di Francesco MONTUORI
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M.Martini e F. Montuori
Spaccanapoli e la Certosa di San Martino
Il centro della città di Napoli è attraversato da un rettifilo di più di un chilometro che divide in due la città antica. La strada fu soprannominata Spaccanapoli; essa è, insieme con il decumano maggiore ed il decumano superiore, una delle tre strade principali dell’impianto urbanistico progettato nella fondazione d’epoca greca e romana (figg.1 e 2).
Il rettifilo attraversa in lunghezza l’intera Neapolis e divide nettamente la città antica da nord a sud; divenne fra Medioevo e Ottocento importante sia per i conventi degli ordini religiosi che su di essa gravitavano sia perché vi abitarono gli uomini più potenti della città. In epoca romana la strada inglobò la piazza del Gesù Nuovo; durante il cinquecento il Vicerè Don Pedro de Toledo avviò un processo di espansione della città verso la collina della Certosa di San Martino e allineò il decumano con una arteria dei Quartieri Spagnoli in modo da collegarli con il centro antico della città (fig.3).
Spaccanapoli è la struttura urbana di collegamento fra il centro antico della città, la Certosa di San Martino e il Castel Sant’Elmo (fig.4).
Il decumano si suddivide in tre spezzoni: il primo tratto collega Castel Capuano a via Giudecca Vecchia nella zona di Forcella; nella parte centrale la strada percorre via San Biagio dei Librai (fig.5), incrocia via San Gregorio Armeno che sale verso nord collegando il decumano inferiore a quello maggiore, Spaccanapoli con San Lorenzo Maggiore.
La chiesa e il monastero di San Gregorio furono fondate nell’VIII secolo da un gruppo di monache dell’Ordine di san Basilio, fuggite da Costantinopoli con le reliquie di san Gregorio vescovo d’Armenia (fig.6).
San Biagio dei Librai, protettore dei malati di gola, fu edificata nel 1631 per volere del cardinale Boncompagni; e fu poi ceduta ai maestri dell’Arte dei Libri. La chiesa è oggi chiusa; dall’esterno presenta un semplice portale e la finestra seicentesca in piperno. All’interno la chiesa, scrive Roberto Pane, “mostra sotto gli stucchi di un rifacimento settecentesco, la chiara presenza di crociere gotiche con nervature impostate su capitelli pensili” (fig.7)
La strada rettilinea attraversa la piazzetta di San Nilo tangente all’abside di San Domenico Maggiore; subito dopo appaiono il Gesù Nuovo e, sul lato opposto, la chiesa quattrocentesca di Santa Chiara. La grande chiesa domenicana fu costruita tra il 1283 e il 1324 per volere e voto di Carlo d’Angiò (fig.8).
Alta sulla piazza si staglia l’abside, al culmine di una monumentale scalinata, su cui si apriva l’ingresso della precedente chiesa; di fronte la classica guglia napoletana. All’interno le decorazioni gotiche del manierismo ottocentesco sostituiscono quelle rinascimentali e barocche; sopravvive la cappella Brancaccio con gli affreschi di Pietro Cavallini. Nel transetto destro si può ammirare il sepolcro di Giovanni d’Angiò opera di Tino di Camaino e nel presbiterio l’altare ad intarsi marmorei e il candelabro pasquale di Cosimo Fanzago.
Superata via Roma la strada si inerpica sul colle per pervenire alla Certosa di San Martino e a Castel Sant’Elmo; la Certosa di San Martino si configura come il monumento terminale di Spaccanapoli; arroccata sul colle di Sant’Elmo, appena sotto il castello, è uno dei musei più affascinanti della città (fig.9).
Il suo progetto si deve all’architetto e scultore senese Tino di Camaino; dell’impianto originario restano i grandiosi sotterranei in stile gotico. Nell’arco di cinque secoli la Certosa fu interessata da continui rinnovamenti; nel 1325 Carlo duca di Calabria, figlio di Roberto d’Angiò, vi fa erigere un eremo per l’Ordine dei Certosini.
Nel 1581 si avvia un grandioso progetto di ampliamento affidato all’architetto fiorentino Giovanni Antonio Dosio che trasforma il gotico originale nell’attuale preziosa veste barocca. Il crescente numero dei monaci impose una radicale ristrutturazione del chiostro grande di cui fu promotore il priore Severo Turboli, in carica negli ultimi anni del Cinquecento.
Cosimo Fanzago, attivo lungamente a Napoli nel Seicento, nel 1623 aggiunse all’architettura severa del chiostro grande nuove forme architettoniche e trasformò l’interno della chiesa con marmi intarsiati policromi. Creerà uno dei massimi capolavori del barocco napoletano grazie ad una straordinaria attività decorativa che trasformò le tradizionali decorazioni geometriche in appositi apparati naturalistici; fogliami, frutti, volute si integrano scenograficamente in una sintesi perfetta di pittura, scultura, architettura. Nella chiesa le volte a crociera costolonate furono completamente rivestite della decorazione barocca di Cosimo Fanzago e dagli affreschi delle volte del Cavalier d’Arpino e di Giovanni Lanfranco (fig.10 e 11).
