Alla Galleria Russo “Cantami o Diva”. Una indagine sulla bellezza ideale di Giorgio Tentolini (fino al 1° Maggio).

di Luca CALENNE

Cantami o Diva. L’indagine sulla bellezza ideale di Giorgio Tentolini

In questa primavera romana così ricca di mostre epocali a caccia di primati da battere, le quali rischiano inevitabilmente di scivolare nel gigantismo (la mostra come un’inutile prova muscolare) o nel feticismo (la mostra come un’esperienza devozionale), la stringata ma elegantissima rassegna delle opere di Giorgio Tentolini alla Galleria Russo, dall’evocativo titolo Cantami o Diva (a cura di Anna Castello), è una salutare boccata di ossigeno, e di quello più puro, ma ciò non stupisce perché la Galleria Russo è da anni un punto di riferimento per l’arte contemporanea a Roma, e la cura con cui seleziona opere e artisti da proporre è una garanzia di qualità [fig. 1].

fig. 1. Locandina della mostra.

In verità, si tratta di un ritorno, perché la stessa Galleria ha ospitato le opere di Tentolini già nel 2023, e ogni tanto ne compare qualcuna in vetrina, come in una sorta di laica epifania, ma quasi tutte le 34 opere in mostra dal 10 aprile sono inedite, create appositamente per questo evento, e quindi intimamente collegate tra loro, come se fossero state tutte ricavate da un’unica tela, anzi, per meglio dire, da un’unica rete.

Infatti, come è noto, da diversi anni Tentolini (classe 1979) realizza la maggior parte delle sue opere sovrapponendo vari strati di reti metalliche, che infittisce o dirada per creare calibrati effetti di chiaroscuro su uno sfondo quasi sempre monocromatico [fig. 2, fig. 3].

fig. 2. Giorgio Tentolini ospite della Galleria Russo davanti a tre sue opere.
Fig. 3. Giorgio Tentolini, Athena Lemnia Vista 141795 (Pagan Poetry).

Da ciò scaturiscono immagini di una bellezza intensa e rarefatta al tempo stesso, che regalano una parentesi di felicità a chi le osserva.

Le immagini che propone Tentolini infatti appartengono di diritto al canone occidentale, molto spesso alla tradizione classica, sia che si tratti di dettagli della statuaria greco-romana, sia che si tratti di visi da lui realizzati preliminarmente in formato digitale con l’ausilio dell’Intelligenza Artificiale, le quali vengono giustamente accostate in quanto sono due modi diversi con cui l’uomo punta allo stesso fine, ossia a realizzare una bellezza ideale, quella – per dirla con Plotino – che in virtù della sua «ragione formale» si eleva a un livello superiore rispetto al corpo: non una mimetica rappresentazione del reale, ma una sua depuratissima ipostasi, che assume valore di modello e con il tempo, di archetipo  [fig. 4].

Fig. 4. Giorgio Tentolini, Venere Capitolina Vista 341838 (Pagan Poetry).

Non a caso, quindi l’artista di Casalmaggiore (Cremona) ha reso omaggio alla sede romana della mostra con una galleria di eroine del mito e dell’epica, per le quali viene proposta talvolta persino una lettura attualizzante attraverso brevi frasi di commento.

Per chi conosce le sue opere solo in fotografia, il risultato finale potrebbe apparire simile per certi versi alle rivisitazioni della bellezza iconica in chiave opt art che sempre più spesso si vedono anche sui muri delle città (penso ad esempio alla Monna Lisa Barcode di Mr. Braiwasch, oppure alla serie su Kate Moss di Gerke Rienks) ma si tratta di una somiglianza soltanto superficiale, legata al formato dell’immagine o alla scelta del soggetto, così come i debiti con il divisionismo si limitano alla ricomposizione retinica, ossia della ricostituzione dell’integrità figurale del soggetto solo da una certa distanza, ma è un aspetto che afferisce alla più generale teoria della percezione, che Tentolini conosce bene grazie al suo passato di grafico e di fotografo di moda. I suoi grandi volti femminili esercitano innegabilmente una grande fascinazione fin dalla prima occhiata, ma alla base del suo lavoro c’è una riflessione molto più profonda, a cui la pura dimensione fotografica non rende assolutamente giustizia: le sue opere hanno infatti bisogno della nostra presenza ondivaga davanti ad esse per liberare tutto il loro potenziale estetico.

