Capolavori di Canova a Palazzo Braschi; l’Eterna Bellezza in mostra fino al 15 marzo 2020

di Nica FIORI

L’eterna bellezza di Canova a Palazzo Braschi

Il candore abbagliante del marmo statuario, prediletto dagli artisti neoclassici, può sembrare freddo solo a chi ha il cuore di marmo, sembra suggerire la mostra dedicata ad Antonio Canova (1757 –1822) nel Museo di Roma a Palazzo Braschi. Ce ne rendiamo conto già nel cortile del palazzo, che si apre tra piazza Navona e piazza San Pantaleo, dove è collocata un’installazione con la riproduzione del gruppo di “Amore e Psiche giacente” (l’originale è al Louvre), realizzata in marmo di Carrara con le tecnologie più avanzate.

Installazione con Amore e Psiche giacente

Un’opera sensuale dove è magistralmente espresso l’amore nell’incontro degli sguardi tra i due mitici protagonisti della fiaba forse più bella dell’antichità, narrata da Apuleio nel suo romanzo Le metamorfosi. Un Amore che salva Psiche (che in greco vuol dire Anima) dalle sue traversie terrene e la rende immortale, eterna. Ma, ovviamente, trattandosi di una copia, manca l’ultimo ritocco che Canova avrebbe dato per lisciare il marmo a tal punto da farlo sembrare morbida carne.

La mostra “Canova. Eterna bellezza”, a cura di Giuseppe Pavanello, realizzata dalla Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali e da Arthemisia, in collaborazione con l’Accademia Nazionale di San Luca e con Gypsotheca e Museo Antonio Canova di Possagno, ha tutte le carte in regola per affascinare i visitatori. Fino al 15 marzo 2020 possiamo ammirare capolavori di Canova e di altri artisti del suo periodo, esposti in modo accattivante con basi girevoli, specchi e con un’illuminazione in grado di riproporre anche la visione notturna a lume di torcia con cui l’artista, a fine Settecento, mostrava le proprie opere agli ospiti nello studio di via delle Colonnette.

Giustamente questa esposizione è stata definita dal Sindaco di Roma Virginia Raggi, nel corso della presentazione alla stampa, una “mostra evento”, perché ricca di oltre 170 opere, tra sculture, bozzetti, dipinti, disegni e fotografie, con prestiti da musei internazionali, come lErmitage di San Pietroburgo e i Musei Vaticani. Sono opere scelte ad hoc per illustrare “il fascino che Roma ha avuto su questo artista, che di rimando ha sviluppato la sua concezione di arte”, ha detto la Raggi. La Sovrintendente Capitolina Maria Vittoria Marini Clarelli, da parte sua, ha affermato che

Roma nel Sette-Ottocento non sarebbe stata la stessa senza Canova e Canova non sarebbe stato lo stesso senza Roma”.
Napoleone Primo Console

E questo grazie a “una rilettura del passato che diventa rivoluzionaria”, in un momento di sconvolgimenti politici che cambiano l’Europa. Basti pensare all’epopea di Napoleone, ricordato in mostra con un ritratto in gesso di Canova che lo raffigura come Primo console (dall’Accademia di San Luca), e con i busti di altri membri della famiglia Bonaparte, ovvero Letizia Ramolino (la madre di Napoleone) e Paolina Bonaparte Borghese, la sorella di Napoleone, la cui bellezza era tale da essere raffigurata nuda come “Venere vincitrice” in una celebre (e inamovibile) statua di Canova della Galleria Borghese. L’artista riprende in questo caso un aspetto tipico dell’arte romana, quello di abbinare ritratti di personaggi reali a corpi idealizzati di divinità. Lo fa anche con la principessa Leopoldina Estherázy Liechtenstein, che viene raffigurata come una Musa (è in mostra il bozzetto in terracotta).

Martino De Boni. Ritratto di Antonio Canova

Nelle sale espositive i capolavori pittorici di artisti quali Pompeo Batoni, Anton Raphael Mengs, Felice Giani, Pierre Peyron e altri, compreso lo stesso Canova, dialogano con le opere scultoree con continui rimandi e intrecci. Molti personaggi, dei quali troviamo i busti o i ritratti a olio, permettono di avere un quadro dell’ambiente culturale dell’epoca. Tra i ritratti ricordiamo in particolare il busto di Domenico Cimarosa, che doveva far parte della serie degli uomini illustri che Canova aveva ideato per il Pantheon, e che ora è conservato nella Protomoteca Capitolina. Di grande qualità è il ritratto di Pio VII, della stessa Protomoteca. Tra i dipinti non passa inosservato quello di Vittorio Alfieri (opera di Antonio Gualdi), la cui tragedia Antigone, andata in scena a Roma nel 1782, presenta alcuni spunti di riflessione in rapporto alla rivoluzione figurativa di Canova. Numerosi sono i ritratti di artisti dell’Accademia di San Luca, della quale Canova divenne Principe “a vita”.

