Anna Graziani, idee e programmi, per una “economia della Bellezza”. “A partire da territori artisticamente e culturalmente ricchi, si possano costruire realtà solide e socialmente fruttuose”.

P d L

Anna Graziani, 50 anni, cinque figli, da sei è apprezzata amministratrice al Comune di Camaiore dove ricopre la carica di assessore della giunta di centrosinistra con delega alle politiche sociali, alla sanità, ai rapporti con le associazioni, alla mobilità, alla polizia municipale. Ha iniziato il suo percorso tra le Istituzioni nel 2012 come consigliera comunale del Partito Democratico, che oggi la candida al Senato nel collegio uninominale UO3 Prato Pistoia Lucca Massa-Carrara

-Quali i motivi che l’hanno spinta a candidarsi in queste elezioni?

“Dopo sei anni da amministratrice nel comune di Camaiore ho imparato quanta distanza si stia accumulando fra la gente – una volta si sarebbe detto il Paese reale –  e chi la rappresenta per mandato elettorale. Non ripeterò i soliti discorsi sulla necessità di ripartire dal territorio, di ascoltare le voci dal basso, e via dicendo. Non perché non sia drammaticamente così. Ma perché ho sperimentato, con sconforto, che le parole migliori hanno perso il potere di incidere, l’autorevolezza per farsi ascoltare, la capacità di avere un senso, oltre ad un suono. L’attuale situazione, invece, non solo è caratterizzata dalla perdita di senso delle parole ma dal prevalere del rumore, del caos informativo e dalla babele mediatica che da decenni ha stordito le persone privandole della fede nel significato della parola detta e, ancor peggio, del valore della parola data. E’ stato possibile affermare impunemente che il bianco è nero, che la notte è giorno, dimostrando al popolo elettore che per negare la realtà è sufficiente controllare chi la racconta ad usum regis (sempre a proposito di berlusconismo e di monopoli informativi di fatto). Se ci dicono che siamo tutti uguali, se la gente ce lo dice anche con la pigrizia intellettuale di chi decide di rinunciare a capire, io dico che no, non siamo tutti uguali.”

Molto vero, ma perché, a proposito di credibilità delle parole, un elettore dovrebbe credere che proprio lei dica parole autentiche sulla necessità di impegnarsi sul serio e – credo di poter aggiungere – disinteressatamente?

“Ecco, ha detto la parola giusta. Disinteressatamente.  Occorre disinteressarsi ai duri giudizi dei troppi che non comprendono i rischi di svilire il voto come strumento di libertà garantito dalla Costituzione nata dalla Resistenza. Ma, soprattutto, occorre agire disinteressatamente. Prendere parola disinteressatamente”

-Ci spieghi.

“La delegittimazione di chiunque si presenti all’elettore chiedendo il voto, ho premesso, è stata frutto di un preciso disegno culturale che ha fatto affidamento sulla volontà degli individui di affermarsi anche a scapito del bene comune. Quindi non c’è da sperare, in partenza, di essere creduti da chi ne ha viste troppe (e troppi). Occorre, dunque, disinteressarsi al giudizio altrui sulle tue buone intenzioni. Ed è necessario agire disinteressatamente. Nel mio caso non creda che abbia accettato – appena riconfermata nel mio mandato a Camaiore –  una candidatura che è una carrozza per il Senato. Il collegio uninominale di Prato è “contendibile”. Il paracadute del proporzionale bloccato non ce l’ho. Niente pluricandidature, o simili. Qualcuno mi ha anche soffiato nell’orecchio il “rischio di bruciarsi” in un momento in cui la corrente tira in altre direzioni e conviene stare al riparo. Ma ha giocato la volontà di dire: no, non siamo tutti uguali. Ho un’idea di giustizia sociale e degli strumenti che servono per garantirla. Spero di essere eletta, ovviamente. Se non sarà così, ma speriamo di no, avrò giocato la parte che era giusto giocare. Soprattutto in un momento in cui perdere queste elezioni potrebbe mettere a serio rischio, dopo tanti assalti, la Costituzione antifascista nata dalla Resistenza”.

