“Caravaggio ? Le novità ci sono ma occorre superare incomprensioni, rivalità e persino schieramenti”. Parla Stefania Macioce

P d L

Continua l’inchiesta di About Art sugli utlimi studi e rilievi relativi a Caravaggio. Oggi pubblichiamo l’intervento di Stefania Macioce a ragione considerata tra gli studiosi più preparati sulla vita e l’opera del grande artista lombardo. Dopo la laurea, la scuola di specializzazione e il dottorato di ricerca, Stefania Macioce attualmente insegna all‘Università degli Studi di Roma “La Sapienza”in veste di Professore associato confermato di Storia dell‘arte Moderna presso il Dipartimento di Storia dell‘arte della Facoltà di Lettere e Filosofia. Fa parte del Collegio dei Docenti del Dottorato di Ricerca in Storia dell‘arte della Facoltà di Lettere e Filosofia dell‘Università di Roma “La Sapienza” ; dall’anno accademico 2009-2010 è Presidente del Corso di Laurea Magistrale (ord. 270 ex-Lettere e Filosofia). Per i suoi studi sulla vita e sull’opera di Michelangelo Merisi da Caravaggio nel 2010 è stata insignita della Croce di Merito dal Sovrano Militare Ordine di Malta. E’ autrice di numerose ricerche e conferenze in Italia e all’estero, nonchè di varie pubblicazioni di cui non è possibile dar conto in questa sede.

-La prima questione che ti porrei riguarda quanto sta avvenendo da qualche tempo a questa parte intorno a Caravaggio, diciamo così, è cioè questo vero e proprio insorgere di esposizioni, convegni, pubblicazioni che riguardano le indagini diagnostiche su determinate opere del Merisi, per ultima la mostra a Palazzo Reale curata da Rossella Vodret incentrata sul tema della diagnostica scientifica applicata all’analisi di 20 opere di Caravaggio ritenute ‘certe’. Tu sei tra i massimi conoscitori della pittura di Caravaggio ed hai certamente visto l’esposizione e letto attentamente il catalogo; che idea ti sei fatta ? A questo punto occorrerà aspettare gli esiti delle indagini per stabilire l’autografia di un’opera? Cioè, credi possibile che e i risultati raggiunti con le indagini possano dirimere antiche questioni sulla tecnica, sul ductus, sui materiali utilizzati dall’artista?

R: Il risultato di queste indagini è un’indubbia acquisizione, le possibilità offerte dalla diagnostica odierna suggeriscono nuove aperture  e inducono ad allargare  continuamene il campo delle indagini come è giusto che avvenga. La ricerca impone di orientarsi verso nuove acquisizioni e in tal senso la mostra di Milano curata da Rossella Vodret ha fornito nuovi dati, così come avvenne alla fine degli anni ’90 con la mostra Come nascono i capolavori, curata da Mina Gregori. Il problema semmai può nascere dal pericolo insito nel trarre conclusioni definitive, l’assertività dei giudizi non è consigliabile in nessun ambito attinente alla ricerca. La mostra ha offerto nuovi importanti elementi di riflessione, risultato di una lunga indagine iniziata attorno al 2010. Ora si sa molto di più, resta il fatto che una visione esaustiva, al momento resta abbastanza utopica, essa prevedrebbe il confronto di analisi su tutta l’opera di Caravaggio secondo criteri diagnostici analoghi, ma anche divergenti, ma credo che un risultato oggettivo di tipo matematico sia impossibile. Il titolo del saggio scritto da Claudio Falcucci nel catalogo Così dipingeva il Caravaggio, forse, è molto esemplificativo e lodevolmente obiettivo. Le acquisizioni ci sono e chiariscono molti aspetti relativi al modo di procedere nella costruzione dell’immagine pittorica da parte di Caravaggio, dati importanti si ricavano ad esempio in merito alle preparazioni, ma anche dall’esame dei pigmenti: in linea di massima ora si sa bene come si muoveva nelle sue scelte Caravaggio, anche se un margine di possibili varianti persiste in rapporto a situazioni contingenti che possono aver influenzato necessariamente le variabili della sua tavolozza. Per quanto concerne Caravaggio poi, in un panorama più ampio delle ricerche, le letture non sono sempre oggettive, ma condizionate da posizioni critiche contrastanti, segnate talvolta da esplicite o implicite rivalità, o addirittura schieramenti che nel caso del grande pittore lombardo sembrano perpetrare anche aspetti propri della sua personalità. Si è parlato per almeno quarant’anni d’interdisciplinarietà, ma mai come ora la cooperazione delle discipline si rivela necessaria, la settorialità può dare risultati utili, ma da riesaminare in un contesto più ampio, un po’ come accade per la medicina, e in tal senso la mostra offre un ampio quadro di riferimenti.

