umanissimo e sobrio; e castamente vivendo, dai lacci del mondo si sciolse, usando spesse fiate di dire, che chi faceva questa arte aveva bisogno di quiete e di vivere senza pensieri, e che chi fa le cose di Cristo, con Cristo deve star sempre”.
Già da queste parole di Giorgio Vasari (Vite, 1568), ci rendiamo conto che Fra Giovanni da Fiesole, al secolo Guido di Piero e poi noto come Beato Angelico (Vicchio di Mugello 1395 ca. – Roma 1455), intese la pittura come espressione dell’esperienza contemplativa, strumento di lode e di elevazione verso il Paradiso, e proprio per il suo esemplare comportamento venne chiamato “beato” già dal XV secolo, anche se in realtà è stato beatificato solo il 3 ottobre 1982 da papa Giovanni Paolo II.
Pittore di altissimo livello, egli ha assimilato e interpretato le idee dell’arte umanistica a lui contemporanea riuscendo a coniugare una straordinaria abilità tecnica con una intensa spiritualità. Nel corso della sua vita monacale (entrò nel convento dei Domenicani di Fiesole, probabilmente intorno al 1420, dopo una prima formazione come miniatore e pittore) riuscì a gestire una bottega con diversi collaboratori, diventando un importante protagonista di quell’irripetibile stagione artistica che è stata la Firenze dei Medici. Le sue Madonne, le Annunciazioni e le pale d’altare d’incantevole bellezza (dipinte a tempera e oro su tavola) erano richieste da committenti, sia laici sia religiosi, anche al fuori di Firenze: sono tutte opere celebri per la maestria nella prospettiva e per l’uso della luce nel rapporto tra figurazione e spazio. L’uso di colori luminosi e brillanti, accordati in delicate armonie tonali, è stato messo in relazione con il concetto di san Tommaso d’Aquino della luce terrena quale riflesso del “lumen” ordinatore divino.

In seguito alla fama degli affreschi eseguiti da Fra Giovanni nel convento fiorentino di San Marco (1438-1445), caratterizzati da un rigore formale mai usato prima, Eugenio IV lo chiamò a Roma nel 1445 a dipingere in Vaticano una cappella nell’antica basilica di San Pietro, poi distrutta. Il successore Niccolò V commissionò al frate la sua cappella privata (detta Niccolina) nel Palazzo Apostolico e si racconta che non riuscisse a trattenere le lacrime, nel 1449, davanti agli affreschi con le storie dei santi Lorenzo e Stefano.
Anche nel Duomo di Orvieto, dove si recò con il consenso del papa nel 1447, insieme al suo allievo Benozzo Gozzoli, egli ha lasciato un’alta testimonianza della sua arte nella volta della Cappella di San Brizio, che verrà poi portata a termine da Luca Signorelli.
Dopo il rientro in Toscana nel 1450, quando fu nominato priore del convento di San Domenico a Fiesole, si ricorda un ultimo soggiorno a Roma, in quanto incaricato nel 1452-53 di realizzare varie opere in Santa Maria sopra Minerva, casa madre dell’ordine domenicano, ed è in questa chiesa che si trova il suo sepolcro marmoreo, un onore eccezionale per un artista a quel tempo. Nella lastra tombale, che riproduce le fattezze del monaco, è un’epigrafe in latino, che tradotta suona così:
“Che io non sia lodato perché sembrai un altro Apelle, ma perché detti tutte le mie ricchezze, o Cristo, a te. Per alcuni le opere sopravvivono sulla terra, per altri in cielo. Il fiore dell’Etruria dette a me, Giovanni, i natali”.
Ed è proprio Firenze (Flos Etruriae) che quest’anno lo celebra con un’imperdibile mostra ospitata nelle due simboliche sedi di Palazzo Strozzi e del Museo di San Marco (dal 26 settembre 2025 al 25 gennaio 2026), proponendo un percorso espositivo senza precedenti per ampiezza, qualità delle opere e respiro internazionale.