-La cultura sembra essere una delle grandi assenti nei dibattiti e negli incontri che si vanno facendo in questi giorni precedenti il 25 settembre; è pur vero che temi drammatici di stretta attualità si pongono inevitabilmente all’attenzione di tutti e tuttavia proprio questo lascia credere che l’argomento ‘cultura ‘ continui ad essere considerato del tutto secondario, posto tra le varie ed eventuali. È possibile superare questa condizione a suo parere? E nel caso che sia eletta in parlamento cosa si ripromette di fare?

Mi aiuta a dire. Non è un caso questo disinteresse. Si ricordi il celeberrimo “con la cultura non si mangia, degli anni ’90 del berlusconismo. L’allora ministro Tremonti, che ne ha il copyright, è fra gli emergenti della “nuova” onda delle destre che gli garantiscono il ritorno nella sala dei bottoni, con la sua impostazione ideologica. A parte l’assurdità anti-economica di un’affermazione del genere in un Paese che custodisce due terzi del patrimonio artistico ed archeologico del pianeta, il disprezzo ideologico che sta dietro questa affermazione mai rinnegata, ha fatto tanti proseliti. Si è alimentato, artatamente, l’equivoco che la cura della bellezza, dell’arte, dell’archeologia, non porterebbero profitto e sono dunque, come ha detto lei, da relegare alle “varie ed eventuali”: in realtà si punta a stabilire che non sono un bene comune, ma solo di qualcuno, i soliti ignoti. E lo sa perché? Perché in realtà i tanti che pensano che con la cultura non si mangi, sono convinti che ci si mangi, eccome.  Però vogliono mangiarsi tutto.  Mi pare molto semplice nella sua evidenza. Mi viene in mente il gesto universale di Kabhy Lame, il tik toker più seguito del mondo.  Kabhy apre le mani e, senza parole, dice ai complicatori di cose semplici che deride: “Che ci vuole a capirlo?”. Non è un caso che stia avendo un successo planetario risolvendo con semplicità problemi che qualcuno vuol far sembrare complessi. Dovremmo fare come Kabhy Lame. Che ci vuole a capirlo, direbbe?

-Un esempio di cosa proporrebbe in Parlamento?

“Una delle cose per la quale sono pronta a battermi è l’abbattimento dell’Iva sui prodotti culturali e l’introduzione della detraibilità fiscale delle spese culturali delle famiglie. Ma anche delle imprese. Non dimentichiamo che Adriano Olivetti, che dimostrò la possibilità di essere primi nel mondo dell’impresa grazie – e sottolineo grazie – ad un modello basato sullo sviluppo umano integrale, assumeva e formava laureati in filosofia. Con la filosofia, e la cultura, si mangia. Bene e tutti. La sola flat tax equa, costituzionale e lungimirante che sottoscrivo, nel polverone demagogico e truffaldino delle destre.”

-Le obietto che le vie semplici, dirette, sono lastricate da cattive intenzioni, piene di fossati e sbarrate da foreste di burocrazie, rivalità territoriali, miopia, drammatiche mancanze di fondi. La porto, dunque, sul terreno. Il territorio della Lucchesia, cioè il suo territorio e parte del suo collegio, è ricco di testimonianze d’arte e di cultura. Si pensi ai numerosi musei che sono sparsi un po’ ovunque proprio come quello di Camaiore. Il problema è che pochi lo sanno e che sono scarsamente fruibili. Lei pensa a qualche iniziativa per migliorare questa situazione, a cominciare dal suo territorio?

