A 100 anni dalla scomparsa, resiste il mito di Enrico Caruso, un gigante dell’Opera di tutti i tempi (Parte I^)

di Claudio LISTANTI

Caruso a 100 anni dalla morte.

È da poco iniziato il 2021 e, come ogni anno, molte saranno le occasioni per ricordare anniversari e centenari relativi a fatti o personaggi appartenenti a tutti i campi della Storia dell’Umanità. Sicuramente la ricorrenza che catalizzerà l’attenzione di moltissimi italiani saranno i 700 anni dalla morte di Dante Alighieri, poeta che occupa un posto privilegiato nella cultura nazionale.

Per noi che ci occupiamo di Musica e di Opera vogliamo ricordare un’altra gloria nazionale, uno dei più grandi cantanti mai esistiti, Enrico Caruso, che proprio un secolo fa, il 2 agosto 1921, concludeva la sua esistenza terrena lasciando la sua figura di artista tra i ‘miti’ dell’Opera di tutti i tempi. Anche in questo caso, come del resto per Dante, partiamo con anticipo proprio con l’intento di stimolare tra gli appassionati riflessioni e discussioni che ne mettano in luce la valenza artistica dell’artista collocando con precisione la sua figura nell’ambito dello sviluppo dell’arte vocale.

Fig. 1 Una immagine del tenore Enrico Caruso

Enrico Caruso nacque a Napoli il 25 febbraio del 1873 da Marcellino e Anna Baldini. Venne alla luce in uno dei quartieri più popolari, il rione di San Giovanniello agli Ottocalli, componente di una famiglia numerosa ma molto semplice e non priva di problemi di carattere economico. Il padre Marcellino era un operario meccanico il cui reddito non consentiva ad Enrico di poter intraprendere gli studi musicali anche se fin da bambino aveva una voce molto promettente. Una certa Rosa Barretti convinse la famiglia a fare entrare Carusiello (questo il suo soprannome all’epoca) nel coro della parrocchia. Dopo poco tempo andò a cantare nella Chiesa di Sant’Anna alle Paludi sotto la guida del sacerdote Giuseppe Bronzetti con il quale iniziò quel percorso che lo portò in seguito ed essere uno dei più celebrati cantanti del mondo.

Qui infatti gli furono affidati alcuni ruoli di solista, come nella Messa di Saverio Mercadante, e quello di una parte macchiettistica in una farsetta musicale dal titolo I briganti nel giardino di don Raffaele di A. Campanelli ed A. Fasanaro.

Fig. 2 Il Caffè Gambrinus a Napoli in una immagine dei primi del ‘900

Giungiamo alla fine degli anni ’80 e Caruso aveva necessità di portare denari a casa. Lasciò gli studi per affiancare il padre come meccanico arrotondando, poi, cantando nei café-chantant e negli stabilimenti balneari esibendosi come interprete di musiche popolari e canzoni. I suoi palcoscenici di quel periodo erano luoghi come il Gambrinus, la Birreria Monaco e lo Stabilimento Balneare Risorgimento.

La sua voce, però, senz’altro progrediva. Dopo aver provato il dolore della perdita della madre, che aveva sempre incoraggiato la sua passione, partì militare a Rieti dove fu preso a benvolere dal maggiore Magliati che dopo appena 45 giorni acconsenti alla sostituzione di Enrico con il fratello Giovanni (sembra che allora fosse una pratica consentita!). Siamo nel 1895 Caruso proseguì negli studi di canto sotto la guida del maestro Guglielmo Vergine e, l’anno successivo, il 15 marzo, debuttò a Napoli al Teatro Nuovo come protagonista di una nuova opera, L’amico Francesco di Domenico Morelli.

In questa occasione Caruso dimostrò di essere pronto per le scene liriche ed iniziare il vero e proprio decollo verso il successo. Si esibì nei teatri di Caserta, Napoli e Salerno sbarcando anche all’estero, al Cairo. Poi Trapani, Marsala e Palermo. In questo periodo si cimentò in un repertorio che la storia ha dimostrato essere a lui congeniale: Faust, Rigoletto, Gioconda, Traviata, Puritani, Pagliacci. Nel 1897, a Salerno, Caruso conobbe il direttore d’orchestra Vincenzo Lombardi che gli propose di accompagnarlo nella stagione estiva a Livorno.

Fig. 3 Il soprano Ada Giachetti prima moglie di Enrico Caruso in un dipinto di A. Galli del 1907. Museo Enrico Caruso Lastra a Signa)
Fig. 4 Enrico Caruso nei panni di Rodolfo de La Boheme di Giacomo Puccini.

Qui Caruso cantando ne La Bohème pucciniana conobbe il soprano Ada Botti Giachetti, sposata e madre di un bambino. Con lei ebbe una relazione che durò undici anni, da cui nasceranno due figli: Rodolfo ed Enrico junior. Fu una relazione tormentata perché caratterizzata da vari litigi e, anche, dal tradimento della donna che divenne amante dell’autista del tenore, fatto che condusse non solo alla separazione ma anche in tribunale dove Caruso fu assolto e Ada condannata a tre mesi di reclusione.

