di Carla GUIDI
“NOUMENO”: DA PLATONE A KANT, ATTRAVERSO L’ARTE
1 – Palazzo Chigi di Formello, polo culturale della città. Al suo interno il Museo dell’Agro Veientano, la Biblioteca Comunale Multimediale, l’Ostello della Gioventù Maripara e Mansio, la Sala Orsini e la Sala Grande.


Il Comune di Formello invita alla mostra “NOUMENO. Il segno oltre l’esperienza”, visibile dal 3 al 18 maggio 2025 alla Sala Orsini di Palazzo Chigi – Piazza San Lorenzo 1, Formello (RM).
Inaugurazione sabato 3 maggio ore 18.00 e da sabato 3 a domenica 18 maggio 2025. Giorno di chiusura: mercoledì. Orario: 10:30 -13:00; 15:30 – 18:00 – Per info: 06.90194602 – 06.90194270 – 06.90194240
E’ questa una notevole esposizione di opere; quelle di Ennio Calabria, grande e amato artista scomparso il primo marzo dello scorso anno, insieme a quelle degli artisti amici di un ideale gruppo di ricercatori cui lui apparteneva: Carlo Frisardi, Danilo Maestosi, Stefano Piali, Nino Pollini, Vinicio Prizia.
L’iniziativa, organizzata dal Centro per l’Incisione e la Grafica d’Arte del Comune di Formello, Direttore Vinicio Prizia, ha ottenuto il patrocinio del Comune di Formello, Assessorato alla Cultura. Nel catalogo, curato dallo stesso Prizia, si può leggere la presentazione di Claudio Crescentini che spiega di aver preso come esemplarità il pensiero di Immanuel Kant, a partire dal titolo della mostra.
La nostra società, appartenente a quelle democratiche e tecnologiche nord/occidentali, è ancora in qualche modo drammaticamente tesa tra valori della cultura stessa nel suo insieme, tra i quali trovare un equilibrio; la cultura cosiddetta “umanistica” ed i suoi valori storici che rischia di essere divorata dall’uso improprio delle nuove tecnologie (intese in senso totalitario). Martha C. Nussbaum ha denunciato infatti in Not for profit. Why Democracy needs Humanities (2010) la pericolosa tendenza a concedere sempre meno spazio alle arti ed agli studi umanistici, adottando quindi strategie politiche dominate da continui e consistenti tagli a tutti i livelli del sistema educativo in tal senso, nonché all’ambito della ricerca.
Sempre ricordando che il termine cultura deriva etimologicamente dal latino colere, “coltivare” (termine poi esteso a quei comportamenti che imponevano una “cura verso gli dei”, da cui il termine “culto”) non vorremmo togliere alle persone il senso, il valore del rapporto d’amore e gli affetti, la cognizione del tempo logico che serve per realizzare concretamente e con soddisfazione le cose, il valore di appartenenza al mondo naturale e base della memoria, la spiritualità intesa come spinta all’integrazione tra autoreferenzialità e partecipazione, la spinta al cambiamento, il desiderio di emancipazione. La Metamorfosi digitale che stiamo vivendo è infatti solo parte integrante della definizione di un’epoca, il cosiddetto Postmoderno, in seguito divenuto un esasperato Ipermoderno su quale si è concentrato per esempio, Pierre-Antoine Chardel riguardo alle questioni etiche delle tecnologie digitali nel suo libro – Zygmunt Bauman. Le illusioni perdute della modernità.
In una società complessa come l’odierna, come scrive Crescentini nel catalogo, ricordarsi della lezione di Kant è uno stimolo importante a non abbandonarsi all’omologazione:
«Partiamo come sempre dal pensiero per giungere all’azione tramite una trasgressione culturale e, appunto, di pensiero, prendendo come esemplarità proprio il pensiero di Immanuel Kant in qualche modo padre del pensiero contemporaneo, nel quale è inserito il concetto di «deduzione trascendentale». Nozione sintetica, non omologante, da collocare al centro delle due visioni di pensiero facenti capo alla filosofia razionalista, da una parte, e a quella degli empiristi dall’altra. (…) Kant si pone volutamente nel mezzo fra le due, deducendo un principio comune, senza ambiguità, creando quindi una situazione di puro equilibrio, da non considerare però come stallo ma come azione pura, inserita appunto fra ragione ed esperienza o meglio, come lo stesso filosofo le definisce, fra Fenomeno e Noumeno. (…) Noumeno quindi come azione del Fenomeno e perciò del pensiero tradotto in azione e, per traslato semantico, in arte. Gesto e segno dell’arte o meglio «del fare arte», come si esprimeva Ennio Calabria in tal senso. Con Calabria, infatti, in tempi non sospetti si discuteva proprio – e anche – di tale questione, in una concordanza d’idee che rimandava spesso a un’altra interessante questione, ancora aperta nel XXI secolo, del rapporto fra estetica ed epistemologia che ha dato forma al presente saggio per una mostra che, in qualche modo, è collegata proprio al pensiero di Calabria tramite artisti che “in qualche modo”, per via di pensiero e/o per via amicale hanno ruotato intorno all’arte e alle stesse idee di Calabria. Ed è per questo che si è voluto riprendere il dibattito critico sbilanciando il bilanciamento kantiano proprio verso il Noumeno, come del resto Ennio Calabria ha sempre rilevato, fin dai tempi e le opere giovanili, quelle, per intenderci, in cui Jan Vorres del «The Hamilton Spectator» già vede la «tecnica straordinaria del disegno» che fa pensare al «grande passato» pur essendo «completamente nuova».
Aggiungo quanto ha detto Lacan stesso quando ha scritto in calce alla sua raccolta degli Scritti un’epigrafe … Le style est l’homme même. Quella stessa epigrafe già usata dal naturalista, biologo, zoologo, matematico e cosmologo francese Georges-Louis Leclerc, conte di Buffon nel Discours de réception à l’Académie nel 1752.
Di Ennio Calabria, è importante sottolinearlo, sono presenti anche alcuni preziosi pastelli dagli anni Novanta agli anni Venti del XXI secolo, sempre all’origine della ricerca di un’azione creativa che getta un ponte tra uomo e natura