L’esposizione affronta la produzione, l’evoluzione stilistica e l’eredità dell’arte di Beato Angelico in dialogo con pittori come Lorenzo Monaco, Masaccio, Filippo Lippi, ma anche scultori quali Lorenzo Ghiberti, Michelozzo e Luca della Robbia. A cura di Carl Brandon Strehlke, Curatore emerito del Philadelphia Museum of Art, con Stefano Casciu, Direttore regionale Musei nazionali Toscana e Angelo Tartuferi, già Direttore del Museo di San Marco, “Beato Angelico” rappresenta la prima grande mostra a Firenze dedicata all’artista esattamente dopo settant’anni dalla monografica del 1955, andando a creare un dialogo unico tra istituzioni e territorio.
Frutto di oltre quattro anni di ricerca e preparazione, il progetto espositivo ha reso possibile un’operazione di eccezionale valore scientifico e importanza culturale, grazie anche a un’articolata campagna di restauri e alla possibilità di riunificare pale d’altare smembrate e disperse da più di duecento anni. L’esposizione riunisce tra le due sedi oltre 140 opere tra dipinti, disegni, miniature e sculture provenienti da prestigiosi musei quali il Louvre di Parigi, la Gemäldegalerie di Berlino, il Metropolitan Museum of Art di New York, la National Gallery di Washington, i Musei Vaticani, la Alte Pinakothek di Monaco, il Rijksmuseum di Amsterdam, oltre a biblioteche e collezioni italiane e internazionali, chiese e istituzioni territoriali.
“Realizzare la prima grande mostra monografica dedicata a Beato Angelico a Firenze, settant’anni dopo la storica esposizione del 1955, costituisce un’impresa unica, resa possibile grazie alla collaborazione con il Museo di San Marco e al generoso contributo di importanti istituzioni museali nazionali e internazionali”,
ha dichiarato Arturo Galansino, Direttore Generale della Fondazione Palazzo Strozzi.
Secondo Stefano Casciu questa esposizione rappresenta
“un punto di arrivo imprescindibile per gli studi e le ricerche sul Beato Angelico, anche grazie agli importanti restauri e alle indagini scientifiche su molte delle opere esposte. Allo stesso tempo è il trampolino per futuri e appassionanti nuovi sviluppi e prospettive su uno dei massimi protagonisti dell’arte occidentale”.
Carl Brandon Strehlke nella sua introduzione al catalogo della mostra (Marsilio editore), cita un saggio di Elsa Morante del 1970, intitolato “Il beato propagandista del Paradiso”, nel quale la nota scrittrice si domandava: “Ha partecipato, Guido di Pietro, alla rivoluzione?”, riferendosi alla rivoluzione delle arti durante il Rinascimento.
“In questa mostra intendiamo affermare che sì, Fra Giovanni vi ha partecipato”,
è la risposta del curatore.
Lo stesso Strehlke sottolinea anche che il fervore per le opere dell’Angelico nell’Ottocento era tale che, durante le soppressioni napoleoniche, molte delle sue pale d’altare furono smontate e disperse. Questa mostra riunisce numerose parti superstiti di quelle commissionate dal banchiere, politico e letterato Palla Strozzi per Santa Trinita, da Cosimo e Lorenzo de’ Medici per San Marco, dalla Compagnia di San Francesco per Santa Croce e da importanti committenti femminili, quali le monache domenicane osservanti per il convento di San Pietro Martire e la nobildonna Elisabetta Guidalotti per la chiesa di San Domenico a Perugia.
Particolarmente significativa appare l’operazione che ha permesso di esporre ben 17 pezzi, sui 18 che si conoscono, della Pala di San Marco (1440 ca.), che era stata scomposta e rivenduta a pezzi nell’Ottocento. L’opera era il più importante dipinto commissionato da Cosimo de’ Medici, un vero manifesto mediceo e al tempo stesso dell’Ordine dei domenicani osservanti. Destinata a un ambiente architettonico rivoluzionario e innovativo, la pala stessa fu concepita con una forma “moderna”, ovvero quadrata, ed è uno dei più antichi esempi documentati di Sacra Conversazione, dove cioè i santi sono rappresentati attorno alla Vergine in maniera naturale, come se stessero conversando. La spazialità è più ampia e ariosa rispetto alle pale d’altare precedenti; al centro si trova la Madonna col Bambino su un alto trono, dove convergono le linee prospettiche. La copertura è un arco entro una cornice architravata, ispirato alle opere di Ghiberti e altri. Attorno alla Vergine si trovano due gruppi di angeli e più avanti i santi, tra cui alcuni riconoscibili grazie anche all’iscrizione dei nomi nelle aureole. Sul manto della Madonna si trova una citazione dell’Ecclesiaste, dove si parla degli alberi simbolici che si vedono sullo sfondo.

