di Massimo PIRONDINI
Anni or sono, in occasione della nostra monografia su Sisto Badalocchio (Parma 1585 – 1621/22) [1], in sodalizio con l’amico Giuseppe Berti, si ebbe modo di verificare l’importanza di una piccola tela di questo pittore, raffigurante la Deposizione di Cristo nel sepolcro, oggi conservata al Dulwich College di Dulwich (fig. 1) ; ciò sia per la successiva attività artistica del parmense, sia per la straordinaria fortuna che ebbe questa idea iconografica, a sua volta derivata dal di lui maestro Annibale Carracci.

In modi diversi, infatti, altre analoghe scene “al lume di notte” ricorreranno frequentemente nella produzione matura del nostro: dal delizioso rame della collezione Patrizi di Roma (1614-15), alla perduta[2], grande Deposizione per l’oratorio della Morte di Reggio Emilia (1618), o all’altra attualmente alla Galleria Capodimonte di Napoli (1618-19).
Dal modello di Dulwich, poi, sembrano dipendere almeno una decina di dipinti, diversi fra loro per qualità e dimensioni, tutti con l’immancabile e sbrigativa attribuzione a Badalocchio e su gran parte dei quali già esprimevo le mie riserve: l’esemplare inglese pare invece l’unico, per unanime consenso della critica, riferibile con sicurezza al giovane seguace di Annibale Carracci, qui in presa diretta, con qualche variante, da un modello del maestro, a lungo ritenuto disperso, e sulle cui vicende converrà, ora, fare sommariamente il punto.
Narra Malvasia che, intorno al 1594-95 [3], l’abate Astorre Sampieri di Bologna [4] commissionò ad Annibale un dipinto su rame con la Deposizione di Cristo nel sepolcro da donare ad “un gran personaggio di Roma”[5], che altri non era che il cardinale Odoardo Farnese presso il quale, nella capitale pontificia, l’artista era in procinto di trasferirsi. Riuscito il dipinto “di una bellezza ben nota”, l’abate non se la sentì di privarsene e, su consiglio dello stesso Annibale, decise di farne fare una copia da destinare al dono e di tenere per sé l’originale.
A Guido Reni, a quel tempo presso l’Accademia degli Incamminati, fu affidato il compito della riproduzione che riuscì a tal punto irreprensibile da causare qualche gelosia nel Carracci, a cui il secondo rame fu sottoposto per eventuali ritocchi: egli lo buttò
“con certo modo dispettoso sopra una tavola ivi vicina … consigliando l’Abbate a prenderselo in quella forma; poiché porvi le mani non saria stato che con pregiudizio e danno”[6].
Così, mentre l’originale di Annibale rimase a Bologna, in casa Sampieri, la copia di Reni giunse a Roma, in palazzo Farnese, ritenuto però, allora ed in seguito, opera autografa del Carracci (fig. 2)

Così, con il nome di Annibale, il rame fu trasferito a Parma, entro la metà del XVII secolo, e qui descritto nell’inventario della galleria ducale del 1708:
“Quadro in rame con cornice dorata alto once nove, largo once sette. Cristo portato al sepolcro da Nicodemo con figura avanti, che tiene torcia. S.ta Maria Maddalena addolorata, et altre figure in lontananza. D’Annibale Carazzi n. 31”[7].
In seguito, pochi decenni dopo (1734), l’opera reniana seguì la sorte della quadreria parmense che fu trasferita a Napoli, nuova sede dei Borbone succeduti ai Farnese; a Napoli venne poi requisita dai Francesi, nel 1799, e se ne persero le tracce.
La prima Deposizione, quella Sampieri [8], rimase invece nel palazzo di Bologna [9] fino al 1811, quando, con altri importanti dipinti della raccolta, fu acquistata da Eugenio Beauharnais [10], allora Vicerè d’Italia, per passare poi a Monaco ove il Beauharnais si trasferì dopo la caduta di Napoleone, avendo ereditato il ducato di Leuchtenberg. Qui la ritroviamo, nel 1852, nella descrizione a stampa di questa raccolta[11], addirittura riprodotta in una per noi preziosa incisione di N. Muxel (figg. 3 , 4) trasferitasi la famiglia in Russia il dipinto figura ancora in un inventario del 1864[12], per rendersi poi irreperibile ad ulteriori ricerche[13].


