di Beatrice BUSCAROLI
Aspetto fondamentale che si manifesta in diverse forme e linguaggi, in particolare a partire dagli anni Sessanta, l’ironia è utilizzata da molti artisti come un mezzo per commentare, criticare o meditare su tematiche sociali e culturali: strumento potente di riflessione sulle trasformazioni ideologiche, politiche, ambientali.
Pittori e scultori di quel periodo hanno usato l’ironia per mettere in discussione il sistema dell’arte, ma anche per raccontare il conflitto tra l’individuo e la società, la tradizione e l’innovazione.
“Figura di pensiero”, la definisce Umberto Eco, “discorso che dice il contrario di quel che le parole significano” (Manara Valgimigli), l’ironia è strumento delicato e prezioso grazie al quale l’artista interroga il mondo.
Cento opere di settantanove artisti italiani, raccontano al Museo d’Arte Moderna di Bologna (MAMbo, via Don Minzoni 14, a cura di Lorenzo Balbi e Caterina Molteni, fino al 7 settembre 2025, cat. Allemandi) che cosa possa essere in arte, questa “facile ironia” che entra, ironicamente, nel titolo della rassegna: “Facile ironia. L’ironia nell’arte italiana tra XX e XXI secolo”.
Preceduta da “antefatti incredibili”, come sottolinea Balbi, raccolti in una sorta di sipario che anticipa la vera e propria distesa delle opere disseminate secondo diverse aree tematiche, e impersonati dai lavori di Giorgio De Chirico e Antonio Donghi, la mostra, dedicata a questa figura destinata a suscitare dubbi piuttosto che certezze, è introdotta regalmente dalla Mozzarella in carrozza di Gino De Dominicis (1970), ironia di parola e di realtà, qui volutamente accostata alla piccola dimensione del video (La Conta) di Marisa Merz.


Nella rassegna, i campi d’azione dell’ironia si esplicano attraverso nuclei tematici, dal paradosso al non-senso, dalla critica femminista alla politica, alla critica ufficiale. A cominciare dalle contaminazioni tra comunicazione visiva e verbale che emerge nella prolifica stagione della poesia visiva che accomuna Nanni Balestrini. Arrigo Lora-Totino, Adriano Spatola, Giulia Niccolai, Patrizia Vicinelli, qui presentati con gli audio originali delle loro performances.
In questo contesto l’ironia può anche essere vista come una risposta a un’arte troppo seriosa o intellettualizzata. Molti artisti contemporanei italiani cercano di sfidare l’idea che l’arte debba essere un’esperienza solenne e reverenziale. L’uso di oggetti banali, il rifiuto della tradizione e l’adozione di un linguaggio popolare sono forme di ironia che permettono di abbattere le barriere tra arte alta e cultura di massa.
L’arte ironica è anche spesso un modo per riflettere sul concetto di identità, in particolare sull’identità nazionale. Artisti come Vanessa Beecroft, che riflette sulla bellezza, il corpo e le norme consuete, usano l’ironia per mettere in discussione le aspettative culturali e sociali.

In generale, l’ironia nell’arte contemporanea italiana si manifesta come una strategia per smontare le certezze e per stimolare il pubblico a una riflessione più profonda e critica su temi universali come il potere, la moralità, e le strutture sociali. Le macchine inutili, le sculture da viaggio e la serie dei libri illeggibili di Bruno Munari; le linee, il fiato d’artista e la merda d’artista di Piero Manzoni: i collage di Ketty La Rocca, i materiali di Carol Rama sono varianti che testimoniano la necessità di decostruire il discorso poetico di fronte all’oggettivo caos del mondo.


Azzerare e sospendere, o, ancora, generare contaminazioni improvvise di generi e di stili, come accade nelle sequenze fotografiche di Aldo Spoldi o nei collage di Pablo Echaurren realizzati nella seconda metà degli anni Settanta. Irrisione, sperimentazione, rottura, provocazione: tra gli anni sessanta e i settanta l’arte trascorre il decennio che conduce dalla lotta studentesca al terrorismo, mentre la storia si frantuma attraverso una sorta di critica che, pur sorridendo, dà nuova vita al tempo.