Davanti alla Vergine si trovano inginocchiati i santi Cosma e Damiano, protettori della famiglia Medici, in quanto si tratta dei due fratelli, probabilmente gemelli, che praticavano la professione medica in Cilicia senza farsi pagare e che vennero martirizzati sotto Diocleziano. Probabilmente non è casuale il fatto che la mostra sia stata aperta al pubblico proprio il 26 settembre, giorno in cui ricorre la festa dei due santi. Nella pala san Cosma, patrono di Cosimo il Vecchio, è girato verso lo spettatore, mentre Damiano è visto di spalle e ricorda il fratello minore di Cosimo, Lorenzo, morto prematuramente.
Una narrazione semplice e lineare racconta la storia dei santi nei pannelli della predella, ai lati della Pietà. Queste tavole, relativamente grandi per una predella (circa 36×46 cm), sono in larga parte autografe dell’Angelico e ricche di invenzioni da un punto di vista compositivo, luministico e del colore. Solo la scena con la Guarigione del diacono Giustiniano (con il miracoloso trapianto della gamba nera di un etiope) è conservata a Firenze, mentre le altre provengono da musei europei e americani.


Tra le altre opere medicee presenti in mostra compare anche la Pala di Annalena (1445 ca., Museo di San Marco), della quale non si conosce la sua collocazione originaria, e l’Armadio degli Argenti, commissionato da Piero il Gottoso intorno al 1450 per la basilica della SS. Annunziata, con ben 35 tavolette superstiti relative alla vita di Gesù.

Si deve invece alla famiglia Strozzi la Pala di Santa Trinita, riportata all’antica bellezza grazie a un impegnativo restauro. Si tratta di un’opera che appare altamente innovativa, in quanto viene superato il modello della pala d’altare di origine medievale, caratterizzata dall’accostamento di più tavole dipinte separatamente e divise da guglie e colonnine. Con l’Angelico, in effetti, si fa strada una visione unitaria dello spazio dipinto, all’interno del quale i personaggi e le storie narrate acquistano respiro in un ambiente dalla giusta prospettiva.
Commissionata da Palla Strozzi in onore di suo padre Onofrio per la Sagrestia della Chiesa di Santa Trinita, la pala fu iniziata prima del 1425 dal camaldolese Lorenzo Monaco, autore delle cuspidi e della predella, e dopo la sua morte completata da Fra Giovanni (tra il 1429 e il 1432), con la Deposizione dalla croce e santi e profeti nei pilastri. L’Angelico riuscì a far dialogare il suo linguaggio ormai moderno con quello gotico di chi lo aveva preceduto, creando un’opera di grande armonia.
La Deposizione, che Vasari giudicò “fra le migliori che mai facesse annoverare”, appare come una scena teatrale, con ben 28 figure, tra le quali gli storici hanno cercato di riconoscere personaggi in vista nella Firenze quattrocentesca. In primo piano spicca, in particolare, un giovane inginocchiato vestito di rosso, identificato col Beato Alessio Strozzi, che sembra fare da intermediario tra l’osservatore e l’evento sacro. Il centro della scena è occupato dal corpo di Cristo deposto dalla croce, sostenuto da alcune figure che si affannano su due scale per sorreggerlo, affiancate dalle Marie dolenti, ma non patetiche.
Un’altra novità che il restauro ha contribuito a evidenziare è il paesaggio sullo sfondo, con le colline della campagna toscana e una città turrita, che pur volendo rappresentare Gerusalemme sembra alludere a Firenze. La luce chiara e intensa dà risalto alle rifiniture in oro delle vesti dei personaggi e al prato lussureggiante in primo piano.
Un altro restauro importante è quello del Trittico francescano (pala della Compagnia di San Francesco in Santa Croce), che era fortemente danneggiato e la cui Madonna è stata scelta come immagine guida della mostra.


