5% di IVA sull’arte: un buon inizio, ma il vero lavoro comincia adesso.

di Leonardo ROCCO

L’introduzione in Italia dell’aliquota IVA agevolata al 5% sull’acquisto di opere d’arte rappresenta senza dubbio una novità positiva.

Una novità che, a essere sinceri, il sottoscritto non credeva possibile e che invece – sorprendentemente – si è concretizzata. Dopo anni di immobilismo e occasioni perse, si apre finalmente uno spiraglio di riconoscimento del valore economico – oltre che culturale – dell’arte e del suo mercato. Una misura attesa, richiesta a gran voce dagli operatori del settore e già realtà in diversi Paesi europei. Tuttavia, sarebbe un errore clamoroso fermarsi qui, come se fosse stato risolto un problema sistemico con un colpo di pennello.

Questa riduzione d’imposta è solo il primo tassello di un puzzle molto più complesso. Serve infatti una revisione organica e profonda delle norme che regolano la circolazione delle opere d’arte in Italia, oggi anacronistiche e penalizzanti rispetto al resto d’Europa.

  1. La libertà di circolazione: un principio disatteso

La libera circolazione delle opere d’arte all’interno dell’Unione Europea è un principio che trova tutela nei Trattati e nei regolamenti comunitari. In Italia, però, tale principio è ostacolato da un sistema normativo che impone vincoli burocratici e autorizzativi rigidi, spesso arbitrari, tali da scoraggiare esportazioni temporanee e permanenti, fiere internazionali, prestiti museali e vendite all’estero. Il risultato? Gli operatori italiani sono costretti a muoversi in un campo minato, mentre quelli stranieri preferiscono evitare l’Italia. Occorre una riforma che armonizzi la normativa nazionale con quella comunitaria, garantendo sì la tutela del patrimonio, ma senza trasformarla in una forma di autarchia culturale.

  1. La “notifica”: da strumento di tutela a ostacolo alla competitività 

L’istituto della notifica, concepito per impedire che opere di rilevante interesse culturale lascino il Paese, si è trasformato in un blocco generalizzato alla mobilità del mercato. Nella prassi, infatti, la notifica viene applicata con ampiezza eccessiva, talvolta a opere di artisti viventi o a quelle prive di effettiva unicità storico-identitari, senza criteri certi e con effetti disincentivanti sia per i collezionisti italiani che per quelli stranieri. Non si tratta di abolire lo strumento, ma di riformarlo: criteri oggettivi, tempistiche certe, maggiore trasparenza e possibilità di opposizione effettiva. In assenza di queste modifiche, continueremo a scoraggiare gli investimenti e a impoverire il sistema.

  1. La soglia di 13.500 euro: una cifra fuori dal tempo 

La soglia di 13.500 euro al di sopra della quale un’opera può essere assoggettata a vincolo di notifica è una delle assurdità normative più lampanti. Non tiene conto dell’inflazione, dell’andamento del mercato né della specificità dell’opera. In Francia, ad esempio, la soglia è di 50.000 euro; in Spagna, addirittura di 150.000. Mantenere un limite così basso significa che anche opere di medio valore vengono trattate alla stregua di capolavori di rilevanza nazionale, bloccando inutilmente il mercato. Una riforma seria dovrebbe adeguare la soglia almeno ai parametri europei.

Conclusione

L’aliquota al 5% è un segnale importante, ma non può restare un gesto isolato. Serve una visione sistemica che ripensi il rapporto tra Stato e arte in chiave moderna, competitiva e rispettosa del valore culturale, ma anche economico, dell’arte. Solo così l’Italia potrà smettere di inseguire e tornare – finalmente – a guidare.

Leonardo ROCCO  Roma 24 Giugno 2025

Avv. Leonardo Rocco
LL.M.
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