Anche nella pittura di Carlo Frisardi ritroviamo quella narrazione che non rinuncia al tema figurale, pur ponendosi nella medesima scia semantica del maestro Calabria, con connotati sempre più definiti e personali che Crescentini definisce:
creazione di corpi amalgamati a uno spazio luminoso empirico. Corpi e luce che però non sono corpi di luce ma “fatti di luce”, prodotti attraverso questa stessa e una materia cromatica densa e consistente.
Sono figure dense di poesia nelle quali rimane il ricordo della lezione di Fazzini e Guccione.


Appartiene ad un’altra categoria stilistica Danilo Maestosi, ma non per questo perde quel valore epistemologico, arricchito infine dall’espressività ritenuta a torto lontana dal linguaggio non-figurale. Una scelta che afferma, ancora una volta, il valore di quella che si chiama oggi “intelligenza emotiva”. Hannah Arendt infatti aveva già affermato che il pensiero autonomo e la riflessione critica sono i nostri unici antidoti proprio contro la massificazione e il conformismo, ma anche contro la prevaricazione degli istinti primari.
Come afferma Crescentini:
In questa rilevata complessità, infatti, Maestosi costruisce un proprio universo segnico e cromatico, dalla tessitura accurata, dove però l’artista non si perde nel valore unico del pigmento, nel decorativismo di genere, sfuggendoli in maniera sapiente e concreta, come nel caso di Città che brucia 2019, Città che crolla 2019, La Città e i naufragi 2025. Al di là della tecnica, sempre molto accurata e raffinata, in queste opere si evince anche la forte suggestione emotiva del presente che in Maestosi diventa urgenza storica, azione etica, necessità di esserci, nel percorso civile dell’essere artista in questa divelta frangia di secolo percorsa da Maestosi attraverso l’emblematicità appunto della città in pericolo.


Venendo ad un altro artista, Nino Pollini, Crescentini ne definisce l’opera come multilinguistica nella contaminazione fra pensiero e azione, segno e realtà.


Nella sua pittura si mescolano diverse tecniche in connessione simbolica con il multilinguismo appunto della nostra attualità, concludendo una ricerca che attraverso l’eclettismo raggiunge una personale linea espressiva originale e coinvolgente.
Il suo Homo Humus (2023) sembra un manifesto programmatico di una vera contaminazione tra uomo e natura, il riflesso o forse la riflessione sulle tematiche dell’arte che nell’Ipermoderno già citato, portano verso una trasformazione in un trans-umanesimo misterioso.
Azzardo un confronto con quanto scrisse Lynn White Jr. del 1967 quando accusava proprio le società occidentali di aver utilizzato la scienza e la tecnologia allo scopo di dominare e/o degradare la Natura al bisogno, alimentando con ogni mezzo, un’economia perversa, basata sull’illusione della crescita illimitata, legittimando così l’accaparramento indiscriminato delle sue risorse.
L’arte di Stefano Piali invece va in direzione ostinata e contraria (come cantava Fabrizio De Andrè in Smisurata preghiera nel 1996) non privandosi del piacere e della sofferenza emotiva di una creatività completamente immersa nei valori della storia dell’arte si potrebbe dire pre-moderna. Si sente la carne e l’umanità che non è scomparsa nella memoria ma vibra di sdegno e di desiderio di libertà, riappropriandosi della tradizione del mito tutto italiano di Michelangelo, Caravaggio, Tiepolo …


Come dice Crescentini:
“Il confronto con i grandi è prolifico e non passivo, tanto che Piali non rinuncia proprio all’esibizione, spesso ostentata, della propria abilità tecnica da antico artifex dell’arte”.
Riguardo all’ultimo artista di questo sestetto, Vinicio Prizia, rimaniamo sempre nell’ambito dell’abilità tecnica e dell’iconografia storica, ma come in “anamorfosi” lo troviamo occupato a creare corpi distorti, destrutturati e ricomposti con “drammatica ironia” e forse un certo distaccato divertimento.


Crescentini dice:
“In questo senso Prizia sembra voler elaborare, con il suo personale Bestiarium che potremmo riferire anche all’umano, dall’artista trattato, alla luce della sua poetica, sempre come specifico fondamento etico, sociale e antropologico che rimanda, per via analogica, alla cultura del Post-umanesimo.
A questo proposito vorrei citare Jean Clair al secolo Gérard Regnier, tra i più importanti intellettuali europei, già autore del libro Hybris La fabbrica del mostro nell’arte moderna. Omuncoli, giganti e acefali che nel 2009 tenne una conferenza dal titolo Da Satana a Stalin: la figura del gigante dall’illuminismo ai nostri giorni, riportata per esempio da Simona Maggiorelli, articolo nel quale l’autore esamina la riproposizione in varianti sempre più inquietanti, nell’arte e nella letteratura, a rappresentare (e così metterci in guardia) dalla potenza cieca e distruttiva dei regimi totalitari.
Carla GUIDI Roma 27 Aprile 2025