Faccio anche a te la domanda che ho rivolto agli altri studiosi intervenuti in questa nostra inchiesta; cioè se non intravedi il rischio che una simile impostazione finisca poi per ridimensionare se non proprio rendere non dico inutili ma quanto meno secondari l’analisi del linguaggio pittorico, lo studio dei documenti, la ricerca d’archivio, i confronti testuali, insomma quella che è solitamente la prassi che impegna lo storico dell’arte ?

R: Non lo credo. Il risultato delle indagini diagnostiche concerne principalmente la tecnica, i pigmenti, i supporti e di certo offre risultati di rilevante interesse relativi ad esempio alle fasi dell’ ideazione, dei cambiamenti in corso d‘opera, dei ripensamenti; altri dati possono riguardare i pigmenti e i supporti adoperati dall’artista, e fornire nel loro insieme elementi concreti anche sul piano della datazione o talvolta persino dell’autenticità, sebbene i mezzi di contraffazione abbiano oggi anch’essi un elevata qualità. Tuttavia ciò non può escludere il confronto con i dati storici e documentari (a proposito nel catalogo si riferiscono a me documenti napoletani concernenti il Cerriglioritrovo di letterati’(?) (colgo l’occasione per chiarire che non ho mai pubblicato questo!) in un reciproco confronto tentando come si può una necessaria integrazione.

Esistono piani di lettura altrettanto complessi che inseriscono l’opera pittorica all’interno di un contesto non soltanto figurativo, ma anche e soprattutto culturale. Il ruolo della committenza, delle fonti, ciò che si ricava da inventari e indagini archivistiche, non può essere smentito da indagini diagnostiche, le discipline debbono intersecarsi e procedere parallelamente.

Un problema che si pone tra gli studiosi è se Caravaggio sia arrivato a Roma intorno al 1592, oppure nel ’95 – 96 come invece si ritiene ora da più parti dopo le scoperte all’Archivio di Stato di Roma; che idea ti sei fatta su questa nuova possibile datazione, che porterebbe a rivedere la collocazione cronologica delle opere precedenti l’ingaggio presso il Del Monte ?

R: Le scoperte archivistiche del 2011, seguite alla mostra Caravaggio una vita del vero, costituiscono un precisazione utile dalla quale non si può al momento prescindere. Personalmente però mi è difficile pensare che la testimonianza di un garzone di barbiere come Pietro Paolo Pellegrini, possa essere così incisiva e ineludibile, un po’ per la modestia del personaggio e un po’ per il tono approssimativo della testimonianza. Non riesco ad accettare che il percorso pittorico di Caravaggio, dagli iuvenilia  fino alla Contarelli, sia stato compiuto in cinque anni: trattandosi di Caravaggio è possibile che un percorso di maturazione ideativa sia stato veloce, ma io ho qualche esitazione a riguardo. Tutto potrà chiarirsi quando una fortunata ricerca porterà alla luce opere e fatti relativi al pittore in quel lungo periodo trascorso dal 1587, anno in cui lascia la bottega di Peterzano al 1595, quando è menzionato per la prima volta a Roma. Quando lascia la bottega del maestro, sappiamo che il pittore resta ancora a Milano per un po’, ma per motivi che non hanno nulla a che vedere con la pittura. Nel 1587 Caravaggio ha 16 anni, ma nel 1592 -alla metà di questo anno è ancora documentato a Milano- ne ha 21: possibile che non abbia eseguito nessun dipinto prima? A me sembra poco verosimile ritenere che egli cominci a produrre soltanto nel 1595 o al massimo 1596. I dati emersi dal Foglio delle Quarantore attestano inconfutabilmente che Caravaggio compare a Roma alla festa di San Luca nell’ottobre del 1597, mentre la deposizione di Pietro Paolo Pellegrini, garzone del barbiere, assesta la presenza a Roma di Caravaggio, ventottenne, nel 1596, ma a questa data Caravaggio dovrebbe in realtà avere 25 anni, come del resto ipotizzato dal suo padrone Luca. Come si vede c’è un margine di approssimazione in queste testimonianze. Al momento i fatti noti sono questi, ma non sappiamo nulla di concreto a livello documentario, per quanto concerne il periodo compreso tra la metà del 1592 e  il 1596 , e non si può escludere nessuna ipotesi. Spostare tutta la datazione dei dipinti in rapporto a questa data è frutto di un ragionamento logico e la cronologia proposta da Alessandro Zuccari è attendibile, tuttavia resta difficile concentrare opere -nemmeno tanto poche- e tanto diverse, in un periodo così ristretto a ridosso della Contarelli: qualche perplessità può essere lecita.

