A Santa Maria Maggiore, nel silenzio un mondo d’arte che abbraccia l’umanità

di Francesco PETRUCCI

La Basilica di Santa Maria Maggiore nel tempo del silenzio

Ho sempre pensato che – se si esclude la grandiosità irraggiungibile della Basilica Vaticana – la Basilica patriarcale di Santa Maria Maggiore, dominante come una fortezza della fede il colle dell’Esquilino, sia la più bella chiesa di Roma e sotto certi aspetti la più paradigmatica tra le quattro papali.

L’inusitata possibilità in questi giorni d’isolamento forzato di poterla visitare in totale solitudine, offerta ai residenti dei rioni Monti e Esquilino quale sede parrocchiale aperta, godendo anche del privilegio di extraterritorialità, è un’esperienza straordinaria, direi quasi scioccante, che conferma quanto premesso.

La maestosa basilica si presenta oggi al suo interno completamente vuota, priva dei numerosi turisti, pellegrini e fedeli che la affollano abitualmente, ma anche di moderni arredi funzionali al culto, tra banchi, sedie e transenne che occupano la navata centrale e in parte quelle laterali.

Basilica di S. Maria Maggiore, navata centrale

Il silenzio aiuta lo sguardo, che percepisce meglio la purezza delle proporzioni, l’equilibrio sempre ricalcolato dei punti di vista per le trasformazioni che si sono succedute nei secoli.

Basilica di S. Maria Maggiore, navata destra
Basilica di S. Maria Maggiore, navata destra

Il mio passo, nel primo pomeriggio assolato di qualche giorno fa, rimbombava nel silenzio assoluto delle navate, accentuato dai marmi cosmateschi del pavimento e pareti, riverberato dalle volte delle navate laterali.

“Che fortuna che ho – mi sono detto -, di vivere a pochi passi da qui e godere oggi indisturbato di questa enorme bellezza”!

La purezza delle proporzioni architettoniche della luminosa grande navata, che ha la stessa imponenza e solennità delle basiliche dell’antica Roma, scandita da eleganti colonne in marmo Imezio, tutte identiche, sovrastate da una trabeazione ionico-attica con fregio di girali su fondo oro, ove il colonnato ha la medesima altezza del claristorio, si combina con la magnificenza delle decorazioni, in un felice connubio tra classicità imperiale e albori dell’architettura cristiana.

I temi vetero-testamentari illustrati in pannelli sotto le finestre e sull’arco trionfale, primo eccezionale ciclo figurativo in una fabbrica cristiana, trasposizione tardo-antica in mosaico della pittura imperiale nell’età della decadenza (inizi V sec. d. C.), si combinano allo splendore del soffitto disegnato da Giuliano da Sangallo e interamente dorato, sembra con il primo oro appena giunto dalle Americhe per donazione del re di Spagna.

Basilica di S. Maria Maggiore, navata centrale

Tutti gli innesti successivi si sono armonizzati con la preesistenza, creando di volta in volta nuovi equilibri, senza sostanziali nocumenti per quanto si era stratificato precedentemente. Abbiamo così condensati in questo insigne monumento, in una specie di summa espressiva e iconografica, alcuni dei momenti più alti della cultura artistica e architettonica occidentale:

Jacopo Torriti, Mosaico absidale (1295), Basilica di S. Maria Maggiore

l’impianto paleocristiano a tre navate cancellato nelle altre tre basiliche papali (San Pietro, San Giovanni e San Paolo); la fase romanica segnata dai mosaici cosmateschi e dal più imponente campanile di Roma (benché i primi in parte segnati da rifacimenti successivi, il secondo dai restauri finanziati in Avignone da Gregorio XI nel 1375-76, prima del ritorno a Roma); il gotico rappresentato dai massimi esponenti della scuola pittorica romana, Filippo Rusuti e Jacopo Torriti autori rispettivamente degli spettacolari mosaici della facciata (post 1283) e dell’abside (1295),con Arnolfo di Cambio che scolpì quello che è stato ritenuto il primo “Presepe”; il rinascimento della Cappella Sforza progettata genialmente da Michelangelo come uno spazio dilatato che allude a una piazza aperta; la transizione tra manierismo e barocco nel confronto tra la Cappella Sistina eretta da Domenico Fontana (1585-87) –

Domenico Fontana, Cappella Sistina (1584-87), Basilica di S. Maria Maggiore

prima dogmatica e globale esaltazione iconografica dei valori controriformistici -, e la frontistante Cappella Paolina di Flaminio Ponzio (1605-16),

14. Flaminio Ponzio, Cappella Paolina (1605-16), Basilica di S. Maria Maggiore

due vere e proprie chiese a croce greca innestate nella basilica, emblemi di uno snodo fondamentale nella storia dell’architettura;

il Barocco maturo con l’imponente facciata absidale di fronte all’obelisco sistino su progetto di Carlo Rainaldi (1669-75);

Carlo Rainaldi, Facciata posteriore della Basilica di S. Maria Maggiore (1669-75)

il ‘700 ricordato dagli interventi negli anni ’40 di Ferdinando Fuga, uno dei più talentuosi architetti del suo tempo, tra decorazione navata, baldacchino e facciata.

Si, la facciata di Santa Maria Maggiore, a mio avviso il più bel fronte di edificio religioso presente a Roma, ove l’eleganza perseguita non sembra serbare traccia dello sforzo progettuale di armonizzare i due corpi di fabbrica laterali (a destra del Ponzio, a sinistra di Simone Costanzi) e la facciata preesistente rimasta incassata tra questi: un portico su cui si imposta un arco trionfale con funzione di loggia.

