Architetti al bivio: dopo la cesura della 1^ Biennale del 1980 un lungo incompiuto cammino

di Francesco MONTUORI

DOPO  LA  STRADA  NOVISSIMA

La Prima mostra di Architettura alla Biennale di Venezia, La Presenza del Passato, aperta al pubblico il 27 luglio del 1980, vide la partecipazione ampia di personalità anche profondamente differenti; architetti americani ed europei, uniti tuttavia da una forte tensione culturale, maturata negli anni ’60 e ’70, volta al superamento del cosidetto Movimento Moderno in architettura (sulla prima biennale del 1980 cfr . https://www.aboutartonline.com/2018/12/09/al-maxxi-dentro-la-strada-novissima-un-focus-dedicato-alla-mostra-della-1-biennale-1980-loccasione-per-riflettere-su-un-momento-cruciale-della-storia-dellarchitettura-del-900/ e soprattutto https://www.aboutartonline.com/2018/12/02/il-gruppo-romano-del-grau-e-lesperienza-alla-i-biennale-di-archittetura-1980-il-lungo-tortuoso-cammino-dentro-il-postmoderno-fra-ideologia-e-prassi/)

fig. 1 W. Grapius, La Bauhaus, Dessau, 1926

Fu Sigmund Giedion, nel suo famoso Spazio, Tempo, Architettura, lo sviluppo di una nuova tradizione, che daterà al 1926, anno di costituzione ad opera di Walter Gropius della Bauhaus di Dessau (fig.1), la nascita dell’architettura moderna, uno stile diverso ed in un certo senso definitivo, corrispondente alle nuove necessità della contemporaneità.

Gli architetti convocati a Venezia -e fra questi il nostro Gruppo Romano Architetti Urbanisti – realizzarono, lungo i 70 metri della Strada Novissima, una sequenza di facciate su cui confrontavano le loro esperienze spesso formalmente divergenti ma comunque culturalmente impegnate verso una nuova architettura (fig. 2)

fig. 2 La Strada Novissima, 1980

Il tema della Presenza del Passato metteva al centro il rapporto del progetto di architettura con la storia, in un tempo in cui, secondo il famoso saggio di Jean.Francois Lyotara, La condizione Postmoderna :

“le società entrano nell’età detta post-industriale e le culture nell’età post-moderna”.

La Strada Novissima passerà alla storia come la Mostra del Postmodernismo e sarà replicata a Parigi e a San Francisco acquisendo in tal modo un rilievo internazionale. Tutto ciò fu merito di Paolo Portoghesi che ebbe l’intelligenza di raccogliere questa esigenza culturale.

Il fatto di legare il problema della storia a quello della strada -su cui si affacciavano le venti facciate- rappresentò un’evidente metafora: il ritorno alla strada era considerato infatti uno dei termini fondamentali della ricerca post-moderna sulla città. Ma, entrando nel merito, verso quale Movimento Moderno era rivolta la polemica degli architetti che realizzarono la loro facciata-autoritratto lungo la Strada Novissima?

La sezione degli omaggi che accompagnava la Mostra, dedicata a Philip Johnson, Ignazio Gardella e Mario Ridolfi, maestri che in modi differenti avevano sviluppato nella loro carriera il tema dell’eredità della storia, chiariva che l’oggetto principale della polemica era più precisamente lo Statuto del “razionalismo funzionalista” che aveva cacciato in un vicolo cieco il progetto moderno: un insieme di regole, di proibizioni, di immotivate rinunce che ne impedivano il rinnovamento. L’architettura che obbedisce allo Statuto funzionalista, preciserà Paolo Portoghesi,

“nasce, per così dire, per partenogenesi: non dall’architettura esistente, ma da un processo analitico, depurato da ogni contaminazione storica e simbolica intenzionale”. (1)

La polemica fu dunque, in primo luogo, rivolta all’International Style piuttosto che al Movimento Moderno nel suo insieme. A queste istanze di rinnovamento la Strada Novissima offrì lo spazio istituzionale della Biennale veneziana per una risposta collettiva, la risposta del Post- modern