L’ultima più importante scoperta d’archivio riguarda il ritrovamento della biografia di Caravaggio risalente al 1614 che Gaspare Celio redasse nelle sue “Vite”, attendiamo ovviamente di saperne di più dalla prossima pubblicazione di Riccardo Gandolfi, autore del ritrovamento, tuttavia da quanto apparso finora il ruolo di Prospero Orsi appare ancor

Ottavio Leoni, Ritratto di Gaspare Celio

più decisivo nel ‘lancio’ e nell’affermazione di Caravaggio . Certamente avrai letto il recente intervento di Claudio Strinati in questa inchiesta che stiamo conducendo su About Art secondo il quale sarebbe proprio da qui, da quest’incontro che daterebbe il Caravaggio-pittore, e di conseguenza lo spostamento delle sue opere a dopo il ’98; mi piacerebbe sapere cosa ne pensi.

R: La tesi di Claudio Strinati è logica e stringente, è infatti più che probabile se non certo che Orsi abbia avuto un ruolo determinante circa l’affermazione del pittore nel contesto romano. Se si rimanda a quanto riportato nel catalogo della mostra, si evince che il Suonatore di liuto menzionato da Celio sarebbe quello Giustiniani, risalente al periodo 1596-97, quando Caravaggio viene ospitato da Prospero Orsi, subito dopo sarebbe stata realizzata la versione Del Monte del dipinto. Questo percorso è plausibile, ma mi sia consentito di sottolineare  la notevole differenza qualitativa tra i due dipinti: ho sempre avuto difficoltà a ritenere il quadro Del Monte che noi conosciamo (quella di New York sarà davvero la versione eseguita per il Cardinale?) successivo a quello Giustiniani, e continuo a chiedermi cosa abbia fatto Caravaggio prima? A tal riguardo è bene tuttavia attendere la completa disamina della rilevante scoperta di Riccardo Gandolfi.

Ci sono ancora molti enigmi intorno alla vita e all’opera di Michelangelo Merisi; uno di questi riguarda le opere perdute sulle quali non sappiamo neppure se le abbia dipinte davvero o no; come giudichi questi ritardi ?

R: Lo studio delle copie e delle repliche può essere molto produttivo, specie in rapporto ai risultati della mostra milanese, in merito agli esami diagnostici.

E con particolare riguardo allo ‘storico’ dilemma se il Merisi replicasse o copiasse i suoi capolavori, quale giudizio hai maturato dopo tanti anni di studi?  Non c’è il rischio che si finiscano per travalicare o sfumare i concetti stessi di originale, replica, copia considerando quello cha accade ogni volta che compare sul mercato o in una collezione un nuovo possibile Caravaggio?

R: Ovviamente si. Se si pensa solo brevemente a quanto sappiamo di Caravaggio attraverso le fonti e i documenti, mi è difficile pensare che un genio temperamentale, che tuttavia dà vita ad opere  frutto di una meditata riflessione mentale e non di un impulso istintivo (una cosa è la capacità di un genio di sintetizzare velocemente un pensiero articolato e complesso, un’altra è dipingere come un artista dell’action painting, anche se in opere più tarde come ha evidenziato Christiansen, la stesura  si fa più ostentatamente veloce, libera e sciolta), replicasse opere identiche, potrebbe averlo fatto ovviamente per esigenze strettamente commerciali, ma la sua pittura non è certo, con il dovuto rispetto, quella di Perugino. Caravaggio, come tutti i geni, va sempre avanti, ricerca nuove soluzioni che traducano le sue personalissime interpretazioni dei soggetti da dipingere, secondo il suo modo di sentire nelle varie fasi della sua tormentata vicenda biografica:

anche quando cita particolari di suoi dipinti (si veda ad esempio l’angelo tra le nuvole del Martirio di San Matteo, del San Matteo e l’angelo, seconda versione, della Madonna nelle Sette Opere di Misericordia) egli cambia, modifica, ripensa. Che poi i concetti di originale, replica e copia siano continuamente travalicati quando si cerca di attribuire un nuovo dipinto a Caravaggio, è un dato evidente, e le motivazioni sono abbastanza facili da comprendere.