Quando Canova arriva a Roma nel 1779, sotto il pontificato di Pio VI Braschi, rimane profondamente colpito dalle opere scultoree che abbondano nella città, non solo nei musei, ma anche nelle piazze e nelle vie. Riguardo ai giganteschi Dioscuri di piazza del Quirinale (i Colossi di Montecavallo) scrive nei suoi Quaderni di viaggio:

Riflettendo meco stesso, mi parve che quelle Statue potessero più d’ogni altra darmi li veri precetti per bene intendere geometricamente le forme generali dell’uomo. Deliberai perciò di portarmi colà di buon mattino per lungo tratto di tempo per delinearne i contorni in qualunque punto”.
Teste colossali dei Dioscuri

I due Dioscuri sono ricordati in una sala con due teste gigantesche (di una bottega romana di inizio XIX secolo, dall’Accademia di Belle Arti di Ravenna) e una serie di disegni e lo stesso avviene per altre celebri sculture dell’antichità. Canova, letteralmente abbagliato dall’arte antica, s’ispira più volte ad essa per le sue opere, tanto da essere stato chiamato “novello Fidia”. Il suo rapporto con la classicità è di estremo rispetto, come si evince da questa frase: “L’Antico bisogna mandarselo in sangue sino a farlo diventare naturale come la vita stessa.”  In effetti non copiò mai le sculture antiche, ritenendolo un lavoro indegno di un artista creatore, come non volle mai intervenire con restauri sui marmi antichi, in quanto intoccabili, secondo un concetto che si sarebbe affermato solo in età più moderna.

Amorino di Canova dall’Ermitage
Eros tipo Centocelle, dal MAN di Napoli

Ispirandosi a esemplari della statuaria classica, Canova scolpì nel corso della sua vita ben quattro statue raffiguranti Amore, un soggetto che esprimeva pienamente il bello ideale di Winckelmann, il teorico del Neoclassicismo. L’Amorino alato, prestato dall’Ermitage, è quello commissionato dal principe Nikolaj Yusupov nel 1794, ma spedito in Russia solo nel 1801, e quindi rimasto a lungo nella bottega di Canova, consentendo allo scultore di continuare a lavorare sul marmo, portandolo a un grado sommo di perfezione. Il confronto proposto in mostra è con l’antico Eros tipo Centocelle, prestato dal Museo archeologico nazionale di Napoli.

Amore è raffigurato invece senza ali nel gruppo “Amore e Psiche stanti”,

Antonio Canova, Amore e Psiche stanti

in tenero atteggiamento con la sua amata. Un’opera forse meno sensuale del gruppo di Amore e Psiche giacente, ma ancora più emozionante per quell’abbraccio che comunica una profonda intimità, e oltretutto denso di significato, perché la fanciulla tiene per le ali una farfalla che posa dolcemente nella mano di Amore a significare che gli dona la propria anima.

Altre opere d’impronta classica sono l’Ebe, la mitica dispensatrice di ambrosia agli dei dell’Olimpo, resa con un vestito che sembra trasparente, la leggiadra Danzatrice con le mani sui fianchi, un marmo di eccezionale raffinatezza giunto dall’Ermitage, Endimione e il Genio della Morte,

Il Genio della Morte

la cui acconciatura ricorda quella dell’Apollo del Belvedere.

Il pugilatore nella Sala dei Paragoni

Una sala spettacolare sul tema del Classico e Neoclassico è quella che mostra i grandi gessi del Gladiatore Borghese e dell’Apollo del Belvedere a confronto con le opere di Canova, il Perseo trionfante e il Pugilatore Creugante: le opere vengono da Padova e ricostruiscono la “Sala dei paragoni” di Palazzo Papafava, così come era stata concepita nell’Ottocento.

Viene anche trattato in mostra il suo operato nel campo della tutela delle opere d’arte, come quando acquistò due cippi antichi (uno è esposto) dal marchese Giustiniani, per evitare che andassero all’estero, e li regalò ai Musei Vaticani.