Oltre alle decorazioni delle cappelle, ricchissimi sono gli ambienti del Parlatorio, del Tesoro con gli affreschi del primo Settecento di Battistello Caracciolo, Luca Giordano e la Pietà di Ribera, del Coro dei Conversi con gli affreschi di Micco Spadaro del 1640.
L’altare è realizzato su disegno di Francesco Solimena; nella parete di fondo statue di Pietro Bernini, Giovan Battista Caccini e una natività di Guido Reni; nella parete destra affreschi dello Stanzione; in quella di sinistra di Giuseppe Ribera e Battistello Caracciolo (fig.12).
Nel Settecento i lavori vennero ultimati da Antonio Tagliacozzi Canale secondo gli stilemi del gusto rococò. Divenuta proprietà dello Stato alla soppressione degli ordini religiosi la Certosa di San Martino venne destinata a Museo Nazionale con una collezione in continua crescita e un importante sezione dedicata alle vedute della città di Napoli.
E’ nel Museo della Certosa che viene esposta la Tavola Strozzi di età aragonese (fig.13);
raffigura una veduta di Napoli dal mare della seconda metà del ‘400, al ritorno della flotta di Alfonso d’Aragona il Magnanimo a seguito della battaglia navale avvenuta nell’isola di Ischia il 7 luglio 1465 contro il pretendente al trono Giovanni d’Angiò. L’opera è il primo documento figurativo della Napoli del quattrocento; la città conserva ancora la struttura della polis greco romana, circondata da mura di cinta e torri di guardia. Sullo sfondo si notano edifici monumentali e religiosi come il Maschio Angioino, la certosa di San Martino, il Castel Sant’Elmo, il monastero di Santa Chiara.
Al primo piano del piccolo chiostro dei Procuratori della Certosa di San Martino è ospitata la Collezione Aliso con 107 vedute della città fra cui quelle di Jacob Philipp Hackert (fig.14), Pietro Fabbri, Saverio della Gatta e Antonio Joli.
Sul colle, a ridosso della Certosa di San Martino, il Castel Sant’Elmo fu una struttura difensiva strategica della città. Il vicerè don Pedro di Toledo, sollecitato da Carlo V, volle ricostruirla per consolidarla: furono alzate le mura ciclopiche, scavati i fossati, fortificato l’intero colle di San Martino. La fortezza ha un impianto stellare a sei punte detto a doppia tenaglia che permetteva un efficace sistemazione dell’artiglieria e dei cannoni (fig.15).
Maestri marmorari fiorentini lavorarono ai lavori di pietra e provvidero alla fonditura delle bocche da fuoco. Il castello fu in gran parte scavato nel monte; fu creata un’enorme cisterna e il luogo divenne una cittadella che permetteva di controllare il golfo, le strade che conducevano a Napoli, ma anche la città stessa (fig.16).
Il 12 dicembre del 1587 un fulmine caduto nella polveriera, fece saltare in aria buona parte della fortezza uccidendo 150 uomini; la detonazione e lo spostamento d’aria furono tali che ne vennero danneggiati edifici cittadini anche molto lontani come la chiesa di Santa Maria la Nova, Santa Chiara, l’Ospedale degli Incurabili. L’aspetto attuale, e la struttura a forma di stella a sei punte si deve all’architetto Pedro Luis Escrivà, che la progettò per renderla impenetrabile e difendibile da ogni lato.
Con la sommossa di Masaniello anche Castel Sant’Elmo entrò nella storia di Napoli; fu al Castel Sant’Elmo che il pavido vicerè riparò per sottrarsi alle ira degli scugnizzi napoletani che tentarono inutilmente di prendere la fortezza; i rivoltosi dovettero desistere dall’assalto.
Dopo la morte di Masaniello il popolo napoletano tentò nuovamente di impadronirsi della fortezza, assediarono la collina di San Martino ma il vicerè ordinò di cannoneggiare la città e solo l’intervento del principe Massa, eletto dal popolo, convinse i napoletani di attendere l’accoglimento delle loro richieste. La squadra navale spagnola ordinò allora al popolo di consegnare le armi; l’ira popolare scoppiò violenta ed oltre duemila napoletani presero le armi ma le artiglierie spagnole ebbero il sopravvento; il Castel Sant’Elmo fu espugnato e Carlo di Borbone riuscì a prendere il governo della città.
Vi fu incarcerato il frate domenicano Tommaso Campanella, il filosofo accusato di eresia nel 1604 e nel 1848 vi fu ospite il poeta Giacomo Leopardi. L’8 settembre del 1860 quando Garibaldi tentò l’occupazione della città fu dato l’ordine di impedire in ogni modo l’ingresso ai garibaldini ma una compagnia della Guardia Nazionale prese possesso del forte liberando tutti i prigionieri politici.
Il Castello venne adibito a carcere militare. Oggi il castello, con la compresenza di alcuni uffici della Soprintendenza e della Biblioteca di Storia dell’Arte, espone le raccolte del Museo d’Arte del Novecento con opere di Enrico Baj, Francesco Clemente, Emilio Greco, Mimmo Paladino, ed è sede di importanti mostre temporanee, di manifestazioni culturali e di un Auditorium (fig.17).
Francesco MONTUORI Roma 19 dicembre 2021