Nel 1991 gli studiosi John Henderson e Paul Joannides hanno dimostrato che l’opera venne commissionata nel 1429 dalla Compagnia di San Francesco, detta “del Martello”, e si tratterebbe, pertanto, dell’unica commissione legata all’ordine rivale dei domenicani.

Certamente non passano inosservate molte altre opere di celestiale bellezza, come Il Giudizio universale (1425-28, Museo di San Marco), la pala dell’Incoronazione della Vergine (Paradiso) (1435, Gallerie degli Uffizi), la pala con l’Annunciazione di Montecarlo (1432-35, San Giovanni Valdarno, Museo della Basilica di Santa Maria delle Grazie).



Anche in quest’opera, come in altre con lo stesso tema, l’Angelico ha inserito la scena della cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso terrestre, sottolineando come la dannazione dell’umanità sia stata poi redenta attraverso il sacrificio di Cristo, la cui nascita è legata all’accettazione di Maria. A Firenze l’abbondanza di tanti dipinti con l’Annunciazione è dovuta al fatto che nella città il Capodanno coincideva (fino al 1750) con la festa dell’Annunziata (25 marzo), segnando allo stesso tempo l’inizio della primavera.
Un altro motivo iconografico tipico dell’Angelico è quello della Madonna dell’Umiltà, come per esempio quella del Museo Thyssen Bornemisza, con la Vergine col Bambino seduta per terra su un cuscino, accompagnata da simboli della sua purezza.

Particolarmente commoventi sono le raffigurazioni di Cristo: pensiamo ai crocifissi sagomati che danno l’idea di sacre rappresentazioni stilizzate, e soprattutto ai Volti santi, tra cui Cristo come Re dei Re (1447-50, da Livorno, cattedrale di San Francesco), con le gocce di sangue che colano sul viso coronato di spine e gli occhi rossi. Quegli occhi che altrove appaiono bendati, per non vedere la violenza dell’uomo, come nelle immagini di Cristo deriso.
Il percorso a Palazzo Strozzi si snoda attraverso otto sezioni cronologiche ma anche tematiche (Santa Trinita, Il nuovo linguaggio, San Marco, La Crocifissione sagomata, Volti santi, Le grandi committenze, Roma, I Medici), con un allestimento molto curato comprendente anche le ricostruzioni grafiche delle pale smembrate.

Nel Museo di San Marco la mostra prosegue nella grande sala al pianterreno (quella che abitualmente accoglie alcune delle opere ora esposte a palazzo Strozzi), dedicata agli esordi e al contesto artistico in cui si formò. Si apre con la Pala di Fiesole, dipinta in forma di trittico intorno al 1420-23, al suo ingresso come frate domenicano nel convento di San Domenico. Tra le primissime opere a lui attribuite troviamo la Tebaide, databile al 1415-1420, la tavola di predella con l’Imposizione del nome al Battista, eseguita intorno al 1428-1430. La sequenza delle opere mostra l’evoluzione dell’artista, che da massimo esponente del tardogotico fiorentino giunge ad affiancare Masaccio nel ruolo di fondatore della pittura rinascimentale, come evidenzia il confronto in fondo alla sala della Pala di San Pietro Martire con il Trittico di San Giovenale di Masaccio.


