A Roma, al Teatro Marconi “La scomparsa di Majorana” (di Leonardo Sciascia : “… vedere la vita diventare sempre più una vita da cani”.

di Marco FIORAMANTI

UNA QUALUNQUE VIA DI FUGA ERA NECESSARIA

Quella che Sciascia narra nel suo libro è solo un’ipotesi, ma gli serve per evidenziare il profilo etico dello scienziato, Ettore Majorana, che fa un passo indietro, intuisce il pericolo e si rifiuta di proseguire la ricerca. Quello che il regista Fabrizio Catalano – che di Sciascia è diretto nipote – ci mostra, neanche troppo velatamente, è il parallelo col tempo che ora stiamo vivendo

caratterizzato uno sfaldamento dei valori morali, dall’esaltazione dell’ego, dall’ansia del profitto e dalla deriva della scienza”.

Così scrive nelle note di regia.

Appoggiando l’ipotesi monastica, Catalano ci mostra Majorana (Alessio Caruso) come un uomo stanco e probabilmente malato – siamo nell’agosto del ’45 – nascosto in un ospedale di provincia.

La scenografia – una grande vetrata opaca bordata da simboli geometrici – realizzata da Katia Titolo, è efficace filtro agli eventi bellici esteriori e a quelli ‘onirici’ interiori – contribuendo fortemente al pathos della vicenda. Notato da una dottoressa (Giada Colonna), l’uomo si presenta come ‘Padre Norberto’, in abito talare da certosino, rifiutandosi di rivelare il vero nome. Riconosciuto, grazie a vecchie foto segnaletiche, dal commissario di polizia (Roberto Negri), s’innesca una sorta di processo atto a smascherare il potenziale fuggiasco. Viene convocata anche la moglie di Enrico Fermi, Laura (nei panni di Loredana Cannata) a confermare l’identità del Majorana.

L’operazione, svoltasi nell’arco intero di una notte, confluirà in un capovolgimento dei ruoli. In un coinvolgente monologo, Caruso esplode nella difesa di sé stesso. Lo spettro delle conseguenze legate all’intuizione sulle ricerche sull’atomo quale “potenziale di morte”, ha indotto il fisico catanese a una scelta radicale, quella di sparire, rendendosi invisibile, azione che gli avrebbe così impedito di assoggettarsi al potere politico, e quindi a quello militare.

Lo stesso Sciascia dichiara di aver scritto questo romanzo

per rabbia e per paura. La rabbia e la paura – come diceva Camus – di vivere contro un muro, di vedere la vita diventare sempre più una vita da cani. Grazie anche alla scienza, grazie soprattutto alla scienza”.

Bravi tutti gli attori a comporre uno spettacolo che si impone per la sua veridicità etica e punta il dito sulle responsabilità della difesa di un pianeta che ancora porta con sé i segni, le ferite e le conseguenze politiche di quel terribile 6 di agosto di ottanta anni fa.

Marco FIORAMANTI  Roma 23 Novembre 2024