Le critiche all’impostazione della mostra furono molte, alcune assai feroci (2). Bruno Zevi, il più appassionato fra i critici, si scagliò – non solo dalle pagine dell’Espresso – contro la simmetria, “cancro insopportabile”…frutto “delle distorsioni di una decina di persone psicotiche o depravate”, nonché contro il Post-moderninfezione repellente nata morta, riemersa nella sciagurata Strada Senilissima”. Gregotti e Tafuri non furono da meno.

fig. 3 R. Koolhaas, OMA, facciata sulla Strada Novissima

Rem Koolhaas, che partecipa alla mostra con una polemica non-facciata, una tela translucida, sollevata nell’angolo in basso a sinistra e perforata da un’asta rossa che reggeva un segnale al neon con la scritta OMA (fig. 3) confessa la sua contrarietà in un’intervista con Léa Catherina Szacka:

“Era l’europeizzazione del postmodernismo. Nelle nuove architetture storicistiche e tipologiche, la cultura sarà alla mercede di un crudele arsenale procusteo che censurerà certe attività moderne con la scusa che non vi è posto per loro”.

Ma la storia lo smentirà; dopo il 1980 “tutto sarà permesso”. Nonostante le inesauribili critiche concentrate sull’insignificante episodio del Modernismo bastardizzato, l’architettura recente è essenzialmente acritica: può solo sottomettersi al passato.

Charles Jencks, uno degli organizzatori della mostra, sosterrà, con soddisfazione, che gli architetti americani si stavano avvicinando ad uno stile che etichetterà con la felice espressione di Eclettismo Radicale “un miscuglio di stili ben oltre la facile miscela  che caratterizzò l’edilizia del XIX secolo.”

In Italia gli architetti tardo-moderni si raggrupparono intorno alla rivista Casabella-Continuità: riaffermano che la continuità è elemento costante della cultura italiana; continuità con il Movimento Moderno; scelte prive di rottura, di accelerazioni, di discontinuità. Gregotti invita ripetutamente dalle pagine di Casabella, a portare a termine il progetto della modernità. Il postmodernismo viene derubricato ad una moda culturale profondamente reazionaria. Si riconosce tuttavia che il progetto di una città moderna è fallito: occorre porre rimedio sia alla città insalubre dell’Ottocento, sia alla città salubre ma alienante e invivibile nata dai dettati della Carta di Atene.

Sarà bene ricordare, per non equivocare, che fin dalla fondazione del Movimento Moderno, altri posero il problema del rapporto con la storia come un passaggio ineludibile della loro poetica.

 Nel 1924 Le Corbusier redigeva la sua dichiarazione programmatica in Vers une architecture. Scriverà:

“L’architecture n’a rien à voir avec les stiles; le stiles sont un mensogne”. E più avanti: “L’architecture est au delà des choses utilitaries. L’architecture est chose de plastique. Il existe un esprit nouveau.”

Le Corbusier elenca puntigliosamente quelli che potremmo chiamare gli antecedenti logici della sua architettura: i silos agrari; le automobili; gli aeroplani, ma anche Roma e in particolare Villa Adriana, le case di Pompei, Santa Maria in Cosmedin, l’Acropoli di Atene. Infine San Pietro nel progetto di Michelangelo solo in parte realizzato e, “devastato” secondo la lettura di Le Corbusier, dalle successive trasformazioni di Maderno e Bernini, definite “belle ma barbariche” (fig.4).

fig. 4 Le Corbusier. Il San Pietro michelangiolesco, 1924

Non una semplice rassegna storica dunque, ma storia come scelta tendenziosa finalizzata ad una personale poetica.

Sarà ancora Roma, nella figura dei suoi ruderi, che sedurrà Louis Kahn: i ruderi romani sistemati a protezione della luce solare intorno agli edifici del Salk Community Center (1950) sono autonome facciate, geometriche ed astratte, senza tempo. Esse scandalizzarono Zevi ma appassionarono e convinsero molti chi ritenevano ineludibile un nuovo rapporto con la storia.

Tuttavia, come accade quando i problemi giungono a maturazione, la mostra della Biennale veneziana ebbe il merito di segnare, sulle tematiche del rapporto luogo-storia, un salto di qualità, un punto di non ritorno, indicando con chiarezza i punti di rottura di riferimento.