“Ha detto bene. Se le soluzioni sono semplici, il problema sono i complicatori di cose semplici. Fanno parte del panorama. Agli elettori non si può promettere che spariranno, il loro è davvero il mestiere più antico del mondo. E allora occorre fare la dura fatica di neutralizzare i complicatori e di liberare le soluzioni semplici, mettendole in contatto con le incredibili potenzialità di questo straordinario territorio toscano, così fortemente inculturato con tutta l’area nord della Toscana”.

-Le possono obiettare la difficoltà dell’impresa.

Al politico che ti dice: “E’ difficilissimo, come si fa?” bisognerebbe suggerire di lasciar perdere questo lavoro, se non ci si sente in grado di cercare soluzioni. Fosse facile non staremmo qui a parlarne. Mi suggerisce l’esempio del museo d’arte sacra di Camaiore che è quanto mai appropriato come esempio. Parliamo di un’istituzione, il Masc, nata nel ’32 dalla storia secolare di un territorio, la cui sede fu all’origine un hospitales della via Francigena. Ha una collezione preziosa, con pezzi unici. Basti ricordare la Vergine Annunciata di Matteo Civitali, una scultura lignea che è, ritengo e non da sola, fra le più belle rappresentazioni di Maria nella storia dell’arte e che è presente nelle vicende storiche di Camaiore (dove Civitali prese anche moglie per poi prender casa a Carrara) dal 1480 circa. I camaioresi, che la amano, la sottrassero ai nazisti traslocandola nottetempo dal museo ad una nicchia murata nell’altare maggiore della chiesa grande. Il maestro lucchese ha lasciato in Lucchesia almeno quattro statue di Maria, Annunciata o del Parto, tutte dalla tipica figura longilinea proiettata al cielo e dai lineamenti delicatissimi di adolescente. La Madonna di Camaiore, ha le pieghe della veste che si allargano sul ventre nel momento del Fiat, un miracolo della scultura. Chi la vede, chi le vede tutte e quattro, non può dimenticarle. Bellissime e piene di storia. Eppure tutte e quattro non sono “celebri”. Nonostante il continuo impegno di valorizzazione.

Mi piacerebbe lavorare ad un progetto integrale che mettesse in rete i quattro capolavori della stessa mano senza allontanarli dal territorio. Magari riattivando le antiche vie di pellegrinaggio che dovrebbero essere di nuovo percorribili sul modello del cammino di Santiago. Lei capisce che questo prevederebbe un’alleanza fra enti museali, amministrazioni locali, associazioni culturali che non può che nascere dal basso. Compito di un legislatore dovrebbe essere dare strumenti a questa ripartenza dal basso che deve prendere le ali dalle comunità locali e che non si fa senza di loro”.

-Quindi parliamo di una rete fra i piccoli musei?

“Sì, certo. E di più. L’approccio dall’alto al basso ha dimostrato, al massimo, di poter conservare l’esistente. Spesso neppure quello. Inoltre è adeguato alle grandi dimensioni, molto meno a quelle diffuse. Guardiamoci attorno. La bellezza di quello che è nascosto nelle chiese della Garfagnana, della Lucchesia, del Pratese, dei borghi spopolati delle Apuane, come di quelli toscani ed italiani, non chiede altro che di tornare in vita, essere affidato alle comunità. Un legislatore deve fabbricare gli strumenti, abbattere le difficoltà. E poi stare al fianco delle persone che, ogni giorno, conoscono le esigenze ed hanno nuove idee per crescere e proporsi. Le periferie dell’arte sono il futuro di un popolo sempre più anziano, con poca fiducia nel futuro. Chi davvero ha a cuore la coesione sociale, in tempi in cui potrebbero saltare modelli di vita basati sulla disponibilità energetica, non può trascurarlo”.

-Cultura ed arte possano essere un’arma da utilizzare anche in una campagna elettorale dominata come quest’ultima da ben altre tematiche?