Si sa che Roberto Longhi ha sempre negato la possibilità che Caravaggio potesse realizzare più versioni identiche di un’opera; e se non sbaglio fu il compianto Maurizio Marini già negli anni ’80 ad affermare che si dovesse riconsiderare la questione ponendola su un terreno storicamente e concettualmente più confacente; e tuttavia il tema è ancora molto divisivo. Ti chiedo: sulla base di quanto emerso  con la mostra Dentro Caravaggio si può arrivare a dire qualcosa di definitivo in proposito? E conseguentemente magari grazie a mezzi ancor più sofisticati, potremmo pensare finalmente a dare un nome ad esempio al Maestro di Hartford, o ad altri ancora ignoti comprimari del Merisi?

R: Non credo che al momento si possano dare risposte definitive, perché anche la mostra di Milano, i cui risultati sono assolutamente rilevanti sul piano delle acquisizioni, è un’indagine parziale su alcune opere, parlare di risultati definitivi è dunque fuorviante, le indagini forse proseguiranno e andranno estese a tutta l’opera del pittore con le medesime metodiche e anche al contesto, è probabile che in futuro si individuino nuove metodiche. Mi rendo conto che la cosa non è assolutamente facile e la mostra di Milano resta un indiscutibile punto di focalizzazione delle problematiche: in base ai risultati emersi dalle analisi compiute in questa occasione, si hanno molti elementi in più per analizzare un dipinto attribuibile a Caravaggio e proporre valutazioni di più ampio riscontro.

E’ noto che da tempo alcuni studiosi, in particolare Roberta Lapucci e Clovis Whitfield, avanzano osservazioni sul metodo di come lavorasse ‘praticamente’ Caravaggio, in funzione, a loro modo di vedere, dell’uso della “camera obscura”, dello specchio parabolico e di sostanze fluorescenti impastate nella mestica; non trovi –mi riferisco in particolare a quest’ultima tesi – che ci sia una qualche parentela tra questa modalità di approccio alla pratica artistica del Merisi (da molti studiosi criticata) e quella che ultimamente si va sviluppando e che costituisce anche la novità della mostra milanese che hai curato?

R: Dalla mostra di Milano emerge  tra gli altri il contributo offerto da Claudio Falcucci che ha preso in esame i singoli strati di cui si compone un dipinto di Caravaggio: di ognuno viene analizzata, a partire dal supporto, la serie degli interventi successivi, gli elementi cromatici delle preparazioni, chiare, scure o altro, l’ impostazione della composizione  e quindi la presenza di incisioni, di varie forme di abbozzo, di disegno a pennello, di stesure pittoriche con profili a risparmio per separare le singole campiture, fino all’analisi dei pigmenti. La tavolozza di Caravaggio sembra corrispondere sostanzialmente a quella utilizzata di pittori coevi. Particolarmente interessanti le ipotesi, prodotte nell’ambito di questa ricerca, circa il variare delle preparazioni di fondo in modo funzionale rispetto alla tonalità dei dipinti. Ne scaturisce un’attendibile ricostruzione del processo pittorico. Altre indagini come quelle da tempo proposte circa l’ utilizzo della camera oscura sono moto stimolanti, ma mi sembra di capire che ancora non vi sia una uniformità di giudizio, personalmente non credo che egli adoperasse la camera oscura, ma sono più propensa a ritenere che facesse largo uso di specchi. La straordinaria capacità di Caravaggio di ottenere risultati anticipatori delle tecniche fotografiche, è nella resa istantanea –attraverso sofisticati elementi compositivi finalizzati a generare un senso di  provvisorietà se non precarietà – il senso della sua modernità che tanto soggioga i contemporanei.

PdL   Roma aprile 2018