Robert Venturi negli Stati Uniti e Aldo Rossi in Europa rappresentarono due differenti risposte a questo radicale mutamento.

fig. 6 R. Venturi. Casa V. Venturi, 1959
fig. 5 F.L. Wright. Casa ad Oak Park

Robert Venturi con John Rauch e Denise Scott Brown fin dalla fine degli anni ‘50 pose il problema del simbolismo e il ricorso agli stili tradizionali e alla tradizione popolare americana per rendere l’architettura comunicabile. Il riferimento alla pop art è evidente: “ Le cose familiari viste in un contesto non familiare diventano sia nuove che vecchie” e garantiscono l’indipendenza fra forma e funzione. Nella casa di sua moglie, Vanna Venturi del 1959 (fig.5) , fa rivivere l’archetipo del timpano frontale delle praire house di F.L.Wright (fig.6). Ma il muro frontale concepito per strati e trasparenze, nasconde il telaio strutturale e, reso indipendente, ospita simboli e decori pop.

Aldo Rossi richiama la memoria tramite l’uso di forme semplici e tipiche; la città viene suddivisa in fatti urbani: strada, porticato, piazza, monumento riappaiono nei suoi lavori insieme alle costanti dell’architettura: la colonna, l’architrave, il muro, il frontone triangolare, le finestre quadrate con le traversine incrociate, modelli fissi che partecipano ad una somma che costituirà l’edificio finito (fig.7).

fig. 7 A.Rossi, Architettura assassinata, 1974

Sono gli stessi archetipi che usa Venturi, solo che quelli di Rossi sono semplici, muti, privi di decori; quelli di Venturi sono complessi, ricchi di decorazioni e di significati, sono parlanti e alla ricerca di una difficile unità.

La Tendenza che si raccoglie attorno all’esperienza di Aldo RossiArduino Cantafora, Massimo Scolari ed altri – affonda in un movimento neo razionalista che farà innamorare Frédérich Migayrou che, sulla Tendenza, realizzerà al Centre Pompidou nel 2012 un’ambigua ed inutile esposizione impropriamente chiamata Architectures Italiennes 1965-1985.

Via Novissima

Oggi, riesaminando in occasione della mostra del Maxxi che rievoca quella vicenda, il postmodernismo ci può apparire, più semplicemente, la figura terminale del modernismo; la moda della citazione storica e del linguaggio vernacolare ebbe vita breve, ma le conseguenze della Mostra della Biennale Veneziana furono di grande rilevanza, per tutti, favorevoli e contrari.

Da essa abbiamo ereditato una riflessione, ricca di conseguenze, sui temi del luogo e della storia. Due termini che oggi possiamo considerare intimamente connessi. La storia delle immagini è scritta delle tracce costitutive del paesaggio, urbano e rurale; si percepisce dunque sincronicamente: nel paesaggio sono leggibili sia i segni stratificati del lavoro dell’uomo, sia quelli più profondi e nascosti della conformazione geomorfologica e delle relazioni spaziali di ordine geografico. L’acquisizione del concetto di storia disegnata nel paesaggio ci permette di abbandonare sia la concezione cronologica della storia che dette luogo alla storia degli stili, secondo la quale l’attualità è, per definizione, più pregnante del passato, sia la velleità progressista di riferirsi al passato come completa ed acritica disponibilità nell’uso di segmenti equivalenti e finiti della storia delle immagini architettoniche.

Dal passato si deve far emergere non quello che già c’è, che è per l’appunto finito, ma quello che in esso non c’è, il suo sapere ancora non conscio.

Il luogo è il risultato del progetto. L’architettura che vogliamo dovrà tener conto del luogo ma sarà, paradossalmente fuori-luogo.

Francesco MONTUORI    Roma dicembre 2018

Note

  1. Paolo Portoghesi. Dopo l’architettura moderna, pag. 19
  2. Massimiliano Savorra, Venezia 1980. La biennale del Post-modern e la “fine del proibizionismo”. Casabella n. 877