Alla fine dell’800 Caruso aveva già raggiunto una ottima fama ed era in attesa della definitiva consacrazione, quella di salire da primo interprete sul titolato palcoscenico del Teatro alla Scala di Milano. La cosa avvenne dopo aver toccato tappe importanti come Roma con la mascagnana Iris, Mosca e San Pietroburgo con Aida e Maria di Rohan di Donizetti e approdando nel teatro milanese con La Bohème diretta da Arturo Toscanini.

Fig. 5 Il tenore Giuseppe Borgatti

Fu una partecipazione che nacque grazie ad un evento fortuito, la cancellazione dell’inaugurazione del 26 dicembre 1900 che prevedeva l’esecuzione di Tristano e Isotta di Wagner, cancellazione dovuta ad una indisposizione del tenore Giuseppe Borgatti. (Fig. 5)

Gli organizzatori decisero di sostituire il Tristano con il capolavoro pucciniano affidando la parte di Rodolfo all’emergente tenore ventisettenne Enrico Caruso che fu affiancato ad una celebre Mimi dell’epoca, il soprano Emma Carelli. Vi furono però dei dissapori tra Caruso e Toscanini dovuti al rifiuto del tenore di cantare la prova generale a voce piena che, purtroppo, contribuirono alla mancanza della necessaria concentrazione per il giorno della prima; elementi che causarono l’infelice esito della serata. Le cose migliorarono decisamente nel corso delle repliche che incoronarono Caruso come tenore di grande livello e che fecero del suo ‘Rodolfo’ uno dei miti della Storia dell’Opera.

Fig. 6 Il tenore Fernando De Lucia

Ora Caruso aveva tutte le carte in regola per essere tra i primi del mondo. Decise di tornare a Napoli per completare il suo trionfo. Opera prescelta L’Elisir d’amore di Gaetano Donizetti, un’altra opera adatta alla sua vocalità, con il debutto previsto per il 30 dicembre 1901. Era la grande occasione per conquistate il pubblico di Napoli, il suo pubblico per diritto di nascita. Ma non tutto andò per il verso giusto e la serata da trionfale si tramutò in un deciso insuccesso. Quali furono le cause? In casi come questo è difficile stabilirlo. Certo contribuì il fatto che Napoli fino a quel momento era l’impero di un altro tenore, un’altra gloria locale, Fernando De Lucia e i suoi ‘supporters’ temevano una sorta di usurpazione del trono.

De Lucia era un tenore dalla voce piuttosto chiara sostenuta certo da una buona tecnica, che si può classificare tra il tenore di grazia e quello più propriamente di carattere lirico. Caruso, al contrario, aveva un impianto vocale più possente che gli consentiva di esibire una voce calda e sensuale che si contrapponeva con forza a quelle più di stampo tradizionale come poteva essere quella di De Lucia. Se a ciò si aggiunge il tifo da stadio che ha accompagnato per secoli gli ‘aficionados’ di questo o quell’altro cantante che crea assurde (e a volte inesistenti) rivalità che nello specifico hanno raggiunto lo zenit con quella tra la Callas e la Tebaldi che nel corso degli anni ’50 dello scorso secolo ha prodotto una sorta di isteria collettiva tra i cosiddetti amanti dell’opera.

Per Enrico Caruso significò l’insuccesso della serata alla quale, il giorno seguente, mise il carico da undici il critico musicale del giornale Il Pungolo, Saverio Procida, che scrisse che Caruso aveva cantato L’Elisir d’amore con la voce di baritono. Per il tenore fu una cocente delusione che lo portò a fare voto di non tornare più a cantare a Napoli, cosa che avvenne senza rimedio ed i napoletani, così, dovettero rinunciare alle interpretazioni di uno dei suoi concittadini più illustri.

Fig. 7 Il tenore Jean de Reszke

Dopo questo episodio iniziò il periodo d’oro di Enrico Caruso che nel frattempo divenne la stella assoluta del Metropolitan di New York teatro presso il quale fu protagonista di grandi interpretazioni che contribuirono a determinare Caruso come grande mito della storia del canto. A New York raccolse l’eredità di un altro grande cantante, il tenore polacco Jean de Reszke, notevole voce di fine ‘800, di stampo ‘drammatico’ che riusciva ad eccellere anche nel repertorio wagneriano e che, proprio con l’entrare del ‘900, concluse la sua gloriosa carriera.

 

Fig. 8 Enrico Caruso nei panni del Duca di Mantova di Rigoletto di Giuseppe Verdi.

