Alla Galleria Borghese, un discendente in visita ai capolavori di Gian Lorenzo Bernini

di Fabiano FORTI BERNINI

Come discendente di Gian Lorenzo Bernini, a differenza di altre volte, mi emoziona raccontare la mostra Bernini, appena inaugurata alla Galleria Borghese, la più importante e completa esposizione mai realizzata sul grande genio e regista del Barocco, curata da Anna Coliva e Andrea Bacchi, sponsorizzata da Intesa San Paolo e Fendi, sponsorship triennale, rimarrà aperta sino al 4 febbraio 2018.

Dopo venti anni dalla riapertura della Galleria Borghese, luogo simbolo e ideale per realizzare questa esposizione epocale, dove il padrone di casa il Cardinale Scipione Borghese fu uno dei suoi maggiori committenti, viene celebrato Gian Lorenzo Bernini, riprendendo il filo dalla precedente mostra che si realizzò nel 1998  intitolata Bernini scultore.

Per la prima volta, il tema conduttore è dunque la scena privilegiata sia della scultura che della pittura, mettendo a fuoco lo stretto rapporto tra queste due discipline dalle quali, nel corso degli anni venti del Seicento, si venne formulando il linguaggio correntemente definito Barocco.

Una ottantina le opere in mostra, con prestiti provenienti da Musei italiani, europei e d’Oltreoceano; l’esposizione si suddivide in otto sezioni, affidate a specialisti che da tempo si occupano del grande artista; oltre ai due principali curatori, infatti, il catalogo è arricchito dai saggi di Francesco Petrucci,  Maria Giulia Barberini,  Anne-Lise Desmas, Luigi Ficacci e Stefano Pierguidi.

Viviamo quindi l’intero arco della lunghissima carriera del Bernini al servizio di nove Papi; specialmente con Papa Urbano VIII Barberini e Alessandro VII Chigi, ma soprattutto con il primo, Gian Lorenzo assunse la sua completa identità di ‘artista universale’, perché Urbano VIII voleva fare di lui ”il Michelangelo del suo tempo”  e per questo lo esortò a cimentarsi con la pittura e successivamente lo chiamò a diventare architetto commissionandogli un’opera monumentale come il Baldacchino di San Pietro e poi a mettere mano agli imponenti cantieri che trasformarono il volto della città eterna.

Si ripercorre  l’apprendistato con il padre Pietro, la giovinezza e nascita di un genere, i putti, i gruppi borghesiani, il restauro dell’antico, i busti e la pittura, per terminare con l’ultima sua opera realizzata nel 1679.

Questo percorso artistico e di vita straordinario,  ci consente di ammirare la prima scultura , realizzata in totale autonomia, il San Sebastiano del Museo Tyssen Bornemisza, capolavoro giovanile che venne da subito dato alla mano di Gian Lorenzo , sebbene fu trovato il pagamento dell’opera al padre nel 161;  si prosegue con l’Anima Dannata e l’Anima Beata del 1619, commissionate dal Monsignore Pedro Montoya, grande amico del Cardinale Maffeo Barberini poi divenuto Urbano VIII, nelle quali Gian Lorenzo, grazie anche all’influsso di due grandi pittori che lo avevano preceduto come Annibale Carracci e Caravaggio, ci mostra le due anime con un naturalismo ed una espressività unica e reale, come a voler bloccare uno stato d’animo, come in uno scatto fotografico, caratteristica e invenzione del grande artista di cui si avvalse anche in  tutti i ritratti dei personaggi che raffigurerà. Si arriva in ordine cronologico ai grandi e sublimi gruppi scultorei, presenze permanenti e inamovibili della Galleria Borghese, come Enea, Anchise e Ascanio fuggono da Troia con alle spalle il dipinto di Federico Barocci con la rappresentazione della stessa scena, il Ratto di Proserpina e forse la più suggestiva, Apollo e Dafne, tutte opere che ti fanno vivere una scena, una rappresentazione teatrale in cui Gian Lorenzo, maestro in questo, ci fa percepire il movimento: la pesantezza del marmo viene meno, le statue si muovono trasmettendo un senso di leggerezza quasi a staccarsi dal piedistallo.

Con il David si raggiunge l’apice in tal senso, a differenza delle rappresentazioni cinquecentesche, vedi quella di Michelangelo, fermo e statico  dopo aver lanciato la fionda, qui Bernini  mostra il David nella fase iniziale della scena, in procinto di lanciarla e, guardando la statua frontalmente, noi spettatori siamo davanti pronti a ricevere tale lancio, siamo tutti dei Golia.

Dopo le opere profane il Maestro eseguirà la prima opera sacra, la Santa Bibiana , finalmente visibile per la prima volta in una mostra; si potrà godere anche il  prezioso restauro –costato 62 mila euro- eseguito per l’occasione, che ne ha riportato alla luce gli aspetti originali. Al piano terra possiamo da ultimo ammirare la Statua della Verità, appartenuta alla mia Davide e Golia famiglia fino al 1957, l’unica opera non commissionata ed eseguita per se stesso, durante il suo unico periodo artistico negativo.

Al primo piano si potrà godere ancor di più del suggestivo allestimento, infatti la prima sala offre la visione irripetibile di una serie di busti sia in marmo che in bronzo, posti su una base lunghissima di grande effetto. Possiamo citarne alcuni, come i due busti di Scipione Borghese, quelli di Papa Gregorio XV, di Papa Urbano VIII, di Paolo V, del Cardinale Richelieu, proveniente dal Louvre , del Cardinale Alessandro Peretti e infine il bellissimo busto della sensuale Costanza Bonarelli.

Alle spalle una parete con 15 dipinti, praticamente quasi tutta l’opera pittorica conosciuta del Bernini, a cominciare dai Santi Andrea e Tommaso della National Gallery di Londra, della Barberini, i suoi autoritratti (eccetto quello degli Uffizi, inspiegabilmente non concesso in prestito), il ritratto del Papa Urbano VIII, il San Sebastiano proveniente dalla collezione del Cardinale Francesco Barberini, novità assoluta e il ritratto del Papa Clemente IX Rospigliosi che, a mio modesto parere, ritengo essere una bellissima opera, ma di Pietro da Cortona.

Le ultime due sale ci mostrano tutto il ciclo della realizzazione della Fontana dei Fiumi, con il bozzetto in bronzo proveniente dalla Casa Reale Spagnola, quello in legno proveniente da Bologna, Accademia di Belle Arti, il leone dell’Accademia di San Luca e il modello completo in legno e terracotta di proprietà ancora della mia famiglia che è la prima idea del Bernini e probabilmente il modello che mostrò al Papa, per il quale ricevette la commissione per la realizzazione della fontana.

L’ultima sala del percorso espositivo  enfatizza non solo i capolavori conosciuti ma propone anche gli esiti degli studi più recenti, con l’inedito accostamento ad esempio dei due Crocifissi, uno dell’ Escorial e l’altro di Toronto, e i due busti di Cristo, da Norfolk e da Roma, l’accostamento è molto utile e dimostra, a parer mio quanto risulti più convincente quello romano.

Fabiano Forti Bernini         Roma novembre 2017