Concepita per celebrare i cinquant’anni della Galleria d’Arte Moderna di Bologna, la mostra, che accosta paradosso e irriverenza, sfida al presente e agli stereotipi, espone Piero Gilardi e Michelangelo Pistoletto, Mirella Bentivoglio e Maurizio Cattelan, Paola Pivi e Francesco Vezzoli, con un imponente apparato di documenti d’archivio.

Scrive Lorenzo Balbi:
“Con questa mostra vogliamo esplorare l’ironia come uno dei motivi portanti dell’arte italiana. Attraverso un percorso che abbraccia generazioni e linguaggi, la mostra rivela come questo dispositivo espressivo sia stato utilizzato per scardinare convenzioni, mettere in crisi certezze e offrire nuove prospettive di lettura della realtà”.

Elemento centrale nella pop art italiana, dove artisti come Ettore Spalletti, Mario Schifano e Enrico Baj giocano con immagini tratte dalla cultura di massa e creano opere che, seppur colorate e accattivanti, portano con sé una riflessione ironica e critica sui consumi e sul ruolo dell’arte, il ricorso all’ironia svela quanto i simboli della cultura popolare risultino vuoti, deperibili e quindi privi di un vero significato.

Col tempo l’ironia si fa ancora più sottile e intellettuale. Le strategie concettuali smontano e rimettono insieme elementi della cultura visiva tradizionale, ponendo domande sul significato stesso dell’opera d’arte. Boetti, per esempio, gioca con i linguaggi e i sistemi di rappresentazione, creando opere che mettono in discussione la “serietà” della creazione artistica e dell’autorialità. I suoi lavori sembrano suggerire una visione ironica del processo artistico stesso, in cui l’artista è più un orchestratore di significati che un creatore di forme.

Nell’arte povera l’ironia si manifesta in altri modi: si caratterizza per l’uso di materiali umili e l’abbandono delle tecniche artistiche tradizionali. L’ironia acquista un tono di sfida nei confronti dell’establishment artistico e del mercato dell’arte, creando una sorta di sfasamento rispetto alle convenzioni artistiche e alle aspettative del pubblico. In molti casi, si manifesta anche attraverso la mescolanza tra arte e vita quotidiana.

Gli artisti spesso utilizzano l’ironia per destabilizzare le aspettative del pubblico riguardo a ciò che l’arte dovrebbe essere e per suscitare riflessioni critiche sui temi della politica, della classe sociale e della cultura di massa.
“Se l’ironia è stata importante per intere generazioni di intellettuali, possiamo dire ugualmente”, conclude Caterina Molteni, “che sia stata un’arma utilizzata su più fronti dalle artiste e dagli artisti per destabilizzare e sabotare i poteri, fossero questi simbolici, politici e sociali. (…) In una visione dialettica, che sicuramente fornisce solo una visione parziale, si può ipotizzare che la presenza di un ordine di autorità chiaro, riconoscibile e condiviso, abbia fornito un contesto contro il quale scagliarsi.”

In quanto “motivo portante dell’arte italiana”, la mostra propone una vera e propria storia dell’arte nel nostro paese, dai maestri ai giovani nati negli anni Novanta, cui sono state commissionate opere ad hoc. Ed è sempre l’occhio che ammicca all’artista e al suo osservatore la forza che la fa
“configurare come un linguaggio alternativo che, piuttosto che scontrarsi frontalmente con il potere, ne smaschera i paradossi e le contraddizioni, spesso rendendoli evidenti attraverso il gioco simbolico o il ribaltamento delle norme” (Molteni).
Beatrice BUSCAROLI Bologna 16 Marzo 2025