Ferdinando Fuga, Facciata della Basilica di S. Maria Maggiore (1741-43), con fiancate di Flaminio Ponzio (1605, destra) e Simone Costanzi (1721-43, sinistra)
Ferdinando Fuga, Facciata della Basilica di S. Maria Maggiore con mosaici di Filippo Rusuti (1288-92)

Uno schermo completamente traforato, classico e nel contempo barocco per teatralità, che annulla il concetto tradizionale di facciata come muro chiuso, lasciando percepire con innovativo concetto conservativo i retrostanti mosaici del Rusuti: ci si aspetta che da un momento all’altro compaiano da dietro le quinte gli attori e i cantanti di un melodramma metastasiano!

La visione notturna, con l’interno di loggia e portico illuminati, esalta la genialità dell’idea nel perfetto equilibrio tra pieni e vuoti.

Ogni volta che di sera ci passo di fronte tornando per la stazione Termini da qualche viaggio, non posso fare a meno di fermarmi, accompagnato in verità da turisti o viandanti che la fotografano o l’ammirano estasiati, escluso quest’ultimo mese e mezzo di surreale solitudine.

Flaminio Ponzio, Battistero, Basilica di S. Maria Maggiore

Basterebbe tutto questo per farne uno dei monumenti più insigni della Cristianità, se non ci fossero affreschi e dipinti di molti tra i massimi esponenti della pittura italiana per tre secoli, da Piero della Francesca – secondo la solita intuizione non peregrina di Roberto Longhi – a Siciolante da Sermoneta, alla squadra sistina capeggiata dalla coppia Guerra-Nebbia, proseguendo con il Cavalier d’Arpino, Andrea Lilio, Giovanni Baglione, Orazio Gentileschi, Guido Reni, Cigoli (prima rappresentazione della luna, con i crateri visti da Galileo), Giovanni Lanfranco, Passignano, Agostino Masucci, Francesco Mancini, Pompeo Batoni, etc.

 

Ferdinando Fuga, Portico, Basilica di S. Maria Maggiore

Ma c’è anche un campionario completo della scultura romana, da vero manuale o repertorio comparato, con opere di Sebastiano Torregiani, il Valsoldo, Stefano Maderno, Nicolas Cordier, Pietro Bernini, Francesco Mochi, Algardi, Giuliano Finelli, Pietro Bracci, Carlo Marchionni, Giuseppe Spagna, etc.

A questo dobbiamo aggiungere le sepolture di vari papi, come Niccolò IV, S. Pio V, Sisto V, Clemente VIII, Paolo V, Clemente IX, ed insigni personalità, le reliquie della Grotta di Betlemme e della sacra culla in una preziosa urna di Valdier, la venerata icona della Salus Populi Romani che da secoli veglia sull’Urbe, visitata da tutti i papi sin dall’elezione.

Qui ha volute essere sepolto il massimo artefice dell’età barocca, Giovan Lorenzo Bernini, in una modesta tomba terragna poiché il suo monumento commemorativo è l’intera città di Roma, che ha plasmato con innumerevoli interventi.

Tomba di Giovan Lorenzo Bernini, Basilica di S. Maria Maggiore

Peraltro nel Battistero è collocata la virtuosistica Assunzione della Vergine del padre Pietro Bernini (1608-10), magistrale nella gradazione di vari piani di profondità con effetti pittorici, incipit della scultura barocca.

Pietro Bernini, Assunta (1608-10), Battistero, Basilica di S. Maria Maggiore

Vicino si trova anche il cenotafio di Giovanni Angelo Frumenti, il cui busto è stato recentemente attribuito con fondamento al giovane talentuoso figlio (S. Ostrow).

Sappiamo infatti che qui il Cavaliere era di casa, risiedendo con la famiglia in un palazzetto proprio davanti alla Cappella Paolina, ove portò a compimento le sue sculture più famose, e sempre qui vicino, in Santa Prassede, lasciò la sua prima opera pubblica scolpita a dodici anni circa, il Busto del vescovo Santoni.

Secondo Irving lavin avrebbe eseguito giovanissimo il ritratto del papa nella Incoronazione della Vergine incastonata a rilievo dal padre nella Cappella Paolina, mentre da un suo disegno nasce la statua di Filippo IV nel Portico – la basilica è sotto il protettorato della Spagna- fusa da un suo assiduo

Giovan Lorenzo Bernini, Girolamo Lucenti, Statua di Filippo IV (1665-1692), Basilica di S. Maria Maggiore
Ferdinando Fuga, Altari navate laterali, Basilica di S. Maria Maggiore

 

 

 

collaboratore, il bronzista Girolamo Lucenti. Come architetto progettò anche la scala elicoidale nell’ala sinistra della fabbrica canonicale, presso la Sala dei Papi.

Ludovico Gimignani, Monumento del Canonico Agostino Favoriti (1685), Basilica di S. Maria Maggiore

È proprio l’altare della Cappella Paolina con gli angeli in volo che sostengono la cornice della Salus Populi Romani, che ha ispirato Bernini per gli altari barocchi della cappella Fonseca, di S. Tommaso da Villanova a Castel Gandolfo ed altro, ove gli angeli flessuosi divengono vere apparizioni e non motivo ornamentale. Un esempio, quello berniniano, imitato dal Fuga negli altari delle navate laterali della medesima basilica e in molti altri innumerevoli casi in tutta Europa.

Il mondo figurativo berniniano rivive d’altronde anche nello scenografico monumento del canonico Agostino Favoriti ideato dall’allievo Ludovico Gimignani (1685), ove davanti ad una piramide stagliata illusionisticamente su un fondo di cielo velato di nubi, emerge come una presenza reale dietro un inginocchiatoio la figura del canonico e a lato le sue virtù. Puro teatro!

Francesco PETRUCCI  Roma, 19 aprile 2020