Il debutto di Caruso al Metropolitan avvenne il 23 novembre 1903 interpretando il ruolo del Duca di Mantova nel Rigoletto (ruolo che Verdi scrisse per un altro napoletano emergente Raffaele Mirate) personaggio che è considerato uno dei ruoli emblematici della carriera artistica del cantante napoletano. L’ingresso al Metropolitan coincise con il periodo aureo della sua carriera: i successi del palcoscenico lo resero popolarissimo ma anche ricchissimo visti i lauti guadagni realizzati in quegli anni. Le richieste economiche erano accettate dai suoi committenti in quanto il suo ingaggio avrebbe garantito sempre il tutto esaurito.  Eugenio Gara, uno dei primi biografi di Caruso nel suo libro dedicato al cantante, cita il fatto che il tenore, assieme a due celebri compagni d’arte, il baritono Titta Ruffo ed il basso Fjodor Scialiapin, in venti anni di carriera guadagnarono una cifra tale che avrebbe consentito la costruzione di un quartiere di grattacieli.

Fig. 9 Una immagine del soprano australiano Nellie Melba
Fig. 10 Enrico Caruso nei panni di Dick Johnson ne La Fanciulla del West di Giacomo Puccini.

Questa citazione ci fa anche comprendere che Caruso ebbe compagni d’arte tra i più grandi cantanti del mondo. Oltre ai due citati ricordiamo il baritono Pasquale Amato e numerose cantanti come i soprano Nellie Melba, Gemma Bellincioni, Francis Alda e Emma Eames. Il suo repertorio era particolarmente esteso e partiva dal ‘contemporaneo’ verismo, Mascagni, Leoncavallo e soprattutto Puccini del quale al Metropolitan fu il primo Dick Johnson de La Fanciulla del West.

Fig. 11 Una immagine di Enrico Caruso assieme a Dorothy Benjamin sua seconda moglie.

Le opere interpretate nella sua carriera furono 40 per complessive 607 recite. Fu anche apprezzato nei grandi personaggi verdiani passando per Donizetti e l’opera francese per giungere fino a Wagner. Fu, inoltre, delizioso interprete di musiche da salotto, dalle romanze da camera alle canzoni della sua amata Napoli. Nello stesso periodo, nel 1908, si unì in matrimonio con Dorothy Benjamin, una ragazza molto più giovane di lui che gli regalò la deliziosa figlia Gloria, una vera e propria rivalsa della prima esperienza matrimoniale.

Fig. 12 Enrico Caruso nei panni di Éléazar ne La Juive di Jacques Halévy

La sua vita, purtroppo, non fu particolarmente lunga. Nel 1920, alla chiusura della stagione operistica, ebbe seri problemi di salute che si manifestarono con perdite di sangue dalla bocca nelle recite di Elisir d’amore e, dopo un illusorio miglioramento, ne La Juive di Halévy che rimane l’ultima opera portata in scena dal grande Caruso. (Fig. 12) I medici consigliarono riposo assoluto. Siamo nel giugno del 1921 e Caruso volle tornare al sole di Napoli, la terra natale che non lo aveva più sentito cantare dal 1901.

Fig. 13 La camera ardente di Enrico Caruso presso l’hotel Vesuvio di Napoli.

Scelse la costa sorrentina e il prestigioso Hotel Vittoria. La sua sembrava rifiorire tanto è vero che in salotto provò a cantare e chi lo udì trovò la sua voce limpida e soave come sempre. I medici consigliarono il trasferimento a Roma per un consulto presso due grandi specialisti dell’epoca: Giuseppe e Raffaele Bastianelli. Partì, ma già a Napoli ci fu un peggioramento e fu costretto a fermarsi presso l’Hotel Vesuvio. Furono chiamati altri medici tra i più eminenti che furono tutti d’accordo nel dire che si era vicino alla fine. Spirò il 2 agosto tra le braccia della moglie Dorothy. Aveva soli 48 anni. (Fig. 13)

I funerali si svolsero nella stessa Napoli presso la Basilica di San Francesco di Paola con l’antistante Piazza del Plebiscito stracolma di gente che volle salutarlo per l’ultima volta. Durante il funerale fu il vecchio Fernando De Lucia a cantare in suo onore. Fu sepolto a Napoli presso il cimitero di Poggioreale.

Fig. 14 Una parte della Villa Bellosguardo a Lastra a Signa
Fig. 15 Caruso caricaturista. Autocaricatura del tenore nei panni di Don José nella Carmen di Bizet.

Oggi di Caruso ci restano, oltre alla sua fama ancora universale, molte caricature uscite dalla sua matita e frutto del suo incontrastabile senso dell’umorismo, i suoi numerosi dischi (argomento che tratteremo nella seconda parte dell’articolo che uscirà la prossima settimana) e la villa da lui fatta costruire a Lastra a Signa nella pace della campagna toscana, Villa Bellosguardo, divenuta sede di un museo che contiene i cimeli della sua luminosa carriera.

Claudio LISTANTI   Roma 31 gennaio 2021