Sono poi esposte opere di altri artisti che dialogarono con l’Angelico: da Gherardo Starnina al Maestro della Madonna Straus, da Lorenzo Ghiberti a Lorenzo Monaco e Masolino da Panicale. In fondo alla sala si erge l’imponente Tabernacolo dei Linaioli, eseguito dall’Angelico tra il 1432 e il 1436, mentre la cornice marmorea è di Ghiberti.
Al piano superiore, nella Biblioteca del convento, è ospitata una preziosa selezione di manoscritti e codici miniati in una sezione dedicata all’Angelico miniatore e, ovviamente, il percorso prosegue con la visita del convento, dal Chiostro di Sant’Antonino, con l’affresco raffigurante San Domenico in adorazione del Crocifisso, alla Sala del Capitolo con la Crocifissione con i santi (l’affresco più grandioso, sia per dimensioni che per concezione, che l’Angelico ha lasciato a San Marco), quindi il Dormitorio e le celle al primo piano.

Le celle dei frati, ben 44, sono dislocate lungo tre corridoi. Ricordiamo che l’edificio fu realizzato da Michelozzo di Bartolomeo tra il 1437 e il 1443 su commissione di Cosimo de’ Medici, e l’Angelico, coadiuvato da collaboratori, eseguì gli affreschi delle celle e delle pareti esterne, ovvero l’Annunciazione, San Domenico in adorazione del Crocifisso e la Madonna delle ombre. Le celle del Corridoio est (o “Corridoio dei chierici”), riservato ai frati più anziani, furono affrescate con Storie di Cristo, immagini dal profondo significato spirituale e simbolico.




Segue il Corridoio sud (o “Corridoio dei novizi”) riservato ai frati giovani: nelle celle gli affreschi presentano variazioni sul tema, caro ai domenicani, del Crocifisso con San Domenico in preghiera.
In fondo al Corridoio sud si aprono tre piccoli vani noti come “Celle del Savonarola”: qui, secondo la tradizione, visse il frate ferrarese durante il suo priorato.
Tornando verso l’ingresso, si apre sulla sinistra il Corridoio nord (o “Corridoio dei laici”). Le celle sono decorate con storie tratte dai Vangeli, rese con una vena più narrativa. Proseguendo oltre la Biblioteca, si arriva alla doppia cella di Cosimo de’ Medici (1389-1464), promotore della ristrutturazione del convento, che qui risiedeva nei suoi momenti di ritiro spirituale. In essa soggiornò anche papa Eugenio IV, quando presiedette nel 1443 alla consacrazione della chiesa di San Marco.
Nella visita del convento di San Marco ciò che ci meraviglia maggiormente è la presenza di grandi immagini affrescate in ogni singola cella, che certamente doveva apparire assai moderna ai confratelli dell’Angelico. Certamente i domenicani, come anche i religiosi di altri ordini, potevano avere piccoli crocifissi o quadri della Madonna o del santo del loro ordine, ma una tale abbondanza di affreschi in un convento non si era mai vista prima. Data l’assenza di documenti archivistici non possiamo sapere con certezza quale sia stato il peso dell’artista nella definizione di un simile programma iconografico, ma è probabile che l’esperienza di Fra Giovanni da Fiesole possa aver influito notevolmente. E oggi il “frate dipintore” continua a essere identificato come il genius loci di questo meraviglioso complesso.
Nica FIORI Firenze 28 Settembre 2025
Palazzo Strozzi
https://www.palazzostrozzi.org/
Museo di San Marco
https://museitoscana.cultura.gov.it/luoghi_della_cultura/museo_di_san_marco/