La bellezza delle opere esposte è infatti fragilissima, perché basta un passo in più verso di esse, oppure uno sguardo di scorcio, che quella stessa immagine che ha vinto il tempo (ottenendo l’eternità, come Antinoo, l’Afrodite Landolina o Greta Garbo) riveli la sua consistenza materica (ovvero la sua caducità), poiché si sgrana sotto i nostri occhi [fig. 5, fig. 6, fig. 7]:

Fig. 5. Giorgio Tentolini, Penthesilea derealized – Algor. 1511613.
Fig. 6. Giorgio Tentolini, Penthesilea derealized – Algor. 1511613 (dettaglio).
Fig. 7. Giorgio Tentolini, Deidamia in too deep Algor. 14121792 (dettaglio).

l’icona, prodotto di scelte formali che gli artisti hanno realizzato nel corso dei secoli (e che la Intelligenza artificiale – ahimè! – compie in pochi secondi) viene destrutturata, svelandone così la natura artificiale. In fondo, la bellezza ideale a cui l’uomo aspira fin dall’antichità è una costruzione mentale, la quintessenza di una memoria collettiva, e come tale non è una realtà tangibile e scontata, e quindi la sua fissità atemporale è solo apparente, dipende da un punto di vista, da un passo indietro o di lato. Del resto, la cosiddetta “tradizione classica” è la «trasmissione di un’eredità mutevole», come scrive Monica Centanni in L’originale assente; è «una tradizione che muove per persistenze, per oblii e per ritorni», anzi:

«Il nesso tradizione classica si configura come un ossimoro: l’atto di tradere già di per sé poco sicuro e garantito, difetta di una definizione precisa dell’oggetto».

Tentolini – ne sono certo – farebbe sue queste calibrate parole.

Fig. 8. Giorgio Tentolini, Elena derealized – Algor 2071775.

Tutto ciò risalta ancora di più quando alla base della sua opera non vi è una statua antica ma un’immagine di sintesi [fig. 8], creata da lui al computer attraverso una sequenza di algoritmi, e quindi, ab origine, impersonale e non connessa al mondo reale (derealized); in questo caso, l’artista lombardo attua prima un processo di costruzione, portando quel viso femminile a un eccezionale grado di mimetismo, e poi un processo di frammentazione, che dell’immagine iniziale lascia solo un rarefatto fantasma, confutando così l’ansia di verosimiglianza assoluta  della nostra epoca.

Erede di quella manualità lombarda che hanno coltivato generazioni di donne al tombolo e di mastri ferrai con le tenaglie, Tentolini ha il suo da fare per aggrappare e intrecciare una rete all’altra, tagliare e piegare la trama metallica per ottenere l’effetto voluto, realizzando un manufatto che partecipa tanto della pittura quanto della scultura, o meglio si situa «in un territorio liminale tra pittura e scultura», come lui stesso afferma nella piccola intervista con cui si apre il bel catalogo della mostra, edito da Gangemi.

I piccoli esagoni della rete lo ripagano di tanta artigianale fatica perché conferiscono all’immagine un che di organico, quasi si trattasse di un tessuto cellulare, ma la rete metallica da recinzione non è l’unico materiale che viene trasfigurato da Tentolini, che da grande sperimentatore ha esteso la sua ricerca espressiva pure sulla stoffa di tulle e sulla carta pergamena.

A mio avviso i piccoli lavori su carta, sebbene raffinatissimi, in mostra rischiano di essere confinati e schiacciati dai grandi quadri appesi alle pareti, anche per via della distanza più ravvicinata che richiedono per essere esaminati, ma le sue Veneri non sfigurerebbero in un cabinet des dessins. Altro discorso sono le sue opere in tulle, di taglio mediano, che esercitano un potere ipnotico sull’osservatore, che non sa distogliere l’occhio da esse [fig. 9].

Fig. 9. Giorgio Tentolini, Demetra Vista 11197 (Pagan Poetry).
Fig. 10. Giorgio Tentolini, Creusa in too deep Algor. 7521980.

Il repertorio femminile è lo stesso, ma è più forte la capacità di seduzione, poiché la trama più stretta del tessuto dona a queste immagini un colore più caldo e avvolgente, per una visione meno vibrante e più stabile, che mi sentirei qui di battezzare “immersiva” [fig. 10], sottraendo l’aggettivo ad installazioni dedicate a Michelangelo, Klimt, Van Gogh ed altri, come se non bastassero i loro dipinti a emozionarci.

In questo secolo saturo di pixels senza dignità, oberato da miliardi di immagini ad altissima definizione e spesso di scarso valore, e di altre immagini che senza alcuna forzatura si muovono, parlano e prendono posto accanto a quelle reali, e agli stessi esseri umani che le hanno prodotte, le icone di Tentolini sono decisamente controcorrente, perché sono state congegnate per risvegliare il nostro senso critico, nascono per essere contraddette.

Fig, 11. Copertina del catalogo della mostra.

Nell’epoca del deepfake e del fotoritocco, in cui è in gioco la stessa capacità di discernere il confine tra la verità e la finzione, le immagini di Tentolini, con la loro incerta ed intermittente riconoscibilità, sono poetiche e profetiche allo stesso tempo.

Luca CALENNE    Roma  13 Aprile 2025