Il Fauno dormiente (calco in gesso)

Si oppose anche all’esportazione del “Fauno Barberini”, un’opera di età ellenistica di una sensualità prorompente (in mostra ammiriamo un calco in gesso), ma quella fu una “battaglia perduta”, perché l’opera venne poi donata da Pio VII al Principe ereditario Ludovico di Baviera.

Ricordiamo che Canova godeva di un enorme prestigio e dal 1802 venne nominato Ispettore generale della Belle Arti dello Stato della Chiesa, incarico che ricoprì anche durante la seconda dominazione francese a Roma (1809-1814) e durante la Restaurazione, quando fu incaricato di recuperare le opere d’arte sottratte da Napoleone alla fine del Settecento. Negli stessi anni egli cominciò a lavorare a una statua colossale della Religione, evocata in mostra con modelli in gesso. La statua, che egli intendeva regalare alla Basilica di San Pietro, non venne mai eseguita perché i canonici di San Pietro si opposero alla sua collocazione all’interno della Basilica Vaticana e allora Canova rinunciò al progetto.

Figura alata del Sepolcro degli Stuart (gesso)

In mostra è possibile approfondire, attraverso disegni, bozzetti, modelli plastici e gessi, anche di grande formato, il lavoro di Canova per i monumenti funerari dei papi Clemente XIV (eretto nella basilica dei Santi Apostoli nel 1787 e subito acclamato come esempio di perfezione) e di Clemente XIII (1792, basilica di San Pietro) e per il monumento per gli ultimi Stuart. Quest’ultimo, collocato nella basilica di S. Pietro, ricorda Giacomo III e i figli Carlo Edoardo ed Enrico cardinale di York, morti in Italia. Il modellino del monumento Stuart della Gypsotheca di Possagno mostra la felice soluzione di inserire i tre ritratti dei defunti nel rilievo di una piramide, mentre una porta in basso conduce al sepolcro, al quale fanno da guardia due geni alati di eterea – ed eterna – bellezza. Stendhal scrisse di aver passato ore nella basilica assorto nella loro contemplazione:

Di fronte c’è una panca sulla quale ho trascorso le ore più dolci del mio soggiorno a Roma. Soprattutto nell’approssimarsi della notte, la bellezza di questi angeli appare celestiale. Giungendo a Roma bisogna venire presso la tomba degli Stuart per provare se si abbia per caso un cuore fatto per comprendere la scultura”.
Ritratto di Clemente XIII

Oltre al gesso di uno dei due geni funerari idolatrati da Stendhal, esposto in mostra, un’altra opera “tutta figlia del cuore”, come venne definita all’epoca, è la Maddalena penitente (1793-96), proveniente da Genova, di marmo sì, ma coperto da una patina giallastra che rende l’opera fortemente pittorica. “E allora facciamola finita con il luogo comune che le opere del neoclassico Canova siano fredde – ha dichiarato il curatore Pavanellobasta ammirare la sua Maddalena per sentirsi profondamente emozionati”.

 

Maddalena penitente

In effetti il grande scultore è riuscito con somma maestria ad armonizzare nella stessa figura bellezza, sensualità, dolore e sofferenza. Un’opera sicuramente in grado di suscitare grande meraviglia e anche poetici versi, come questi tratti dal Sonetto per la Maddalena di Giovan Andrea Rusteghello:

Pallida, smunta, e con le luci meste, / Ove fonte di lacrime si crea, / Pur bella è sì, che non donna, ma dea / Sembra, dal ciel discesa in mortal veste. / Questo sasso non è; l’aspro tormento, / Il rimorso, il dolor vivono in lei; / Ed i singulti ed i sospir ne sento.

Il percorso espositivo è arricchito da inedite installazioni multimediali e da una raccolta di fotografie di Mimmo Jodice, che costituisce una vera “mostra nella mostra”. Jodice, uno dei più importanti fotografi italiani contemporanei, con il suo bianco e nero riesce a cogliere particolari delle sculture canoviane particolarmente suggestivi e a trasmetterci emozioni e magica bellezza.

Nica FIORI    Roma   12 ottobre 2019

Canova. Eterna Bellezza

Museo di Roma a Palazzo Braschi. Ingresso da Piazza Navona, 2
e da Piazza San Pantaleo, 10 Dal 9 ottobre 2019 al 15 marzo 2020

Orario: tutti i giorni dalle ore 10 alle 19.
La biglietteria chiude un’ora prima Biglietto “solo mostra”: intero: € 13,00; ridotto € 11 http://www.museodiroma.it