L’argomento cultura non è riducibile ad uno slogan. Quindi è poco usata. Se lei va a vedere le cosiddette word clouds, che dicono con quale frequenza una parola rientra nelle argomentazioni di un gruppo, trova che i politici in campagna elettorale ripetono all’infinito soprattutto la parola “Italia”, parlano di “contrasto” “sicurezza”, un po’ di meno di “lavoro”. Arte, cultura sono fuori dal cloud.  In questo senso non sono un’arma. Non sono contundenti. Eppure le ho appena dato un esempio di come, a partire da territori artisticamente e culturalmente ricchi, si possano costruire realtà solide e socialmente fruttuose che coinvolgono la ripresa e la rivitalizzazione di intere comunità. Non parliamo di sogni. O di belle speranze. Nel Pnrr ci sono fondi per ripopolare i borghi che possono essere usati con intelligenza e visione del futuro. Il “museo diffuso” potrebbe essere una via reale e percorribile. Oltre ai borghi mi viene in mente anche il modello “isola”, tra l’altro da poco dotato di nuove tutele costituzionali. Abbiamo l’esempio di Ventotene, dove l’alleanza fra territorio e governo, sta costruendo attorno ad un ex carcere borbonico, un attrattore culturale europeo, con la scuola di alti studi intitolata a David Sassoli. Questo perché si è valorizzato e promosso il patrimonio culturale di una apparente periferia che ha ora il potenziale per essere un centro. O meglio, una maglia in una solida rete. Passare a questo modello è come affidarsi ad una tecnologia blockchain in informatica. Ossia ad una struttura resiliente, diffusa, sicura, decentralizzata”.

-Da amministratrice potrà raccontarci alcuni progetti che ha raccolto dalle comunità, dai giovani, dalle istituzioni museali. Quelli più appassionanti? A quali vorrebbe dare gli strumenti di legge per spiccare il volo?

“Una delle esigenze molto sentite, e penso anche a Carrara, la piccola Atene, è aumentare il numero delle residenze per artisti stranieri. Per continuare quell’ibridazione feconda fra un vivacissimo ambiente locale e quello internazionale. A proposito di quanto dicevamo prima, l’obiettivo al quale si mira è l’Economia della Bellezza. Un piccolo passo dopo l’altro questo territorio può essere in prima fila. L’economia della Bellezza, a struttura diffusa dal basso non è un’opzione. È la scelta obbligata al crepuscolo del modello di sviluppo individualista. Per questo vorrei lavorare per incentivare la selezione di opere di autori locali, investendo su di loro in programmi strutturati di collaborazione con l’estero. Una risorsa attrattiva sono i brand “Italia”e quello “Toscana” e di ogni territorio che nel mondo intero sia associabile al suo nome”.

-Brand è sinonimo di marketing?

No, anche se non si deve demonizzare il marketing, basta non farsene una stella polare. Parafrasando il Vangelo è il marketing che è fatto per la cultura, non la cultura per il marketing. Ad esempio immagino una forte iniziativa, interna alle comunità, chiamate a collaborare all’arricchimento etico e sociale dei luoghi abitati.  Penso alla street art, effimera, libera, tipica produzione culturale dal basso. Per spiegarmi meglio avrei in mente un modello che mi viene da Scampia, Napoli”.

-Fuori collegio, direi.

Chi ragiona solo per collegio si escluderà dai nuovi modelli sociali. A Scampia un gruppo di volontari, guidati da un ex insegnante di liceo, ha immaginato e realizzato anni fa “Il corridioio delle farfalle”. Sono riusciti a convincere la gente a piantare fiori sui balconi, hanno seminato aiuole lungo un percorso che attraverso il quartiere raggiunge un teatro, hanno coltivato il giardino attorno al teatro che desiderano rimettere in funzione. Gli artisti di quartiere hanno ritratto le farfalle che, via via, popolavano il corridoio. Una stupefacente dimostrazione che la bellezza attrae, genera, dà speranza, riporta le rovine in vita e la biodiversità in città. Ma ognuno deve fare il suo. Servendo”.

P d L Roma 15 Settembre 2022