Dunque, la stampa del Muxel restava l’unica precisa testimonianza dell’aspetto del prototipo di Annibale Carracci, nonché, ovviamente, dell’altro, riprodotto da Reni; preziosa altresì per un confronto sulle variazioni operate da Badalocchio trascrivendo uno dei due rami in questione nella tela di Dulwich. Non ci è dato infatti sapere se Sisto abbia avuto sottomano la copia Farnese, ai tempi del suo primo soggiorno romano come aiuto del maestro alla celebre Galleria, o magari abbia visto l’originale Sampieri, ritornato a Bologna dopo la morte di Annibale; ipotesi entrambe plausibili.
Le più evidenti fra le modifiche apportate dal parmense sono senz’altro sul braccio sinistro del Cristo che viene parzialmente coperto da un panneggio e nella figura di Giuseppe d’Arimatea (il personaggio con turbante in secondo piano), il cui scollo, aperto nell’originale, è chiuso fin sotto il mento dal manto scuro, mentre il viso, leggermente volto verso la Maddalena, ora guarda dritto allo spettatore. Mutamenti che, più o meno accentuati, ritroviamo nei numerosi altri esemplari del “gruppo Dulwich”, tutti su tela[14] o su tavola[15], di simili dimensioni e generalmente riferiti a Badalocchio (fig. 5), nonostante le spesso evidenti differenze di livello qualitativo[16].

Sotto il nome di Sisto Badalocchio andava pure, in asta da Christie’s, a New York, il 28 maggio 1998, un Entombement of Christ, prontamente riconosciuto da Keith Christiansen come l’Annibale Carracci Sampieri ed acquisito dal Metropolitan Museum di quella città: il dipinto era infatti su rame [17], perfettamente rispondente all’incisione del Muxel e di qualità tale da giustificare una attribuzione al maestro bolognese (fig.6) [18].

A distanza di poco più di un quarto di secolo da quel felice ritrovamento, la scoperta di un secondo rame può ora idealmente chiudere l’annosa storia, narrata da Malvasia, sulle vicende della duplice commessa Sampieri: il dipinto in oggetto, pure questo conforme alla stampa del Muxel, viene dal mercato dell’arte, è inedito, di misure assai prossime (cm 46,5 x 35,5) all’esemplare del Metropolitan e, come quello, di sostenuto livello qualitativo.
Fra l’altro entrambe le opere mostrano di aver patito, per fortuna solo nelle parti scure dello sfondo, i traumi e le sollecitazioni dei ripetuti spostamenti a cui furono soggette; accomunate forse anche da una difettosa e simile preparazione, uscendo, di fatto, dalla stessa bottega.
Se, grazie alle puntuali ricerche del Christiansen, qualcosa ci è dato sapere sui passati proprietari della Deposizione oggi a New York (Galleria Schwartz di Filadelfia, almeno dal 1965, poi, dal 1991, Osuna Gallery di Washington) [19], nulla conosciamo sulla più o meno recente provenienza del nostro rame, acquistato in asta nel 2024, ovviamente, anche questo, con l’attribuzione a Badalocchio.
Un tale vuoto di utili ragguagli potrebbe indurre qualche dubbio a proposito delle paternità dei due rami: quale l’Annibale/Sampieri e quale il Reni/Farnese ? Perplessità magari acuita dal fatto che sul dipinto del Metropolitan non sia ancora stato condotto, a quanto ci consta, un opportuno restauro.


Premettendo il fatto che la nostra conoscenza di quest’ultimo si basa soltanto su una buona fotografia dello stato attuale, sarei comunque portato a confermarne l’attribuzione ad Annibale Carracci, assegnando la new entry alla mano del ventenne Guido Reni (figg. 7, 8).
Sarebbe dunque questo, di collezione privata, il rame reniano donato dall’abate Sampieri al cardinale Odoardo Farnese e disperso a Napoli ad opera dei Francesi nel 1799.
Se ne potrebbe trovare conferma, ad esempio, osservandone lo scorcio del volto del Cristo, la cui “pulizia e finitezza” sembrano distinguersi dalla “pastosità e morbidezza” di quello del Metropolitan (vedi supra, fig. 2). Termini in uso, questi, fin dai tempi di Malvasia, per indicare due divergenti metodi di rappresentazione pittorica: quella di Denis Calvaert, dalla cui bottega, alla data del nostro dipinto, il giovane Guido era appena uscito, e quella in uso all’Accademia degli Incamminati, Annibale in testa.
Ulteriori argomenti di discussione e di confronto non mancherà comunque di fornire un eventuale restauro del quadretto di New York, atto a consentirne una migliore e più corretta leggibilità.
Massimo PIRONDINI Reggio Emilia 11 Maggio
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